È arrivato in libreria il 26 maggio, per Minimum fax, il nuovo libro di Corrado De Rosa dal titolo “Quando eravamo felici. Italia-Argentina 1990: la partita da cui tutto finisce”. Dopo la guida di Passaggi di Dogana per Giulio Perrone Editore, “A Salerno. Psicologia insolita di una città sospesa”, alcuni saggi sull’uso della follia nei processi di mafia e terrorismo come “Italian Psycho” per Minimum fax e il romanzo d’esordio “L’uomo che dorme”, per Rizzoli”, arriva questo libro insolito e che, per il tema del calcio, un poco richiama il precedente “L’allenatore sul divano”.
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Ci racconti in realtà come nasce l’idea del libro e ci porti nell’officina di lavorazione di questo nuovo lavoro?
Il libro nasce da due presupposti.
Il primo è che le squadre di calcio sono spesso il prodotto dei tempi e dei luoghi che rappresentano. L’Olanda del calcio totale, per esempio, è un laboratorio proteso all’ossessiva ricerca di spazi. In Quando eravamo felici, ho provato a raccontare come e perché la nostra nazionale di Italia ’90 non poteva che essere il frutto di quel tempo.
Il secondo presupposto riguarda un aspetto misto: emotivo e sociale. Ci sono partite di calcio che rappresentano un’epoca e diventano dei marcatori di identità. Italia-Germania 4-3, per esempio, è la sfida di due mondi che si attraggono e si respingono all’infinito, Italia-Brasile del 1982 ci sgombra la mente dagli spettri degli anni di piombo. Per chi è della mia generazione, sono del 1975, Italia-Argentina, forse, è il momento della perdita dell’innocenza. Quello in cui la squadra dei predestinati, di un tempo inebriato dall’edonismo degli anni Ottanta, dei fuoriclasse destinati a vincere il Mondiale di casa, perde la partita che non avrebbe mai dovuto perdere e apre le porte al decennio delle disillusioni. Quello di Tangentopoli, di Mani pulite, delle stragi di Mafia.
Ho scelto una sconfitta perché, dal punto di vista narrativo, le cicatrici insegnano più dei trionfi.
In questo piccolo spazio su Satisfiction vogliamo incuriosire e convincere i lettori forti attraverso un piccolo e dettagliato racconto sui contenuti del libro. Ci porti tra le storie che animano il libro?
Ogni capitolo è costruito attorno agli immaginari e alle pieghe psicologiche che ruotano intorno a una partita di calcio. Ciascuno si colloca in una fase specifica della semifinale: dagli spogliatoi al tunnel che i calciatori salirono per entrare in campo, fino ai rigori conclusivi. Tutti hanno un punto di vista diverso. Chi leggerà, troverà storie di atleti che arrivavano dalla provincia, aspettative di una generazione, speranze, frustrazioni, paure. Troverà Napoli che applaudì la moglie (la Nazionale), davanti all’amante (Maradona). Troverà Maradona rincorso dai demoni, prigioniero di una città che, per lui, non era più quello che lui era per la città. Troverà le emozioni sospese di chi sta per tirare un rigore.
Lo spaccato di un’epoca attraverso il calcio. Un viaggio nel mondo calcistico e su cosa si muove dietro quella palla che carambola tra i piedi dei giocatori. Nei campi da gioco si incontrano e si scontrano lo sport ma pure il mondo degli affari, la politica, la televisione. Una industria che fattura miliardi, un mondo in cui si costruisce consenso e si fabbricano miti. Nella quarta di copertina del tuo libro si citano due mostri sacri come Giovanni Arpino e Gianni Brera, che hanno sapientemente dimostrato come il calcio possa farsi metafora della vita e dell’identità di una nazione. È appena uscito per Sur edizione “Chiuso per calcio” di Eduardo Galeano; ma altri grandi attori si sono cimentati col mondo del calcio, pensiamo a Osvaldo Soriano, Stelvio Mattioni, il poeta Umberto Saba. Eppure in letteratura il calcio sembra scontare vecchi pregiudizi. Sei un tifoso appassionato e un attento osservatore, ci vuoi spiegare, secondo te, a cosa è dovuto questo pregiudizio e questo storcere il naso in maniera sprezzante verso questo sport?
I pregiudizi sono la parte emotiva degli stereotipi. Il calcio, nelle varie componenti che lo rappresentano, spesso è il peggior ufficio stampa di sé stesso. Può diventare un potente promotore di stereotipi e può ingenerare antipatie profondissime. Pensare che il calcio sia solo un gioco, però, è come pensare che la pittura sia un insieme di colori. Pensare che sia solo tattica è come pensare che il migliore psicologo sia quello che conosce a memoria la fisiologia del cervello. Il calcio rivela quello che siamo, è una rappresentazione fedele della natura umana. Per questo, in realtà, la letteratura che gira intorno al calcio ha ormai assunto contorni nobili. Il calcio è stato strumento narrativo per Peter Handke, per Manuel Vasquez Montalban, per Nick Hornby. Anche in Italia, gli esempi sono tantissimi. Luciano Bianciardi scriveva sul Guerin Sportivo. Vasco Pratolini, Alfonso Gatto, Pasolini sono solo alcuni fra gli uomini straordinari che hanno amato il calcio. Hai citato Giovanni Arpino. Azzurro tenebra è un romanzo potente. Ironico, dolente, per certi aspetti intraducibile. È letteratura che prende spunto dalla spedizione catastrofica dell’Italia al mondiale del 1974. Hai citato anche Galeano. Galeano diceva: volevo aiutare i fanatici della lettura a superare la paura del calcio, e i fanatici del calcio a superare la paura dei libri. Quindi, per chiudere, i pregiudizi sono nati per essere infranti. Spero di contribuire – consapevole di quanto minimo possa essere questo contributo, per carità – a superare questi pregiudizi.
Buona Lettura di ” Quando eravamo felici. Italia- Argentina 1990: la partita da cui tutto finisce”.
Antonello Saiz