Quest’anno in occasione del Salone del Libro 2023 hai vinto il Premio InediTO del gruppo dei lettori per il testo del tuo singolo Confessioni di un’artista di merda: ci puoi raccontare un po’ che cos’è questo premio?
Il premio è un premio ventennale che è partito dalla città di Chieri e poi si è allargato fino a Torino con tanti comuni connessi alla rete. All’inizio quando facevo l’università negli anni 2001 2002 avevo sentito parlare di quel premio e mi faceva gola perché già quell’epoca era importante, e io scrivevo i miei primi racconti brevi e avevo a che fare con la letteratura. E mi divertiva l’idea di affrontare delle sfide però non mi ero mai iscritto in quegli anni. Torino mi ha dato creatività ma non mi ha mai premiato davvero e io stesso non mi avventuravo troppo nei concorsi.
Hai fatto l’università a Torino, vero?
Ho fatto l’università a Torino storia del cinema scienze della formazione e DAMS con professori che mi hanno passato informazioni molto dettagliate sulla vita artistica e del mondo del cinema, soprattutto sui personaggi perché io mi sono sempre affezionato ai personaggi che fanno il cinema e le opere d’arte che producono fanno parte anche un po’ della loro vita personale.
Quest’anno sui social ho trovato questo super annuncio sul premio e sulle sue varie sezioni e leggendo il bando ho visto che avevano narrativa breve, saggio, sceneggiatura per i cortometraggi, testo di canzone e anche una sezione di opera o testo teatrale.
Da quest’anno hanno deciso che i premi dati alle varie sezioni sono legati proprio alla produzione di qualcosa di concreto e questo è interessante perché nel premio relativo alla canzone c’è una somma da destinarsi alla canzone, al tour o allo sviluppo di un progetto. Per cui dal punto di vista della gratificazione quello che è successo quest’anno è più interessante rispetto a quello che è successo l’anno scorso.
Ricordiamo che l’anno scorso sei stato uno degli otto vincitori di Musicultura 2022.
Sì, è vero.
Ma tornando al premio InediTO comunque sono vent’anni che volevo partecipare perché sapevo che la serata finale si faceva presso il Circolo dei lettori di via Bogino dove già quei tempi andavo ai reading e alle serate letterarie. Ho fatto anche la Holden per un anno.
Arrivo da esperienze importanti a livello nazionale: Musicultura che mi ha portato a suonare in Rai sia in onda in tv sia sul palco di Macerata che è l’enorme sferisterio che conosci bene. Poi sono passato in Rai radio stereo notte sul programma di Duccio Pasqua che è una cosa abbastanza importante anche quella e sui palinsesti Radiodue indie con i singoli prodotti con l’etichetta che finalmente dopo vent’anni di gavetta ho trovato.
È la Carioca di Leo Curiale giusto?
Esatto, la Carioca Records.
Quindi in tutto questo, con la produzione che ho alle spalle, le quattro esperienze mi hanno portato sicuramente arricchimento ma non hanno portato effettivamente grandi trasformazioni, non hanno fatto la differenza per il presente perché ad oggi mi ritrovo, comunque ancora in attesa del grande salto e questo è un mostro che combatto da sempre d’altra parte.
Però finalmente ho vinto il primo premio, una roba internazionale con un testo di una canzone. Avevo partecipato sia con un testo di un racconto breve. che con tre testi di canzoni che sono Io ci vengo però non mi affeziono a nessuno che è anche il titolo del mio romanzo che nel 2021 ha vinto il premio Etnabook Festival a Catania e su 1300 romanzi è arrivato terzo e con Gli hamburger dei leoni che ho appena pubblicato in versione beta, che verrà poi pubblicata.
È una canzone?
È una canzone, l’ho pubblicata due settimane fa e c’è un video su youtube è ancora inedita perché non è su Spotify, inedita nel senso di edizioni.
Tu però hai vinto con Confessioni di un’artista di merda?
Esatto, ho vinto con Confessioni di un’artista di merda che mi è stato fatto il regalo di cantare alla fine della serata della premazione.
Di che cosa parla la canzone me la spieghi un po’? Perché sembra una citazione di Dick.
È una citazione spudorata di Dick ma apro chiudo la parentesi anche qui, le mie ultime canzoni tendono molto a entrare dentro al mondo del cinema, Il giardino dei Finzi Contini è anche un romanzo dal quale è stato tratto anche un film, di Bassani.
Il romanzo non devo spiegarlo a voi e ho scritto altre canzoni con titoli che riportavano a film esempio Walt Kovalski è una canzone di tanto tempo fa, molto più rap di quelle indie che sto facendo adesso. In questo momento ne ho tante canzoni c’è Un ultimo giro di tango ne ho tantissime canzoni con titoli di film o romanzi questo è romanzo di PH.K.Dick che è uno dei pochi romanzi non fantascientifici o meglio la fantascienza c’è ma quella anni 50 visionaria di chi credeva negli ufo ma non guardava sempre in alto.
Tra l’altro è l’unico suo romanzo non di fantascienza che non è uscito postumo
Sì, comunque di che cosa parla, la canzone è un curriculum vitae e una resa dei conti, è un rapporto z come si fa con i contatori fiscali dei bar, il rapporto Zeta è il resoconto dell’incasso che hai fatto durante la giornata e si fa la sera. L’ultimo scontrino si chiama rapporto Zeta ed è carino perché mi piace molto questa metafora perché è un po’ tirare le somme.
Arrivato a 43 anni c’è un momento in cui, dopo una serie gigantesca di delusioni e perdite, come nelle vite di tutti quanti, ti guardi un po’ indietro e ti chiedi cosa hai combinato, che cosa ti è successo e che cosa dovrà ancora succedere.
Recitarla in quattro mosse sarebbe carino però il succo del discorso è che io ho fatto queste cose qui, sono questa cosa qui, mi aspetto questa cosa qui e so anche perché tu e voi avete reagito in questo modo qui ma so benissimo che in questo modo qui, con questa cosa qui io vi spacco la faccia.
È effettivamente carino perché qui dove vivo l’atmosfera non è delle migliori sotto l’aspetto delle cattiverie e del pettegolezzo dannoso. È anche un po’ una rivalsa ed è un modo di dire: -andate tutti un po’ a fare in culo!-. E dopo un po’ che scrivevo canzoni romantiche è uscita da sola questa cosa.
È un’invettiva neanche troppo autocelebrativa perché in realtà mi dico da solo che sono un’artista di merda perché me lo sono sentito dire senza davvero sentirmelo dire che è la cosa peggiore.
Perché se uno te lo dice è un grande perché ha il coraggio di dire che non gli piace quello che fai.
Se invece quando mi vedi mi fai le moine ma poi non vieni ai miei concerti, quando mi vedi in Rai mi fai i complimenti e dietro di me mi fai le boccacce e io lo vengo anche a sapere, perché altre persone mi raccontano che cosa dici agli altri di me dopo avermi detto che sono bravo, a questo punto ti mangio la faccia.
E quindi sì, ho anche una rabbia creativa che va anche un po’ fuori dal normale. Adesso faccio una citazione colta di Wallace che diceva -se sapeste quanto la gente pensa a voi smettereste vi preoccuparvi di quel che pensa di voi-. Perché è anche vero che la gente pensa te quando ti vede ma appena esci dal suo campo visivo smette di pensare a te questo è chiaro però ferite che derivano da questi comportamenti o frasi dette da altri su di me.
Ti dico soltanto che sono andato a vedere in provincia quanta gente ha messo il like sul mio post dove scrivevo che avevo vinto questo premio, su 300 like non vorrei sbagliarmi ma non ho visto un like di un musicista. È più che altro un’indagine sociologica più di una curiosità.
Questo si può scrivere che è interessante, perché è la prova che l’arte è cannibale.
Eh sì, l’arte è cannibale ma più che altro poi andrò a controllare perché non vorrei aver detto un’imprecisione.
Vabbè ma mi sembra di capire che anche se ci fossero dei musicisti questa non sarebbe una grandissima percentuale.
No, sono soprattutto persone che mi vogliono bene e che sono al di fuori del campo dell’arte.
Quando hai iniziato a occuparti di musica tu?
Di musica non mi sono mai occupato, sono un ignorantone, canto e scrivo canzoni rap e anche indie adesso ma non sono un musicista. Nel 2010 ho ricominciato ma la prima canzone l’ho scritta a 16 anni ed era già il mio stile.
Ma quindi il tuo genere qual è?
All’epoca era il rap quello anni 90 che oggi si definisce old school per fare il fine.
Ok ma il tuo tipo di sperimentazione qual è?
Adesso è completamente legata alla letteratura. È tutta letteratura che sbrodola su una strumentale che può essere musica suonata e quindi una canzone più melodica che è quest’oggi come genere si può definire indie. Questo genere che tende all’indipendenza ma che poi indipendente non è perché è già mainstream da anni e anni, vedi vari Gazzelle, Calcutta, The Giornalisti.
Praticamente è il genere di De Gregori ripescato dal 2002 in avanti.
Negli ultimi vent’anni il genere cantautorato con un linguaggio più letterario e oggi scarnificato dalla poesia e messo nel realismo più cinico e disilluso prende il nome di indie.
Ad esempio, Ligabue è un cantautore italiano melodico rock ma non è indie perché il suo linguaggio non ha a che fare con il linguaggio urbano e nemmeno con quello del minimalismo del quotidiano e della frustrazione vista come disagio o come rassegnazione umana.
Ecco questo è un po’ la definizione che do al genere indie se tu ascolti le canzoni di Gazzelle sono storie d’amore distrutte, come anche quasi tutte quelle di Calcutta e c’è un piccolo, anche non troppo piccolo, occhiolino fatto agli anni 80, questa è un’altra caratteristica dell’indie. Se tu fai una roba troppo anni 90 scivoli in un altro genere e comunque questi generi si auto-talebanizzano.
In che senso?
Anche nel rap se cambi due o tre suoni non sei più un hip hop, Ok? Però sono puttanate per quanto mi riguarda non mi interessa nulla preferisco vedere le cose come le vedo io, mi piacciono i suoni anni 80 quindi ultimamente ho scritto delle canzoni su delle strumentali anni 80.
Dipingi e scrivi anche?
Sì, io faccio tutta quella roba lì e fino a oggi l’ho anche fatto per sopravvivenza nel senso che non ho mai avuto un lavoro normale, l’ho avuto per un breve periodo come giornalista di provincia poi ho fatto altri lavori nel passato come tutti quanti quando studi e ti barcameni, tipo lavoretti di stagione, lavori nel bar, guardia bimbi, animatore, cantine sociali dove fai il vino per tre mesi e poi finisci. Cose molto brevi ma da quando ho 16 anni dipingo e vendo i quadri.
Scrivi anche, quindi qual è il tuo ultimo libro?
L’ultimo libro è una raccolta di racconti che ho fatto pubblicare in maniera indie, indipendente, e sto aspettando una casa editrice che me lo pubblichi in maniera più professionale.
Quello che sto scrivendo adesso si chiama Piemonte americano, la raccolta di racconti si chiama Nessuno se ne accorse che è il titolo di un racconto centrale mentre precedentemente l’ultimo romanzo si chiama Io ci vengo però non mi affeziono a nessuno.
Oggi sto scrivendo dei racconti brevi con questa poetica del Piemonte americano. Su Piemonte americano è successo questo che uno dei racconti è stato pubblicato in una raccolta di AAVV di una casa editrice di cui non ricordo il nome quest’anno. E il libro era anche presentato dal Salone del Libro ma ho fatto lo snob e siccome la copertina non mi piaceva non ho neanche approfondito oltre sul volume. So che è stato pubblicato perché mi è arrivata la mail ufficiale.
Te ne manderanno una copia magari…
Molto probabilmente sì e scoprirò poi qual è la casa editrice, mi hanno selezionato e ho mandato tutto, era una specie di concorso anche questo. Mi ero dimenticato anche, faccio il figo, di averlo mandato però son contento che sia lì ed è per me è un orgoglio perché è carta stampata e mi piace sempre.
Qual è il titolo?
Si chiama appunto Piemonte americano ed è un racconto che ho scritto l’anno scorso ad Aprile. Quest’anno ho scritto un racconto nuovo che si chiama Tupperware che se voleste potreste pubblicare visto che l’altro è già stato pubblicato.
È inedito?
Per adesso sì. È quello che non è stato selezionato qui nel premio inediTO perché ho partecipato anche con quel racconto lì oltre che con i testi; quindi, è stata una bella casualità al contrario.
È uno sguardo su un pezzettino di vita che mi sono inventato però che assomiglia molto a qualcosa che ho vissuto in maniera indiretta e il Piemonte americano lo vedo io perché per certi versi potrebbe non voler dire niente ma in realtà io vedo l’America perché mi piace molto la letteratura americana, anche se non li conosco tutti mi piace molto Carver, Caldwell, Munro, O’Connor, Fitzgerald, ce ne sono talmente tanti che metà bastano comunque mi piacciono molto gli americani minimalisti.
Ti piace Hunter Thompson?
Sì, perché parlano di quella vita piccola e pesante, di quelli che parlano del sogno americano svanito. In questi giorni sto proprio leggendo Paura e disgusto a Las Vegas e mi piace molto.
E poi mi piacciono le cose più anni 50 che sono quelle di quella America che assomiglia molto al Piemonte, secondo me e quasi quasi è America piemontese perché è divertente immaginarsela in questo modo. Ci sono delle case, ci sono dei borghi, ci sono anche qui delle praterie piccole che nel piccolo assomigliano all’America e soprattutto certe facce, certi personaggi soprattutto in campagna. La campagna piemontese dove ho messo il naso io per certi versi ha tanta America. Quell’America un po’ fuori dai binari che si legge tantissimo nelle varie opere degli scrittori citati e che comunque hanno di per sé una natura poetica profondissima, un dramma umano incredibile e assomigliano tantissimo a noialtri. Noialtri inteso esseri umani.
Quali sono i tuoi progetti futuri e qual è il tuo obiettivo artistico?
Mi piacerebbe tanto venire riconosciuto come creativo a livello nazionale e mi interessa tantissimo che venga messa una lente di ingrandimento sulla narrativa perché penso che sia la cosa che io faccio con più attenzione.
La pittura mi potrebbe salvare le terga per quanto riguarda le cose super pop però mi rendo conto che tra la scrittura e la pittura c’è un divario enorme e ti faccio questa metafora che è esagerata però rende molto bene.
Fai conto che nella mia testa sono uno Schifano come pittore però credo di essere attento come Caravaggio nella scrittura. L’attenzione che metto nelle cose che faccio nell’arte visiva è istintiva al 100% e per mestiere siccome sono 25 anni che dipingo in questo modo (dipingere è anche una parola esagerata, sottolinea) che sono uno che usa dei pennelli, delle pennellesse sono uno che usa delle cose molto grezze per dipingere, l’olio l’avrò usato tre volte, non sono uno che fa i particolari, i particolari non li lascio neanche al caso, non li faccio punto. Mentre invece nella scrittura riesco a essere molto attento molto presente e sto imparando molto grazie a un amico che abbiamo in comune e che è appunto Matteo Colombo che mi sta facendo da supervisore buono sull’attenzione e la stesura di quella che è la narrativa, quella vera.
Il mitico Matteo Colombo grande traduttore di Salinger…
Un racconto di getto è come un quadro senza i particolari poi però il quadro lo appendo e se piace lo vendo perché i colori son già sgargianti.
Invece al racconto metto mano almeno sette o otto volte e cambia faccia ogni volta finché non arriva vicino alla cosa più bella che potevo fare. Questo lo faccio con un tipo di sacralità diverso e mi piacerebbe che l’Italia si accorgesse di Morbelli come scrittore.
Poi che la scrittura la possa usare nelle canzoni, (sempre soltanto le mie perché non mi piacerebbe che qualcun altro le cantasse) o d’altra parte che piacesse un mio racconto che magari diventasse virale o che diventasse film un mio piccolo romanzo, insomma questa roba qui mi piacerebbe tantissimo.
Non ho molto tempo da dedicare a questo tipo di attenzione perché la mia vita purtroppo è segnata da una serie di caratteristiche per cui la realtà è più importante della finzione, nel senso che devo fare tante cose per sopravvivere e per scrivere ci vuole una sorta di naturale assenza di impegni.
Non è che si debba avere per forza la casa in collina oppure sulla scogliera di Dover. Però un po’ di pace sotto i piedi e di terraferma sì, sennò ti viene quell’ansietta che non funziona bene poi per scrivere. Non so se per te è la stessa cosa. Matteo Colombo che fa il traduttore professionista da vent’anni spesso va nelle residenze di artista in Toscana e in questo momento è lì. Ed è con altri scrittori professionisti a fare dei lavori, ognuno per conto suo. E lì conosce scrittori che in 8 ore fanno un paragrafo di sei righe. Poi magari è esagerato da una parte e ognuno ha la sua tecnica però è una roba importantissima sapere che esiste quel tipo di tempo lì.