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Una continua domanda

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Non l’ho capito oggi, ma già da una settimana. È la stessa cosa. La settimana scorsa ho raccontato a un amico ebreo una sintesi del rabbino di Trieste, lo ricordo ancora, ripeteva sempre, era il suo intercalare, Leben lebenswert, era il suo “cioè”, insomma mi domandò, ripetendo la mia domanda, non avevo vent’anni, prima che mi trasferissi a Bologna: “Che cos’è l’ebraismo? Una continua domanda”, disse. E il mio amico: “Credo al contrario che non sia altro che risposta.” Ma è la stessa cosa. Non conoscevo allora nel ’76 il passo di Gershom Scholem (Giona e la giustizia). La domanda è un ciclo infinito… Questa “ebraica” domanda può essere indicata come mediale, essa non conosce alcuna risposta, cioè la sua risposta deve essere di nuovo essenzialmente una domanda; non vi è il concetto di risposta nell’ebraismo inteso nel suo senso più profondo. Non vi sono nella Torah né domande né risposte. La parola ebraica per risposta è Teshuvah, che è tradotta “replica”, “ritorno”, cioè alla stessa domanda, che riceve un nuovo inizio e ritorna.

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