Correva l’anno 2011, era Agosto e faceva molto caldo. Eravamo su una spiaggia affollata, eravamo giovani e progettavamo il nostro futuro.
“Io ci riuscirò ad entrare in Libia. Io ce la farò!”
A dirlo ad una me rapita da così tanta determinazione era Nancy Porsia, che pochi mesi dopo sarebbe riuscita a fare ciò che più di ogni altra cosa avrebbe voluto fare: entrare in un terra inaccessibile e raccontarla dal suo interno.
Quella ragazza ce l’ha fatta: Nancy Porsia, giornalista indipendente e di straordinaria bravura, è riuscita a raccontare magistralmente una terra ma soprattutto l’umanità di quei luoghi come probabilmente nessuno ha mai fatto.
Ho la fortuna di conoscere Nancy di persona e di aver visto il luccichio dei suoi occhi quando condivideva la sua voglia di raccontare la storia di una terra e di un popolo che aveva il diritto di essere raccontato nel profondo.
Mal di Libia. I miei giorni sul fronte del Mediterraneo (Bompiani, 2023, 290 pagine, 18 euro) è un viaggio che parte da Matera, città in cui l’autrice nasce e in cui capisce da subito quale sarà la sua strada: mostrare la verità dando dignità a storie che meritano di essere raccontate.
Ci accompagna nella narrazione partendo dai suoi primi passi nel giornalismo. Con generosità ci racconta gli anni in cui cercava la sua strada; ci racconta le sue vicissitudini familiari che aprono lo sguardo su ciò che già allora sentiva, su ciò che già da giovanissima era: una donna forte che non avrebbe accettato certi tipi di compromesso. Una donna che aveva bisogno di comprendere, capire e condividere quelle verità che avrebbe scoperto negli anni immergendosi completamente in quello che amava fare. I racconti della nonna Maria lasciano in lei un segno profondo che contribuirà a mettere a fuoco ciò che vorrà raggiungere nel suo futuro.
Matera le sta stretta, così decide di cercare la sua strada altrove.
Viaggia tra Nord Africa, Europa e Medio Oriente, fino ad approdare in Libia, a Tripoli, poche settimane dopo la morte di Gheddafi.
Si dice di aver mancato un appuntamento cruciale con la storia ma ve ne saranno molti altri che, meno rilevanti mediaticamente, segneranno il suo percorso di giornalista e di essere umano.
In questo romanzo l’autrice ci mostrerà ciò che i suoi occhi, la sua carne, il suo cuore ha vissuto, e lo farà con una forza instancabile che accompagnerà l’intero suo viaggio.
Vivrà sulla sua pelle una terribile guerra civile, scoprendosi fragile e coraggiosa allo stesso tempo; ci porterà in quelle strade, facendoci vivere insieme a lei la tensione di certi incontri, la voglia di addentrarsi nella storia di un popolo pieno di contraddizioni. Un popolo che diventa vittima e carnefice al tempo stesso. La sua narrazione è così realistica che ci sembrerà di guardare in faccia i volti dei protagonisti delle sue storie, ci sembrerà di conoscerli. E saranno proprio quei volti il fulcro della narrazione: raccontare una guerra attraverso le storie di uomini, donne, bambini, nel tentativo di rendere umano ciò che non sembra affatto esserlo.
La storia di quel popolo si incastra con la storia dell’autrice, quella di una donna, una giornalista indipendente, che cerca di farsi spazio in un luogo ostile ma verso il quale prova un profondo legame.
Il suo è un legame con i libici e le libiche, figure centrali del libro, tramite cui la Porsia cerca di ridare una dignità al popolo libico, per dare un volto alla Libia e non solo una posizione geopolitica. L’autrice ci porta nella quotidianità di un territorio in cui lei vive da anni, non è una giornalista di passaggio, ma una giornalista che ha costruito legami nel tempo raccontati con un fermento e un coinvolgimento reale che traspare ad ogni parola. Con lei attraversiamo le strade, i vicoli, le piazze; camminiamo sulle spiagge abitate da corpi senza vita. Le vittime, indipendentemente da come e perché lo sono state, rimangono vittime e l’autrice si stringe intorno ad esse per raccontare la follia di una guerra.
Questo è un libro di denuncia, un libro che fa chiarezza su ciò che accade in un territorio su cui i riflettori del mainstream non si accendono. È un libro colmo di umanità, che mostra un volto inedito di un popolo che, nonostante la sua condizione, accoglie e supporta uno straniero, un’italiana che è lì per fare il suo lavoro.
È un libro che dona dei volti ad una massa che pareva informe, che restituisce dignità ad un popolo narrandone la propria quotidianità.
È un libro in cui vediamo tutto il cuore dell’autrice che prima ancora di essere una giornalista è una donna che ha deciso di vivere anni in un luogo di guerra, in cui ha messo a repentaglio la propria vita. Una giornalista che non si è tirata mai indietro. Una giornalista indipendente che ha vissuto questa esperienza con tutte le difficoltà di chi non ha le spalle coperte, che ha fatto forza solo su se stessa e sul legame indissolubile che ha avuto con questa terra.
Ed è quel legame che traspare da queste pagine, quel legame che coinvolge il lettore. È quel legame che rende questo libro una testimonianza diversa, preziosa, indispensabile per comprendere pienamente una terra difficile e ostile ma che ha anche saputo stupirla e aiutarla. Nancy Porsia ci dona i suoi occhi per fotografare ciò che pochi sono riusciti a mettere a fuoco, e non con tutta questa nitidezza, e alla fine della lettura di questo libro a rimanere saranno delle immagini così vivide che il mal di Libia, in qualche modo, lo sentiremo forte anche noi.
Nancy Citro
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Nancy Porsia, Mal di Libia. I miei giorni sul fronte del Mediterraneo, Bompiani, 290 pagine, 18 euro