Si muove oltre le parole, un senso di presagio incombente, a gravare sulle esistenze dei protagonisti del nuovo romanzo di Rossella Milone, ennesima pubblicazione di una collana raffinata i cui testi, in bilico tra romanzo breve e novella, non smettono di regalare suggestive epifanie.
In un contesto gravido di disincanto, nel susseguirsi di una quotidianità in cui l’empatia pare essersi persa nella frenesia delle incombenze, riuscire a provare ancora qualcosa sembra essere la nuova eccezione. Un prodigio dell’anima che appare come un superpotere, quello di Alessio, l’educatore in grado di “sentire”. Un corpo in costante ricezione degli stati d’animo che ne sfiorano l’esistenza, in primis i bambini, quelli che ogni giorno affollano le classi dell’istituto in cui prende servizio, Teo, fra tutti, un putto introverso le cui azioni comunicano più di ogni parola.
Nel paese di poche anime ai piedi del vulcano, la cui presenza resta un monito ignorato ma onnipresente, gli analfabeti tutti (gli altri) sono comparse incapaci di porsi domande. Ogni meraviglia s’è smarrita in quel continuo rincorrere scadenze, programmare, appuntare, giudicare, senza prendersi il tempo per comprendere.
In questo quadro di gelido disincanto, appare come un essere mistico e ancestrale Tilde, la Janara che legge i fondi del caffè, l’eremita che raccoglie pietre nei boschi, la compagna di Alessio che ha preferito prendersi cura dei cavalli piuttosto che aver a che fare con le persone. Con lei le parole sono accessorie, il suo rapportarsi al compagno è un tacito accordo della carne e del rispetto, un porto sicuro al turbinio degli scompensi provocati da quel troppo sentire di colui che l’alfabeto dei sensi lo conosce fin troppo bene.
«Alessio a volte non capiva dove finiva lui e dove iniziavano gli altri, e spesso aveva bisogno di lunghi periodi di sonno. Il sonno placava il turbinio delle storie degli altri, e aveva imparato ad addomesticare la loro invadenza innalzando confini, steccati, fili spinati».
Di muri e barriere, dunque, di confini e violazioni sono colmi i bilancieri di quest’equinozio in bilico perenne tra il martirio e l’epifania. Rossella Milone ci presenta una manciata di anime le cui vite restano impresse quanto le loro debolezze. Capita di riconoscersi nella spossatezza di Alessio, nella sua crociata del fallimento verso una società incapace di comprendere, farsi carico del dolore, poggiare una mano sulla spalla invece di puntare il dito.
“S’è persa ogni magia”, pare volerci suggerire l’autrice, infondendo la sua prosa risoluta e suggestiva di quello stesso un sortilegio silente. Un moto danzante la cui eleganza ci accompagna costante tra le pagine, costruendo un sottotesto di tensione, sensoriale ed emotiva, destinata a detonare in un epilogo che è puro terremoto del sentire.
«Alessio aveva capito che i vecchi, i bambini e i moribondi li tollerava meglio, visto che sia i vecchi che i bambini che i bambini che i moribondi sanno fare pace con la vita. Era la stessa cosa che Tilde gli diceva a proposito dei cavalli, di quanto si sentisse a suo agio con loro, dato che lei aveva deciso da tempo di preferire gli animali agli esseri umani».
In questo riconoscersi nei cedimenti, si ha l’impressione di poter far pace con qualcosa di fin troppo vicino, di acquietarsi nella consapevolezza di non esser gli unici a conoscere alfabeti incomprensibili, di potersi rifugiare nelle parole di un testo che, mostrando cicatrici altrui, apre un dialogo con i fantasmi nostri.
Stefano Bonazzi
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Gli analfabeti
Rossella Milone
Industria & Letteratura
10,00 euro — 110 pagine