Capita a volte, soprattutto nel periodo estivo, di ritrovarsi a camminare per le strade della propria città illudendosi di essere soli, eppure il traffico quietato, l’esodo balneare, le serrande abbassate, non sono solo sinonimo di solitudine, semmai uno stimolo a volgere lo sguardo agli angoli meno battuti. Ecco, quindi, che decidere di percorrere quel vicolo secondario che mai si era imboccato, quel sottopassaggio angusto, sedersi all’ombra di un albero oltre i confini consueti, possono rivelarsi fonti di sorpresa, scoperta e, sia mai, inedita consapevolezza.
Anche in casa, c’è un mondo animale che si nasconde negli anfratti dei battiscopa, sotto i cornicioni, dietro cumuli di spazzatura, un ecosistema che siamo abituati a dare per scontato, quasi irritante, in quel suo arrabattarsi continuamente per guadagnare un angolino delle nostre abitazioni, per far casa nei posti in cui non ci degniamo di posare il dito, per cercare riparo e un boccone sotto le foglie delle nostre piante fresche di negozio. Un mondo di cui conosciamo solo una minima parte ma, senza il quale, la nostra sopravvivenza cambierebbe drasticamente.
Marco Granata, biologo e appassionato del mondo naturale fin dalla nascita, in questo libro al confine tra saggio e racconto, si improvvisa cicerone -in primis osservatore- di una topografia animale ben diversa da quella contenuta nei classici tomi naturalistici.
Tracciando un ideale percorso che parte dalle mura dell’appartamento in cui si è dovuto trasferire per lavoro fino ai (non)luoghi suburbani della provincia, il suo resoconto di montanaro trapiantato in città si trasforma dunque in un diario dal fine equilibrio, una narrazione dai toni confidenziali che strappa più di un sorriso in quel continuo ritrovarsi e riconoscersi nelle situazioni più comuni di convivenza con blatte, scarafaggi, piccioni indiscreti e gabbiani dagli sguardi inquisitori.
L’epopea di Granata parte proprio dalle blatte (Blatta orientalis), senza indorare la pillola o preoccuparsi di rendere il tutto fintamente edulcorato, l’autore non si fa scrupoli nell’elencare per ogni specie incontrata sul suo cammino, caratteristiche identitarie, grado di pericolosità, capacità di adattamento e, soprattutto, il rischio di estinzione. La riuscita del testo si realizza infatti nella sua capacità di alternare un’apparente leggerezza (e finezza) prosaica all’indottrinamento del lettore su temi cardini come la classificazione delle specie in via d’estinzione fino ai rischi che ne potrebbero derivare per l’ecosistema e per la sopravvivenza dell’uomo stesso.
Un testo ricco di citazioni, che spazia oltre il focus primario, regalandoci anche interessanti excursus letterari (si pensi al tedio per le zanzare nel racconto di Landolfi o il dialogo con un gabbiano ipotizzato da Primo Levi) la noia dunque resta bandita nonostante la mole di informazioni presenti, la quantità di dati, terminologie scientifiche, suggestive illustrazioni a corredo del testo.
Su questo mi sento di ritornare, sulla fruibilità di un testo che non deve essere frainteso come saggio, seppur il mio invito sia quello di poterlo vedere presto sui banchi delle scuole, negli scaffali delle biblioteche, negli zaini di una folla che magari, per una volta, si ritaglierà un minuto della sua imprescindibile routine per fermarsi ad ascoltare il messaggio della terra.
Che ci si trovi sulla riva di un fiume o all’ombra di un palazzo storico, il sottotesto infatti resta il medesimo per ogni capitolo: il tempo è breve e noi non siamo immuni all’estinzione. Tocca quindi rassegnarsi all’ipotesi di lasciare questo mondo in mano ai ratti o agli scarafaggi?
Per una gazza perspicace che ha imparato ad aprire noci sotto i copertoni delle auto che si fermano al semaforo ci sarà sempre una specie meno fortunata che non potrà contare sulla stessa capacità adattiva e il rischio di diventare bottino di un predatore non sempre è da ricondurre alla saggezza di madre natura. In questo l’autore non smuove accuse né formula profezie ma fa parlare i dati e la sua attenta analisi della situazione attuale ci permette di comprendere quanto parte di questo dislivello evolutivo sia in realtà colpa dell’intervento umano. Tante sono le specie invasive importate a fini meramente ludici o di lucro (si pensi alle testuggini per la vendita domestica o ai fagiani per la caccia) il cui impatto sull’ecosistema autoctono si è rivelato negli anni catastrofico.
Il danno maggiore è nostro, non ci sono giustificazioni. Per questo è necessario sviluppare una consapevolezza maggiore e occorre farlo a stretto giro. Prenderci cura del nostro habitat significa prenderci cura di noi stessi, indipendentemente dal contesto in cui ci troviamo. Non limitiamoci dunque ad osservare e preservare i luoghi bucolici, gli scenari da cartolina, partiamo da noi, dalle nostre abitazioni, dalle strade che percorriamo quotidianamente.
In ogni piccolo gesto risiede il tassello di un progetto più ampio, in questo si realizza la preghiera di un autore e di un testo gentile e generoso che si realizza nell’intento più nobile: aprire gli occhi verso una conoscenza pragmatica, una convivenza possibile, mai come oggi, indispensabile.
Stefano Bonazzi
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Bestiario invisibile. Guida agli animali delle nostre città
Marco Granata
Il Saggiatore
22,00 euro — 320 pagine