Questa settimana, prima di lasciarci per la pausa estiva e ritrovare a settembre le risposte alle domande del Libraio, incontriamo lo scrittore Gianluca Liguori per farci raccontare qualcosa in più intorno a “Vite di Traverso”, il libro uscito il 28 aprile scorso per la Collana Specchi di Alter Ego Edizioni.
Gianluca, sei stato fondatore di “Scrittori precari”, redattore di “Frigidaire” e direttore della rassegna “La letteratura al bar e in boutique”; prima di addentrarci tra le pagine del romanzo, ci vuoi portare nel dietro le quinte della lavorazione e spiegare anche più nel dettaglio il tuo percorso nella scrittura prima di arrivare a pubblicare per Alter Ego?
Credo che il mio percorso nella scrittura, come forse è naturale e comune, affondi le sue radici nella mia esperienza di lettore. Ho imparato a leggere e a scrivere, grazie agli insegnamenti della mia nonna maestra, ben prima di iniziare le scuole. Pensa che per la prima comunione chiesi in regalo un dizionario di italiano tutto mio, il Devoto-Oli che da allora mi accompagna.
Sempre in quegli anni, con la lettura del primo romanzo, “La capanna dello zio Tom”, scoprii la magia della letteratura, il suo potere di creare emozioni e la forza con cui una storia può trasmettere delle idee. A otto anni avevo la mia collana preferita, la Biblioteca Verde di DeAgostini Ragazzi, in cui trovai i miei primi autori preferiti: Twain, London, Stevenson, Verne, Molnar, Kipling. Le biografie di certi scrittori e poeti, le vite degli artisti e gli epistolari mi incuriosivano talvolta persino più delle opere.
Mentre leggevo, succedeva la vita: attraversavo l’inconsapevole infanzia e l’insostenibile adolescenza. Alcune consecutive vicende familiari fecero sì che in me si formasse un forte sentimento di perdita, di mancanza, di precarietà. Tutto il resto è stato conseguenza.
Qualche anno più tardi, diciottenne nel Duemila, facevo il mio approdo a Roma con la macchina da scrivere di mio nonno e una valigia di disagi, paranoie, incertezze, ossessioni e questioni irrisolte, ma un unico scopo: scrivere un romanzo. Ero giovane e disperato e pazzo come non sono mai più stato, convinto che il dolore che sentivo fosse lo stesso che leggevo in Leopardi e in Baudelaire, che leggevo in Kerouac e in Bukowski, in Hamsun e in Fante, l’ottava elegia duinese di Rilke mi devastava ogni volta che la rileggevo e mi specchiavo ne I quaderni del Malte Laurids Brigge; forse più di tutto cercavo di dare, per mezzo della letteratura, una forma al dolore. Dopo un anno a Lettere e uno a Psicologia lasciai l’università e iniziai a lavorare in un ristorante a Trastevere. Nel settembre del 2003 trovai lavoro in un discount, pochi mesi dopo, il pomeriggio di natale di quell’anno, dopo anni di tentativi e fallimenti e abbandoni, iniziai a scrivere il primo romanzo che portai a una conclusione. Avevo ventuno anni, ero l’unico tra gli amici e i conoscenti che lavorava, ero quello che stava scrivendo un romanzo, ero lo scrittore. Scrivevo per necessità, per difendermi, per cercare la mia parte nel mondo, per trovare la mia identità,
Ho scritto “Vite di traverso” dieci anni dopo, dieci anni fa, dopo aver attraversato gli anni Zero, nel mio piccolo, da protagonista: ho vissuto la lit-web ai suoi albori e ne ho contribuito alla diffusione, ho preso parte e dato vita a numerosi progetti, sono entrato in contatto con migliaia di scrittori, veri e presunti o sedicenti, espressi, potenziali, i peggiori e i migliori. Ho fatto conoscere persone tra cui sono create amicizie incredibili. Negli anni mi ero costruito fama di agitatore culturale, mi invitavano a parlare ad incontri, festival, persino in un paio di università. Sono stati anni intensi, pieni, pazzeschi. Ho trovato, soprattutto, importanti amicizie. Però non pubblicavo nessun romanzo.
Non è un caso, forse, che ho scritto “Vite di traverso” in un periodo di passaggio della mia vita, pochi mesi dopo aver lasciato Frigolandia – dove ha sede la redazione di Frigidaire in cui vivevo dall’agosto del 2011 – e pochi mesi prima di chiudere Scrittori precari. Scrissi la prima stesura in quattro sessioni di scrittura in quattro città diverse, nell’ultimo trimestre del 2013, in quelli che, senza saperlo, erano gli inizi di quel periodo della mia vita vagabonda: sto parlando di dieci anni e molte vite fa, quando ero una persona e uno scrittore diverso da quello che sono oggi che è arrivata la pubblicazione per Alter Ego.
C’è da dire, e concludo, che senza dubbi gli anni incredibili e gloriosi dell’esperienza di Scrittori precari e i due anni di lavoro per Frigidaire (ma ancor di più e soprattutto le invenzioni e le scritture per Il nuovo Male, nonché la quotidiana frequentazione di Vincenzo Sparagna) hanno certamente avuto, per motivi molteplici, un’influenza fondamentale e diretta su “Vite di traverso”. Si è trattato del resto di due esperienze uniche e irripetibili. Scrittori precari – oltre a tutto il resto – mi ha dato, innanzitutto, un campionario umano di personaggi, figure, storie, aneddoti, da cui ho attinto a piene mani per costruire i personaggi e le vite che attraversano quelle del protagonista e le strade di San Lorenzo. Ogni personaggio è stato costruito su tratti presi da almeno una decina di persone reali al servizio dell’invenzione. Mi interessava poi declinare i vizi dello scrivere in ogni sfaccettatura, e per farlo le armi della satira e del grottesco mi sembravano gli strumenti ideali. I quasi due anni di scrittura per Il nuovo Male, con finti finti articoli, rassegne stampa con notizie inventate, false prime pagine di giornali falsi o inventati, sono stati una palestra fondamentale: era un continuo gioco di scambio e invenzione di nomi, luoghi, storie, libri, personaggi. Su queste basi, e su tutte le letture masticate e vomitate negli anni, ho costruito “Vite di traverso”.
È arrivato il momento di svelare cosa sia “Palle Scassate”, l’unico introvabile libro scritto da Simone T. uno dei protagonisti del romanzo. A partire da questa trovata punk andiamo nel vivo e immergiamoci a piene mani nella Roma creativa che emerge dal libro e tra le vicende dei personaggi che animano questo romanzo estremamente lavorato e moderno?
“Palle scassate” è lo pseudobiblium intorno a cui si muovono e si intrecciano le vicende (e le esistenze) dei numerosi personaggi che affollano “Vite di traverso”, che è un romanzo polifonico, costruito – come ha detto più d’uno – al contrario: inizia con l’epilogo e si chiude con un antefatto. “Palle scassate” è un libro misterioso e appunto introvabile, il cui autore è un giovane studente siciliano di cui si conosce poco e, su tutto, si sa sin dall’inizio che il suo cadavere, con una strana scritta sulla pancia, è stato trovato sotto la finestra del suo appartamento.
C’è quindi la storia di Simone T. raccontata attraverso frammenti sparsi, aneddoti e storie della sua infanzia e della sua giovinezza, ricostruiti talvolta dalla prospettiva di chi lo aveva conosciuto, o era entrato in contatto con “Palle scassate”. Simone era un’idealista, ma allo stesso tempo veniva visto come lo scemo del villaggio: andava in giro leggendo pagine dei classici negli ospizi, nei centri commerciali e nei posti più bizzarri, mettendo in guardia dai mali del mondo e invitando gli altri a umanizzarsi attraverso la lettura. Simone è stato senza dubbio una delle vittime della sua epoca, nonché del proibizionismo, un altro tema centrale del romanzo.
“Palle scassate”, il libro che Simone scrive grazie alla sua amata Silvia, è l’elemento che mi ha permesso di gestire la deflagrazione di personaggi che venivano fuori scrivendo questa storia, e tutte le storie che l’attraversano. Come quella di Silvia, appunto, che avrà un ruolo determinante (e farà un pazzesco gesto d’amore) per “Palle scassate” anche dopo la morte di Simone. E poi c’è la grande amicizia tra Simone e Rodolfo, che metterà il suo zampino nella realizzazione del libro e, dopo, si impegnerà per farlo arrivare a una persona a cui doveva arrivare. E, ancora, c’è il giornalista palermitano Saverio Rizzo, che riceverà per un suo articolo una telefonata da Marcello Dell’Utri, ma vedrà la sua carriera subire un’inspiegabile caduta proprio a causa di “Palle scassate” e del suo autore Simone T.. Un altro personaggio cardine è il blogger Natalino Calvino, pseudonimo dello studente calabrese Aldo Gerace che, dopo essersi in gioventù ispirato proprio a Simone T., saprà trarre, in maniera poco convenzionale, notevoli vantaggi da “Palle scassate” e ciò che gli gira intorno. Come non menzionare poi il critico milanese Gianfranco Pulcino, che incontrerà “Palle scassate” addirittura due volte, e si caccerà nei guai a causa della sua passione per i libri e per le belle donne.
Intorno alle loro vicende si muovono poi le vite “di traverso” di altri particolarissimi personaggi, dall’imprenditore ed editore milanese Fumagalli all’avvocato gelese Cesare Madonia, dalla scrittrice Giada Profumata al temibile Zio Ghiaccio, e poi gli scrittori-pusher Dario Ballotta e Alfonso Mancinelli, il potentissimo onorevole D.C., il filosofo Tommaso Didimo, e altri ancora. Ma su tutti, sicuramente, svetta il quartiere romano di San Lorenzo – da me frequentato prima negli anni universitari e poi in tantissime serate in quelli di Scrittori precari -, che è il luogo dove si svolgono le vicende cruciali e che assume quasi le fattezze di un personaggio. Del resto non avrei potuto ambientare altrove questa storia. Per molti anni San Lorenzo è stato uno dei luoghi di maggior fermento, era un punto di incontro, c’erano centri sociali, bar di ritrovo, ma soprattutto c’era la piazza, dove ci si dava appuntamento, anche solo per capire dove andare, sapere cosa c’era in giro a Roma, o solo a comprare la droga oppure organizzarsi per raggiungere un rave.
Un’altra cosa che mi premeva raccontare, e non so quanto ci sia riuscito, era anche la fine di un certo modo di intendere gli ideali, la lotta, il conflitto, la politica. Forse proprio gli anni Zero hanno creato una frattura. Come se certi ideali, certi modi di fare, di vivere, di pensare, di lottare, che si erano tramandati per generazioni, dai fratelli maggiori ai minori, dagli zii ai nipoti, si fossero interrotti alla generazione dei figli unici. Ciò forse ha creato una frattura, una crepa, una distanza, che fa sì che oggi non sappiamo cosa pensano i ventenni e i sedicenni, e non sappiamo parlargli, men che meno ascoltarli. Personalmente penso che in ogni caso abbiano ragione loro.
Racconti la vita letteraria di inizio millennio ma soprattutto racconti di umane solitudini con tutto il carico di fragilità e incertezze. Un libro che scuote e interroga ciascun lettore questo “Vite di traverso”, e che innesca anche una serie di interrogativi e riflessioni profonde su cui confrontarsi, che è quello, poi, che fa la buona letteratura: aprire varchi che portano verso altri libri, altre storie. Da persona molto dentro il mondo dei libri, e in un paese dove non si legge abbastanza, ci spieghi la tua personalissima idea per raggiungere lettori e andare a pescare pure nel pubblico dei non lettori, e ovviamente se ci dici anche qualche titolo e autore da abbinare a “Vite di Traverso”, questa estate?
C’è stato un momento storico, unico e irripetibile, in cui la civiltà – e il mondo come lo avevamo inteso sino ad allora – stava crollando. Il tempo che racconto in “Vite di traverso”, ma non potevo immaginarlo quando l’ho scritto, è quello che è accaduto “un attimo prima della catastrofe”. Più d’uno, parlando o scrivendo del libro, ha detto che ho raccontato gli anni Zero, oppure in un paio di presentazioni è stato detto che, se già ai tempi del G8 di Genova, nel 2001, gli anni Novanta erano già storicizzati, il decennio che ne è conseguito era ancora troppo vicino, vi eravamo troppo dentro per avere cognizione del mutamento epocale che stavamo subendo, e secondo qualcuno “Vite di traverso” è la fotografia di quell’istante, quel decennio, in cui sembrava che tutto potesse succedere, e forse è successo, o forse no.
Certamente, per casuali ragioni anagrafiche, mi sono trovato a fare attività para-editoriali quando i primi blog erano nati da non molto e le riviste letterarie online si contavano sulle dita di una mano. Era un internet diverso, non eravamo ancora entrati nell’epoca del dominio dei social, anzi. La rete sembrava dare nuove e incredibili possibilità, i social abolivano le distanze, erano un luogo dove erano possibili discorsi, scambi, aggregazione, socialità. Inoltre ciascuno misurava i propri confini, da difendere o oltrepassare, nell’individuale rapporto tra pubblico e privato. Quando, nel 2008, mi sono iscritto a Facebook, non c’erano ancora i like, anche le fotografie non erano molto utilizzate e, all’inizio, si parlava di sé in terza persona. Eravamo davvero in pochi: tra i miei primi venti amici sul social, per esempio, c’era Giuseppe Genna, con cui ero entrato in contatto un anno prima su Myspace, che è stato tra i primi scrittori viventi che ho incontrato quando, da lettore, mentre mi affacciavo al web, scoprivo Carmilla, Nazione Indiana, Giap!. Con Scrittori precari avevamo avuto la fortuna, e forse anche un po’ la bravura dai, di costruire una piccola comunità che viveva dentro e fuori il web. Questo mi ha consentito di avere la fortuna di vivere in prima persona una stagione che non si potrà ripetere, eravamo pionieri di qualcosa che non sapevamo dove ci stava portando e ci avrebbe portato, ma vedevamo delle possibilità inedite per veicolare quello che ci stava più a cuore: la letteratura e la scrittura. Sono stati anni per me incredibili.
C’è un romanzo, a mio avviso una delle migliori opere di letteratura italiana degli ultimi venti anni, che ha raccontato meglio di ogni altro quanto stava avvenendo a proposito di social ed editoria, descrivendo come cambiavano (o si adattavano al nuovo mondo, ai nuovi modi) anche i sentimenti: è “Panorama” di Tommaso Pincio, che invito a cercare e a leggere a chiunque non l’abbia fatto. Tra l’altro pare che non sia di semplice reperibilità, i libri introvabili hanno già di per sé qualcosa di speciale, no? Per quanto riguarda altri titoli e autori da abbinare a “Vite di traverso”, mi viene in mente subito “Vite immaginarie” di Schwob, che cito in esergo, oppure leggere o rileggere “I detective selvaggi” (ma anche “2666” può andar bene), anch’esso in esergo nella prima stesura, e Borges (sempre, tutto), ma anche Wilcock potrebbe essere un’ottima alternativa. Oppure andate in libreria e chiedete al vostro libraio o alla vostra libraia. Saprà darvi senz’altro il consiglio giusto.
Per quanto riguarda, infine, le mie idee per avvicinare i non lettori ai libri, non sono più in prima linea come qualche anno fa, certamente sono ancora convinto che le persone abbiano – ora più che mai, o forse come sempre – bisogno di storie e di letteratura, solo che non lo sanno, o non hanno tempo, o non sanno trovarlo. Forse il modo è sempre il solito, sempre lo stesso: parlare dei libri che ci toccano qualcosa nel profondo, consigliare a chiunque quel libro talmente bello che pensi dovrebbe leggere chiunque. Poi magari qualche giovane si inventa qualcosa di nuovo: sta già avvenendo su TikTok, no?
Antonello, che dire ancora, se non grazie davvero molto per quest’intervista (e grazie a Satisfiction, di cui conservo ancora le copie del periodo cartaceo) e per quanto stai facendo per far leggere “Vite di traverso”. Ciò non toglie che quando verrò ai Diari ti porterò il conto dello psicanalista.
Buona Lettura di Vite di traverso di Gianluca Liguori e Buona Estate
Antonello Saiz