La bellezza, a volte, si nasconde. Viverla non è cosa da poco. Per accoglierla, spesso, si affonda nel dolore. Gocce e ondate di sofferenza silente che poi si fanno mare e lacrime. Nel mezzo ci stanno pentimento, rancore e passato sempre presente. Il tempo vecchio continua a vivere nella memoria e il dolore lo riporta a galla come i detriti mischiati al fango dopo una terribile esondazione. Sono così anche le tempeste emotive. Uragani che poi portano il sole. La bellezza la vedi alla fine. La riconosci. Hai l’animo bonificato dallo scuro di ciò che non sai e da quello che vivi attraverso le mezze parole, le offese, i silenzi, degli altri. Comprendi la sofferenza, ne fai parte. Ti lasci avvinghiare dal vortice di acqua e ossigeno che scalpiti a buttare fuori. Annaspi, soffochi e poi respiri. Ogni cosa a suo tempo. Puoi solo obbedire alla voce della coscienza anche se si scaglia contro le emozioni. Cerchi il perdono. Ognuno ha qualcosa da farsi assolvere, da mettere in ordine. In questo girone di sopravvivenza riemergi dall’apnea e vedi le cose in modo diverso. Se sei passato dal dolore assorbi appieno la bellezza. La capisci senza troppe volute di pensieri. Arriva diretta. Ti parla in modo schietto, puoi reggere il peso del suo valore andando incontro alle onde della verità.
In Come acqua comanda di Erica Donzella per Kalós editore (pagine 200, prezzo €16,00) conosci la storia della famiglia di Pietra, un’anziana con la treccia bianca sulle spalle curve e un bastone a tre teste. La sua anima porta il lutto per colpa dell’acqua, di un torrente che straripa. A raccontare tutto è Viola, la nipote di Pietra, una bambina di otto anni. Per tutti lei è un “masculazzu”, un maschiaccio. Dicono che sia strana, cammina sempre scalza in estate e si fa rispettare come i maschi quando qualcuno la offende. Come un rituale ripete le tabelline del tre, ma lei ha assaggiato il dolore. Sa, però, che la sofferenza si può trasformare in qualcosa di buono: nella fiducia.
Il romanzo, di una forza impressionante, ti mette con le spalle al muro. È carico di abisso e salvezza, di acqua e lacrime, di dolore e fiducia. La storia è intensa. La scrittura ha un peso nella nervatura della sua incisività e questo la rende, a tratti, poetica. Nell’insieme è portentosa.
Lucia Accoto