Di come sia celebrato e riverito in patria Colson Whitehead, lo scrittore americano più premiato degli ultimi trent’anni almeno, mi pare di averne già parlato anche su questo blog: due Pulitzer e un National Book Award vinti in poco meno di trentasei mesi con La Ferrovia Sotterranea e I Ragazzi della Nickel, e un terzo Pulitzer sfiorato nel 2001 con John Henry Festival. Piuttosto non vi ho ancora detto nulla del GRNN, il Grande Romanzo Nero Newyorchese al quale Whithehead ha iniziato a lavorare due anni fa con Harlem Shuffle (Il Ritmo di Harlem) nella scia di altri grossi autori che lo hanno preceduto, non ultimo E.L. Doctorow (Ragtime). Lo faccio adesso in occasione dell’uscita di Crook Manifesto (Manifesto Criminale – Mondadori editore, 378 pagine, traduzione di Silvia Pareschi), secondo capitolo di un progetto ambizioso e magari un giorno destinato a realizzarsi in altre forme oltre quella letteraria, cinema o serie tv – per la sceneggiatura basterà fare il copia-incolla col testo dei romanzi o aggiungere poco altro.
Crook in inglese vuol dire imbroglione, delinquente, definizione perfettamente calzante alla fauna umana che popola il romanzo o per meglio dire i tre romanzi inclusi nel libro, tra loro connessi in modo da formare un… sto per dire una brutta parola, tenetevi… AFFRESCO …ecco l’ho detta… del decennio più complicato della storia recente di New York: gli anni Settanta. Il protagonista di questa lunga vicenda iniziata con il romanzo precedente è un afroamericano di mezza età: Ray Carney. Il suo Carney’s Furniture, sulla 125ma, è il più avviato negozio di mobili di tutta Harlem, ma anche luogo o covo di strani traffici. Carney è quello che si dice un cittadino al di sopra di ogni sospetto, ed è per questo che ha finito per riciclarsi nella ricettazione (Carney preferisce chiamarla “Ricambio” la circolazione delle merci nella sua sfera illecita). Niente di serio eh, una parentesi breve, giusto il tempo di fare un po’ di grana e sistemare il negozio, comprare un paio di immobili, mettere da parte qualcosa per i figli. Oggi Carney riga dritto, così dice lui. Il fatto è che “il delinquente resta delinquente”, c’è poco da fare, e l’occasione per ricascarci è assai più banale di quanto si pensi, lo sono perfino un paio di biglietti per il concerto dei Jackson Five al Madison Square Garden. Glieli procurerà il detective Munson, ma il prezzo che Carney dovrà pagare sarà altissimo. Munson è il volto della polizia corrotta e tangentista smascherata da quel Frank Serpico, personaggio veramente esistito, portato al cinema da Al Pacino e Sidney Lumet.
Dicevo dei tre romanzi che compongono Crook Manifesto: con RINGOLEVIO siamo nel 1971. Ringolevio è un gioco che bene o male abbiamo fatto tutti da ragazzi: guardie e ladri, acchiapparello, nascondino, secondo le diverse declinazioni. È la parte migliore del libro, quella in cui assistiamo alla nuova metamorfosi di Carney: l’uomo, il marito, il padre, l’imprenditore (la metanarrativa di Whitehead che diventa spot da Poltrone & Sofà per decantare la merce del Carney’s Furniture, è magnifica) al centro della storia (privata e pubblica) di una New York che non ha ancora smaltito i postumi delle Pantere e degli assassini di Martin Luther King e Bob Kennedy, e che ora sta per imboccare un tunnel ancora più buio, se possibile, flagellata com’è dalla violenza di strada, dalla droga e dalla sporcizia “Capivi che la città stava andando in malora quando anche l’Upper East Side cominciava a fare schifo… Si insinuava in tutti, come una tenebra che dilagava sopra l’East River e penetrava nel vasto reticolo di strade, il timore che le cose non fossero più come prima e sarebbe passato molto tempo prima che ritornassero a posto”.
NEFERTITI T.N.T. sposta le lancette a due anni dopo. Carney non c’è. Sulla scena compaiono Pepper, un autentico delinquente afroamericano, e il suo sodale Zippo, altro personaggio eclettico, multiforme, fotografo porno soprattutto “Harlem era cambiata. I delinquenti non avevano un codice d’onore, e neppure un briciolo di classe”.
Nefertiti T.N.T. è il titolo di un film ambientato negli stessi luoghi del romanzo, un gioco di specchi che riflette le storie e che ne anticipa, forse, la destinazione finale.
Carney ricompare nel 1976 ne I LIQUIDATORI, la parte più cruenta e cinica, occupata da una lunga serie di incendi che flagellano la città piegandola al malaffare di faccendieri e assicuratori senza scrupoli. La New York di Whitehead è la metropoli cupa e violenta che abbiamo conosciuto in romanzi come City on Fire di Garth Risk Hallberg, Questo bacio vada al mondo intero di Colum McCann, La Fortezza della Solitudine di Lethem. I mobili di Ray Carney sono come le Toyota di Coniglio Angstrom nella saga di John Updike. Altro viaggio, altre suggestioni di un’America che non si può fare a meno di leggere e di amare.
To be continued.
Angelo Cennamo