Boule de suif (Palla di sego, 1880) è il capolavoro di esordio di Guy de Maupassant, nato dalla richiesta di Émile Zola ai giovani scrittori del suo gruppo di scrivere un racconto sull’assedio prussiano a Parigi degli anni 1870-71.
Oggi questa opera fondamentale, definita da Flaubert “un capolavoro destinato a durare nel tempo”, torna nelle librerie con la nuova traduzione di Franca Brea (Boule de suif, Mattioli 1885, 2023, pp.112, € 10,00).
L’ambientazione è la Francia settentrionale durante la guerra franco-prussiana del 1870.
L’esercito prussiano ha appena conquistato Rouene e un gruppo dei cittadini facoltosi della città ottiene il permesso di recarsi al porto di Le Havre per affari. Condividono la carrozza con una prostituta grassottella e generosa di nome Boule de Suif, l’unica ad avere preparato provviste e condivide il suo cibo con i compagni di viaggio affamati.
Si fermano poi in un albergo controllato da un capitano prussiano che vieta loro di proseguire perchè Boule de Suif, patriotticamente, si è rifiutata di andare a letto con lui che è il nemico, e che si vendica trattenendo tutti finché non lo farà.
Il resto del gruppo, invece di sostenerla si preoccupa solo di arrivare a destinazione e Maupassant, riassume ciò che pensano realmente della richiesta del prussiano: “Per lei, sarebbe stata ordinaria amministrazione!”, o ancora: “Trattandosi del suo mestiere, perché questa donna dovrebbe rifiutare quest’uomo piuttosto che un altro?”.
Anche un paio di suore sulla diligenza cercano di convincere Boule de Suif, spiegando che, dal punto di vista teologico, gli atti immorali, se compiuti per un bene superiore, diventano meritevoli.
In questo racconto Maupassant mette a nudo l’intero edificio dell’ipocrisia borghese: sessuale, sociale, religiosa, finanziaria, politica. Tutti i personaggi, ad eccezione di Boule de Suif, si dimostrano superficiali ed egoisti mentre lei emerge come un personaggio vivido, di sentimenti intensi, che esprime e difende le sue convinzioni anche in momenti di pericolo.
Il racconto evoca il passo di Matteo 21, 31: “i pubblicani e le meretrici vi precedono nel regno dei cieli”. Se questo è vero le donne come Elisabeth Rousset, detta Boule de Suif dovrebbero essere con loro in prima fila.
Carlo Tortarolo
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Per parecchi giorni le brigate dell’esercito in disfatta avevano attraversato la città. Non si trattava di plotoni, ma piuttosto di truppe allo sbando. Gli uomini avevano la barba incolta e sudicia, le uniformi a brandelli, e si muovevano con passo stanco, senza bandiere, senza guida. Sembravano sfiniti, stremati, incapaci di pensare e ancor meno di decidere, camminando come automi e al limite della resistenza. Si trattava soprattutto di riservisti: uomini tranquilli, piccoli borghesi curvi sotto il peso del fucile; soldati della guardia mobile facili vittime della paura come dell’entusiasmo, pronti ad attaccare come a scappare; fra loro qualche calzone rosso, residuo di una divisione sbaragliata in uno scontro micidiale; artiglieri severi frammisti a quell’ammasso confuso di fanteria e, in qualche caso, l’elmo scintillante di un dragone che seguiva con passo pesante il procedere più svelto dei fanti.
Legioni di franchi tiratori dai nomi altisonanti: ‘Vendicatori della sconfitta’, ‘Popolo delle tombe’, ‘Alleati della morte’, sfilavano con aria banditesca. I loro capi, un tempo commercianti di vario genere, militari occasionali, insigniti del grado di ufficiale grazie ai loro soldi o alla lunghezza dei loro baffi, coperti di armi, di divise gallonate, parlavano ad alta voce, pianificavano battaglie e pretendevano di salvare la Francia in ginocchio con le loro millantate forze: ma talvolta avevano paura dei loro stessi soldati, gente da capestro, spesso sprezzante del pericolo, saccheggiatori e viziosi.
I prussiani stavano per entrare a Rouen, si diceva.
La guardia nazionale, che da due mesi faceva delle ricognizioni estremamente prudenti nei boschi vicini, prendendo talvolta a fucilate le proprie sentinelle e allertandosi quando un coniglio usciva da un cespuglio, era rientrata a casa. Le armi, le uniformi, tutto l’armamentario omicida con cui terrorizzava i paracarri delle strade nazionali nell’area circostante, erano spariti di colpo.
Gli ultimi soldati francesi avevano appena attraversato la Senna diretti a Pont-Audemer attraversando Pont Saint-Sever e Bourg-Achard, e, in coda alla fila, il generale disperato, incapace di gestire quei brandelli di armata, anche lui sopraffatto dalla disfatta immane di un popolo, abituato a vincere e vergognosamente sconfitto nonostante il suo coraggio, camminava a piedi, affiancato da due ufficiali d’ordinanza.
Poi, in città, s’instaurò una profonda calma, un’attesa timorosa e silente. Molti borghesi atterriti, infiacchiti dalla vita comoda, aspettavano ansiosi i vincitori, tremando al pensiero che i loro spiedi e i coltellacci da cucina potessero essere considerati armi da difesa.
Pareva che la vita si fosse fermata: i negozi erano chiusi, la strada deserta. Ogni tanto un residente, intimidito da quel silenzio, camminava rasente ai muri, a passo rapido.
L’angoscia dell’attesa faceva desiderare l’arrivo del nemico.
Nel pomeriggio successivo alla partenza dei soldati francesi, alcuni ulani, sbucati da chissà dove, attraversarono la città frettolosamente. Un po’ più tardi, una valanga nera irruppe dalla collina Santa Caterina, mentre due altre ondate di invasori arrivarono dalle strade di Darnetal e di Boisguillaume. Le avanguardie delle tre armate si riunirono quasi contemporaneamente nella Piazza del Comune e da tutte le strade adiacenti sopraggiungeva l’esercito tedesco i cui battaglioni, con passo pesante e cadenzato, facevano vibrare il pavé.
Ordini urlati in una lingua sconosciuta e gutturale arrivavano fin dentro le case, che sembravano deserte e senza vita, mentre, da dietro le imposte chiuse, occhi atterriti osservavano questi vincitori, padroni della città, dei beni, delle vite stesse in virtù del ‘bottino di guerra’. Gli abitanti, nelle loro case oscurate, erano in preda allo stesso terrore suscitato dai cataclismi, i grandi sommovimenti della terra apportatori di morte, contro i quali nulla possono la prudenza o la forza. Infatti, la stessa sensazione si ripropone ogni volta che l’ordine delle cose si stravolge, togliendo ogni sicurezza, e tutto ciò che si riteneva protetto dalle leggi dell’uomo o da quelle della natura si trova alla mercé di una forza bruta, irresponsabile e feroce.