“Ho la tendenza a mentire. In generale lo considero un divertimento innocente, ogni volta che dico qualcosa che non ha un reale riscontro, e addirittura do per scontato che il mio interlocutore si diverta quanto me. Mi sono convinta che il mio rapporto noncurante con la verità renda me una persona più simpatica, e la mia vita più interessante”.
È in libreria dal 27 ottobre Un castello di bugie di Snæbjörn Arngrímsson, con traduzione dall’islandese di Silvia Cosimini (Carbonio Editore 2023 pp. 360, € 21,00, eBook € 8.99).
Snæbjörn Arngrímsson, è un autore islandese, noto in patria come autore di libri per bambini e traduttore pluripremiato. Ha scritto tre romanzi gialli per ragazzi. Il primo della serie, I segreti della casa abbandonata, ha vinto l’Icelandic Children’s Literature Prize nel 2019; il suo seguito, La statua misteriosa e il ragazzo scomparso, ha vinto il Reykjavik Children’s Literature Prize nel 2020. Un castello di bugie è il suo primo thriller per adulti.
In un freddo pomeriggio di ottobre, Júlía e suo marito Gíó salpano insieme verso lo storico Geirshólm a Hvalfjörður per un progetto che Júlía deve seguire. Il marito è piuttosto malinconico: “È tutto così deprimente” disse in tono arrendevole, quasi rivolto a sè stesso più che a me. “Sono così stanco della realtà, la realtà è diventata intollerabile… e poi scopri che pure la realtà si è stancata di te, da tempo”.
In seguito a un piccolo battibecco la ragazza prende il gommone e lascia il marito nell’isola.
Tuttavia, dopo un po’ torna a cercarlo ma non lo trova più. Che fine ha fatto suo marito? L’uomo sembra scomparso dalla faccia della terra. Come potrà spiegare alle autorità che l’uomo sembra essere scomparso?
Un romanzo che ruota intorno ai sensi di colpa e alla serie continua di bugie che la protagonista racconta a tutti per salvarsi: “Credo di aver sviluppato fin da bambina la capacità di dire menzogne perché in famiglia mi era stato assegnato il ruolo complesso di dilettare mia mamma, che per tutta la vita ha combattuto contro l’uggia e la letargia”.
Lo stile di scrittura è chiaro ed avvincente, la protagonista eccelle nell’arte di mentire e lo fa con precisione, con classe e di continuo, conquistando la complicità del lettore che è risucchiato in un narrare la cui tensione è sempre alta fino alla fine.
Il libro racconta un personaggio chiuso in sé stesso e privo di particolari relazioni, che cerca di rimanere a galla in un mare di menzogne, una donna inquieta che grazie alla letteratura è capace di volare oltre all’umana miseria, per ascoltare qualche verità: “A grandi linee la vita si può esaminare da due punti di vista: quello della nascita e quello della morte”.
E nella tensione tra questi due momenti l’autore ha colto l’essenza del capolavoro, scolpendo un thriller con tutti gli attributi per restare.
Carlo Tortarolo
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Allora è questo, essere morti?
Fu il mio primo pensiero appena aprii gli occhi quella mattina.
Era tutto nero.
Nessuna luce, nessun suono, nessun profumo.
Soltanto buio, e un silenzio inodore.
Ero convinta di avere gli occhi aperti, ma non faceva differenza, ero avvolta da tenebre profonde proprio come se li tenessi chiusi. Riabbassai le palpebre. Rimasi immobile per un attimo e poi le aprii di nuovo. Lo stesso buio. Mi trovavo in un’indeterminatezza assoluta. Non solo perché non sapevo se ero ancora viva, ma anche perché non sapevo nemmeno dove fossi, o chi fossi.
Il mio nome mi era sconosciuto.
In un primo momento mi sentii in preda al terrore – non era disperazione – non sapendo come reagire a un simile stato mentale. Perché come si può definire una morte immaginata, se non ‘stato mentale’? Un terrore che, come una forte scarica elettrica, mi aveva squarciata in due, mi paralizzava e mi impediva di respirare.
Fu solo quando mi feci coraggio e mi tirai su seduta sul letto per scrollarmi di dosso il torpore del sonno che mi si schiarì la mente e il mio nome riaffiorò.
Fu un sollievo.
Mi chiamo Júlía.
Allungai una mano davanti a me e incontrai una testiera morbida. Visualizzai l’immagine di un letto con la testiera imbottita e dei bottoni grigi cuciti in un disegno di rombi regolari.
Avevo caldo.
Con l’altra mano scostai la pesante trapunta che mi copriva, a tentoni cercai sul comodino il telecomando che controllava le tende a rullo e premetti il tasto. Nel silenzio del mattino si sentì il sommesso ronzio del motore, poi una minuscola luce filtrò dalle finestre a tutta parete non appena le tende si riavvolsero con ritmica compostezza.
Fuori era tutto tranquillo. Il giorno non era ancora iniziato.
Ecco come mi ero svegliata, quindi, quel giorno; piuttosto confusa e – per quanto abbia difficoltà ad ammetterlo – anche decisamente in ansia.
Con un mal di testa lancinante.
Non avevo fatto sonni sereni.
Copyright © Snæbjörn Arngrímsson 2022
Published by agreement with Copenhagen Literary Agency ApS, Copenhagen, and Otago Literary Agency, Bologna
© 2023 Carbonio Editore srl, Milano
Traduzione dall’islandese di Silvia Cosimini