Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Andrea Piontkowsky anteprima. La ferrovia dello Sciliar

Home / Anteprime / Andrea Piontkowsky anteprima. La ferrovia dello Sciliar

Un destino inatteso: “Il giovane Augustus aveva ricevuto la sua chiamata quando aveva da poco compiuto i dieci anni. Ricordava ancora con un sentimento contrastante quello strano giorno in cui la sua vita era cambiata inesorabilmente. E ricordava ancor di più, con una nitidezza disarmante, la voce che gli aveva indicato il suo futuro, ovvero quella nasale del padre, che lo metteva al corrente che la sua famiglia non aveva tempo né soldi per mantenere uno sfaticato come lui e che quindi lo avrebbero piazzato in seminario. Che vedesse almeno di far bene in mezzo ai preti.”

La fragilità dell’animo umano di fronte al crimine: “Il fatto strano, che si verifica dall’alba dei tempi e si verificherà finché esisteranno tre uomini sulla faccia della terra, è che il sospetto si insinua con una facilità disarmante, ben oltre le legittime motivazioni, mentre le evidenze a discolpa passano in secondo piano, come temendo che possano mettere in cattiva luce. E una volta che il dubbio sulla colpevolezza di chicchessia è instillato nelle menti risulta praticamente impossibile tornare indietro.”

Il 7 novembre arriva in libreria La ferrovia dello Sciliar (Bottega errante edizioni 2023, € 17,00, pp. 280), il romanzo d’esordio dello scrittore milanese Andrea Piontkowsky.

In una terra di confine, all’alba del XX secolo, un romanzo storico con elementi gialli ci trasporta in una piccola comunità dell’Alto Adige al centro della costruzione di una ferrovia di montagna che dovrebbe collegare Bolzano alla Val Gardena.

Il progresso e l’avidità si incontrano: “La gente ha bisogno di trasportare materie, prodotti, ha bisogno di raggiungere tutti gli angoli di un Paese, anche i più remoti. Perché in ogni angolo si può trovare qualcosa con cui arricchirsi e la gente oggi aspira solo a quello. A fare soldi. E per farlo deve muoversi prima di tutti. Non può aspettare che ci pensino altri e poi accodarsi al carrozzone. La gente non vuole le briciole, vuole tutta la pagnotta. E se possibile anche arrosto e vino… non so se mi sono spiegato.”

Quel che dovrebbe essere un piano di sviluppo economico e sociale per Fiè allo Sciliar, un luogo incantevole circondato da prati e montagne, si rivela essere un terreno fertile per rivalità e trame oscure. Due uffici di ingegneria, uno italiano e l’altro austriaco, si contendono il progetto di sviluppo locale. Gli interessi in gioco mettono in luce la realtà di un piccolo villaggio di uomini d’affari e manipolatori, ostili al cambiamento e agli stranieri.

Un gruppo di abitanti del luogo si oppone con forza alla realizzazione della linea ferroviaria, finché una violenta scossa sconvolge la comunità, portando alla luce due cadaveri. Ogni dettaglio spinge le forze dell’ordine a investigare sui legami tra gli stranieri e i loro affari, ma ben presto emerge un quadro molto più intricato.

Questo racconto esamina le dinamiche tra il nucleo e la periferia, tra la pianura e la montagna, tra l’ideale del progresso e il desiderio di proteggere luoghi che sembrano appartenere a un tempo inesorabile e lento: “Lungo il sentiero che da Fiè saliva fin lassù c’erano ancora, a un occhio attento, le tracce delle ruote dei carri che metro dopo metro, dai tempi antichi fino al Medioevo e ai giorni nostri, avevano solcato la roccia. I carri pesanti avevano iniziato l’opera; vento, acqua e neve l’avevano completata lisciando le pietre.”

La minuziosa descrizione degli scenari e degli spazi si fonde con un dialogo realistico e una narrazione non scontata, rendendo il romanzo un esordio ben riuscito.

Carlo Tortarolo

#

Se è vero che la velocità di propagazione delle onde sonore è molto maggiore nei solidi o nell’acqua piuttosto che nell’aria, allora in quei giorni l’aria doveva essere parecchio carica d’umidità. Per questo la notizia dell’imminente arrivo dei due italiani ci aveva messo così poco ad arrivare a Fiè allo Sciliar o, come la chiamavano i locali, Völs am Schlern. Il perché la chiamassero così non era del tutto chiaro nemmeno a coloro che vivevano lassù da tempi immemori, nemmeno ai discendenti delle più antiche famiglie di origine tedesca che seicento anni prima avevano deciso di stabilire lì le proprie vite. I giorni prossimi al Ferragosto del 1908 erano stati, a detta di tutti, tra i più anomali di quell’inizio secolo. Anomali, bisogna chiarire, per la totale assenza di vento. Si racconta ancora oggi, dopo più di cento anni, di un giorno in cui pare non abbia soffiato un alito di vento nemmeno sulle vette più alte della zona, nemmeno ai bordi dei laghetti o tra le più strette valli che scendono dai monti. Mai la calma era stata così piatta. La carrozza si era fermata, su richiesta dell’uomo che l’aveva affittata per compiere quel tragitto interminabile da Bolzano, all’ingresso del paese, al centro di uno spiazzo in terra battuta. Il vetturino aveva eseguito senza fiatare. La porta di legno della carrozza si aprì con lentezza quasi esagerata, come se chi stava all’interno avesse timore di chissà cosa. Dopo qualche istante comparve un piede elegante, raccolto in una scarpa di pelle nera lucida; la scarpa era ricoperta da una ghetta bianca chiusa ai lati da quattro bottoni di madreperla dalla quale fuoriusciva un pantalone grigio scuro con una piega marcata.

Il primo piede poggiò a terra, subito seguito dal compagno. Entrambi dovettero attendere qualche secondo perché il busto e la testa del loro proprietario facessero capolino dalla carrozza. L’uomo, apparso per la prima volta in quei luoghi, stonava con tutto ciò che lo circondava. Gli occhi salirono immediatamente al di sopra della linea dell’orizzonte per inquadrare una massiccia montagna che incombeva sul paese, senza però essere fastidiosa: una presenza forte ma non opprimente. Rientrò all’interno della carrozza per riuscirne subito dopo, reggendo un binocolo Zeiss. L’uomo si aggiustò il cappello e i revers a lancia della giacca estiva, mentre con il dorso della mano cercava di lisciare le pieghe che il lungo viaggio in carrozza aveva lasciato su spacco e fianchetti. Poi si portò il binocolo agli occhi mentre rivolgeva una domanda distratta al vetturino. «Ha idea di che montagna possa essere?». «Come dice, signore?». … Il breve quanto poco fruttuoso dialogo finì immediatamente. Il vetturino realizzò come quelle poche parole fossero le uniche scambiate tra di loro dalla mattina. L’uomo col cappello inquadrò quella che da laggiù pareva essere la cima della montagna e aggiustò il fuoco delle lenti. Ci mise qualche secondo, a causa del riverbero della luce solare che in quelle ore si diffondeva con forza su tutta la vallata. Percorse la cresta della montagna da nord verso sud, fino a tornare al fondovalle.

Rimise il binocolo nella custodia e lo appoggiò sul sedile della carrozza. Poi si affiancò al vetturino. «Dicevo… ha idea di che montagna sia?» e con il pollice indicò la montagna alle sue spalle. «No signore, mi dispiace». «Dovrebbe essere una di quelle della Val Gardena, o no?». «Dovrebbe, signore». «Oppure della Val di Tires?» continuò l’uomo immerso nei suoi pensieri. «Potrebbe, signore». … L’uomo col cappello diede ancora uno sguardo furtivo alla montagna e, inspiegabilmente agli occhi del vetturino, curvò la testa verso sinistra, quasi stesse cercando di poggiare l’orecchio sulla spalla. Rimase così per un poco, poi la rialzò per rivolgersi nuovamente al vetturino. «È mai stato in Val Pettorina?» domandò fissando un punto oltre la spalla del suo interlocutore. «Dove, signore?». «La Val Pettorina, in Veneto. Sotto la Marmolada…». «No, signore. Non ci sono mai stato». … «C’è una montagna, in Val Pettorina, che se la guardi di traverso sembra avere il profilo di un viso maschile. Per lo meno, così dicono i locali…». «Non lo sapevo, signore». «Mi sembra si chiami Sasso Bianco, ma non ricordo bene». … «Qualcuno dice anche che somigli al profilo di quel tal Mussolini… non so se ne ha mai sentito parlare…».

«No, signore» scosse la testa il vetturino. «Ma sì… quel giornalista filosocialista che sta cercando di mettersi in mostra con le sue idee… diciamo… eversive… ». «Mai sentito nominare». «Ci sono stato una volta… qualche anno fa. Ma in realtà io non ci ho visto nulla. Nel senso che i miei occhi non hanno visto nessun viso. A dirla tutta, se uno ci mette un po’ di fantasia… forse un naso salta fuori». Il vetturino non aveva idea di come andare avanti con la discussione, quindi rimase in silenzio. In quell’istante, proprio dietro di loro, passò un carro trainato da un meraviglioso cavallo Haflinger con il mantello sauro e la criniera biondo cenere. Si era materializzato all’improvviso, senza che fosse preceduto da alcun avvertimento di sorta. L’uomo col cappello inquadrò la persona alla guida del carro e mosse un passo in quella direzione. «Buongiorno, signore» disse accompagnando le parole con un cenno della mano. Il carro e il suo conducente continuarono per la loro strada come se non avessero nemmeno udito quelle parole. Non un cenno del capo, non un rallentamento. Niente di niente. Continuarono dritti come fossero stati sordi. E anche ciechi.

Click to listen highlighted text!