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Prima che chiudiate gli occhi. Intervista a Morena Pedriali Errani

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Per Le Tre Domande del Libraio questa settimana su Satisfiction incontriamo Morena Pedriali Errani al suo esordio con il romanzo “Prima che chiudiate gli occhi” da pochi giorni uscito per Giulio Perrone Editore. Morena Pedriali Errani viene da una famiglia sinta e circense, artista anche lei e attivista per le minoranze romanì e parte del team Comunicazione di Movimento Kethane.

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Morena, ci vuoi raccontare il tuo percorso nel mondo della scrittura e poi come è nata l’idea di questo romanzo e l’incontro con Giulio Perrone Editore.

Scrivere per me è stata, prima di tutto, una necessità. Viviamo in un contesto sociale in cui, se fai parte di una minoranza, vieni quotidianamente invisibilizzato e deumanizzato, il foglio per me era lo spazio in cui potevo crearmi una voce, in cui potevo urlare la rabbia ma anche l’amore che la mia cultura mi ha tramandato. Una sorta di terra franca in cui io e i miei antenati non eravamo più nemici o stranieri, soltanto voci, involucri di incendi che custodivano una storia così ricca e antica. Un micromondo in cui non esisteva la fame, la miseria o se esisteva sapeva costruire fiori dalle proprie rovine. Ho sempre scritto prevalentemente di getto, senza seguire schemi precisi perché, appunto, per me alla base c’era la necessità di raccontare, un’urgenza di ricordare e custodire attraverso le parole ciò che la società cercava di togliermi, di toglierci. Non c’è stato un momento X in cui ho iniziato a scrivere, da che ho ricordo l’ho sempre fatto. Vengo da una famiglia circense, sono cresciuta circondata dall’arte di strada e dalle storie di spettacoli, acrobati e clown con le lacrime di carbone disegnate sulle guance. Il circo è, stato, sicuramente, un punto d’ispirazione fondamentale.
“Prima che chiudiate gli occhi” è nato come una litania di lutto che cantavo per mia nonna, figura centrale della mia vita, scomparsa nel 2012, per il suo ricordo che volevo, a tutti i costi, tramandare. Dopo circa un anno, in cui non ero riuscita a scrivere mezza riga, l’ho sognata. Aveva un mulengi dorì – un braccialetto di stoffa rossa che leghiamo al polso e teniamo tutto il tempo del lutto-generalmente un anno – e lo slegava, quindi lo annodava ai rami di un albero. Nella nostra cultura, legare fili o amuleti ai rami degli alberi è un segnale per i sinti che passeranno da lì dopo che la strada è sicura e che altri sinti sono stati lì. Tipo una staffetta che si passa di famiglia in famiglia. Era come se mia nonna volesse dirmi che il tempo del lutto era finito e che la strada era sicura, che potevo procedere. Mi sono svegliata di colpo e ho cominciato a scrivere. Quattro anni dopo, con la prima bozza del romanzo, in forma di racconto breve, ho partecipato al Campiello Giovani. Non ho vinto, ma ho continuato a scrivere e mandare il manoscritto costruito a partire dal racconto a varie case editrici, senza però ottenere risposta. Nel frattempo, ho scritto racconti brevi per alcune riviste online ed è stato proprio da uno di questi, “Alla cenere” pubblicato su Narrandom che Antonio Esposito, editor di Giulio Perrone Editore, mi ha scoperto e contattato. Gli ho proposto, allora, il manoscritto e abbiamo deciso di pubblicare insieme. A questo proposito, ci tengo a sottolineare la sensibilità e la disponibilità all’ascolto con cui il manoscritto e la storia che raccontava sono stati accolti dalla casa editrice. Non è scontato ed è stato, per me, estremamente prezioso.

 
Una storia nata da quotidiani e irrinunciabili gesti di Resistenza. La Resistenza di una donna, la giovane Jezebel, partigiana sinta, ma anche la Resistenza di un popolo intero. Vogliamo raccontare nel dettaglio la trama di questo bellissimo romanzo, soffermandoci sulla figura della protagonista, ispirata alla tua nonna realmente esistita, Fiammetta Pedriali, partigiana durante la Seconda guerra mondiale?

La protagonista del romanzo è, appunto Jezebel, bambina sinta nata e cresciuta durante il ventennio fascista. Spesso, troppo spesso, ci dimentichiamo che l’Italia non è stata solo complice del nostro genocidio ma principale autrice. Già nel 1926 rom e sinti venivano arrestati e schedati, già allora si prendevano le misure antropometriche per sviluppare la pseudoscienza dell’eugenetica. La figura di Jezebel, ispirata a mia nonna, è, però, anche una pluralità di voci femminili della mia famiglia, racchiude in sé le storie di resistenza che, ognuna delle mie “madri” ha portato avanti nei secoli. Jezebel è mia nonna che decide di aiutare i ragazzi partigiani del suo paese trasportando messaggi o, più spesso, lanciando segnali con uno specchietto giù in risaia, ma è anche mia zia morta durante un bombardamento, è la mia trisnonna che leggeva le mani per sopravvivere, le mie cugine che oggi portano avanti la nostra arte. È anche ogni mia sorella rom e sinta che ancora resiste e così, come loro Jezebel si trova a dover fare i conti fin da bambina con la violenza del pregiudizio, con la persecuzione. Alla sua famiglia viene tolta la possibilità di svolgere il proprio lavoro, il circo viene chiuso e poi rom e sinti rinchiusi, a partire del 1940, nei campi di concentramento aperti soltanto per noi dal regime fascista. Jezebel riesce a salvarsi ma si trova sola, tradita dall’unica persona esterna alla sua famiglia di cui si era fidata e che ha amato di un amore sfilacciato, impreciso e pieno di vuoti. Si unisce, quindi, alla Resistenza, per vendicare la propria famiglia e qui trova una figura quasi paterna, fondamentale per sviluppare una nuova consapevolezza del suo ruolo partigiano. La fine non la racconto, l’unica cosa che vi chiedo è di cominciare a leggere con il cuore aperto perché, seppur romanzata, questa storia è stata reale, è realmente accaduta e ci sono luoghi in Italia in cui ancora i nostri antenati assassinati cantano nel vento.

Una storia anche di leggende trasportate dal Vento. Proviamo ad approfondire come è nata la scelta formale nel libro che vede l’alternanza di capitoli in cui Jezebel è protagonista e narratrice in prima persona, a capitoli intitolati “Canta vento gelido”, che sono delle vere e proprie incursioni letterarie che rievocano leggende, favole, storie antichissime e mitologiche.

L’idea è stata del mio editor. Il titolo originale del manoscritto era proprio “Canta vento gelido”, la traduzione di una filastrocca rom “Marel i balval cudri”. Cambiando titolo, abbiamo però voluto mantenere l’idea che questo originale portava. È un po’ come se, a fianco di Jezebel narratrice, al suo fianco ci fossero gli antenati, che per noi sono rappresentati proprio dal vento (noi diciamo che “i sinti non muoiono, tornano al vento”), i quali hanno il compito di custodire e proteggere ma anche tramandare la storia del nostro popolo. Anche questa è, per noi, resistenza, rimanere vivi di fronte e tutto in mezzo alla morte, cullare la Bellezza. A livello tecnico, questi intermezzi davano respiro per addentrarsi in ogni fase del romanzo con uno sguardo più ampio, forse anche contestualizzandolo un po’ di più. Scrivendo di getto, mancava talvolta una linearità tra i capitoli che si susseguivano in modo troppo veloce e invece la storia aveva proprio bisogno di fermarsi, chiudere e riaprire gli occhi e respirare. Era molto importante, per me, che la scrittura fosse “sinta” ossia che venisse proprio dall’interno e racchiudesse ciò che a me è stato tramandato e che a mia volta volevo tramandare, costruire una voce laddove per così tanto siamo stati silenziati. Quindi abbiamo unito l’idea di creare degli intermezzi a quella di inserire delle leggende popolari tramandate tra noi oralmente di generazione in generazione dalla nostra fuga dall’India, più di mille anni fa ad oggi. Trasportate dal vento perché “nulla muore quando è amato.”

Buona Lettura di “Prima che chiudiate gli occhi” di Morena Pedriali Errani.

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