“L’impostore” di Zadie Smith (Mondadori, 2023 pp.492 € 22.00), nella traduzione di Dario Diofebi, prende a pretesto la storia vera del caso Tichborne avvenuta nell’Inghilterra vittoriana, per rinnovare la contemporaneità sul tema dell’inganno e riconoscere il fraintendimento sulla identificazione umana. Zadie Smith insegue una ricomposizione della verità, attraverso una imponente e interessante narrazione, sedimenta una analisi radicale e provocatoria degli eventi attualizzando l’interpretazione delle opinioni errate con la comprensione della realtà. Il caso Tichborne, conosciuto come l’avvenimento legale più celebre e interminabile della storia d’Inghilterra, si snoda intorno alla vicenda del baronetto inglese, cresciuto a Parigi con la madre, vittima di un naufragio in un viaggio in nave verso New York. Dopo molti anni la presenza di un macellaio australiano di Wapping Arthur Orton, confonde la sorprendente sorte, riafferma la dichiarazione di identità del baronetto scomparso.
Nonostante il truffatore dimostri la sua ruvida e maldestra personalità, una stazza fisica diversa, un’inettitudine alla lingua francese, il popolo ingenuamente e impulsivamente gli crede e aderisce al ritorno dello scomparso Tichborne. Zadie Smith esamina i resoconti celebri del tempo attraverso la lente espressiva di alcuni personaggi vittoriani dell’epoca, realmente esistiti. Sconfessa le dinamiche processuali con la valutazione delle storie che si intrecciano vorticosamente nell’appassionante coinvolgimento, come la figura di Eliza Touchet la governante dello scrittore William Ainsworth che mostra entusiasmo e commozione al processo, in particolare nei confronti di Andrew Bogle, servitore della famiglia Tichborne, in passato schiavo in una piantagione di zucchero jamaicana, evidenziando la rispettabilità della sua nobiltà morale e l’illuminante sensibilità della sua fondamentale testimonianza. Traccia le coordinate della menzogna nel rapporto tra Inghilterra e Jamaica, tra l’ammissione feroce all’ipocrisia e le dichiarazioni palesemente conformiste sull’abolizione della schiavitù, sostenute dall’impressionante vacuità dei discorsi, dall’impeccabilità mascherata nei salotti intellettuali sontuosi, frequentati da scrittori come Charles Dickens, svela il destino insostenibile della falsità. L’autrice esalta il riconoscimento saggio della letteratura, mantiene l’intelligente e seducente scrittura, rafforza la competenza del carattere stilistico con la contestualità del dibattito storico, nell’accostamento raffinato della concentrazione scrupolosa dell’epoca, affida il ribaltamento della cultura della simulazione al lucido procedimento descrittivo della vicenda, comunica il convincente merito di un profondo insegnamento, nell’obiettivo di realizzare la direzione delle scelte e delle conseguenze degli schieramenti, nell’ordinamento tra sincerità e falsità. Zadie Smith imprime l’elemento distintivo di un romanzo che accosta gli eventi da prospettive distinte, evidenzia la dimostrazione di un passato che comprova la sua apparente coerenza e la conoscenza del presente assistito tra la folgorante attrazione delle pagine. Accorda l’abile ricostruzione di un documento in cui il sentore della ricchezza raggira la sentenza della povertà, destabilizzando la contraddizione sociale, dilata, nella fluidità e nell’intimità delle parole, la provocazione e il retaggio della tradizione, scavalca la sua stridente denuncia con il proposito di rielaborare la natura umana e impugnare l’archivio dei confini per fronteggiare il proprio tempo.
Rita Bompadre