Quando ho avuto in mano questo libro, ho subito sentito la voglia di scriverne e, insieme, il timore di non poterlo fare adeguatamente.
Come se, nella mia attrezzatura di studioso, mancassero troppi strumenti. Ci si sente eternamente principianti di fronte al sapere e alla destrezza di chi ci inchioda alle nostre mancanze con la propria arguzia.
Scrittore, poeta e critico letterario, Gramigna aveva una conoscenza profondissima delle meccaniche letterarie e diventava sperimentale e persino precursore di mondi e di stili che diverranno moda una decina d’anni più avanti. Il post-modernismo, con i suoi cambi di prospettiva, le note a margine, le incursioni dello scrittore, il suo esondare nel testo per smontarne la finzione, era già tutta nelle pagine di Marcel ritrovato, opera riproposta e sottratta ad un oblio ingiusto, salvata per noi, da Il ramo e la foglia edizioni.
A consentire a Giuliano Gramigna uno slancio stilistico così ardito ed efficace, non è solo lo studio, la padronanza del mezzo, ma è il suo tempo, come spiega Ezio Sinigaglia in una post-fazione che arricchisce un romanzo assolutamente imperdibile, Gramigna concepisce il suo Marcel in un ventennio, quello tra il ’50 e il ’70, dove si discuteva moltissimo della forma romanzo, delle sue conquiste e delle direzioni ancora possibili. Un dialogo aperto, velenoso, acceso, che servì a spingere alcuni scrittori molto ricettivi a tentare strade poco o per nulla battute.
Non deve stupire, pertanto, la modernità di un Pizzuto, la visionarietà del suo Signorina Rosina; o la prosa torrenziale, liberatoria, oserei dire, di Berto nel suo capolavoro, Il male oscuro.
Dovremmo più che altro riflettere, io credo, sul fatto che in un’epoca assai convenzionale come la nostra, appiattita nel gusto e nella ricerca, siano rimasti, di quel tempo vivace e glorioso, famosi e ancora letti, soprattutto gli scrittori meno interessanti, meno innovativi, come Pasolini e Moravia.
Marcel Ritrovato è un romanzo della crisi.
Bruno, il protagonista, è un pubblicitario con velleità letterarie. Ha pubblicato un romanzo dal titolo Un matrimonio sbagliato, che gli ha procurato una certa attenzione critica, ma non molto successo. Questo piccolo fallimento, questa piccola ferita narcisistica, s’ingrandisce, si riapre e s’infetta una sera, quando sua sorella gli mostra le carte del padre da poco defunto. Tra questi fogli Bruno trova un commento, una confidenza che il padre fa alla sorella e che Bruno non avrebbe dovuto vedere. Suo padre, da lettore appassionato, critica la deriva proustiana del libro di Bruno e di come, secondo suo padre, Bruno non abbia compreso che superficialmente. Questa nota critica offende il figlio al punto da mettere in discussione il loro intero rapporto. È l’equivalente, come nota lo stesso Sinigaglia, dello schiaffo che Zeno Cosini riceve da suo padre sul letto di morte; l’equivalente dell’assenza di Berto al momento del decesso paterno; ovvero quell’episodio che scatena la nevrosi e il senso di colpa e che diventa motore della storia.
Bruno, seguendo l’irrazionale richiesta di Roberta, parte per Parigi alla ricerca di Marcello.
Roberta e Marcello sono due figure importantissime di questo romanzo perché sono due frammenti dello specchio frantumato della gioventù di Bruno, sono ciò che resta di un periodo che rimane immortalato in una fotografia della giovinezza a cui Gramigna dedica un intero capitolo.
In maniera diversa e intrecciata, Marcello e Roberta (che sono congiunti) rappresentano due fallimenti di Bruno, due aspirazioni negate, perché Marcello è l’uomo che Bruno avrebbe voluto essere e Roberta la donna che avrebbe voluto avere.
In questo viaggio alla ricerca di sé stesso e di una consapevolezza nuova, Bruno impara a razionalizzare queste figure del suo passato che, come fantasmi, si ripresentano e scompaiono ogni volta e, più che inafferrabili, sono sfuggite da Bruno stesso che non coglie, volutamente mai, le occasioni per tenerli a sé.
Rimangono di questo romanzo balena, capace di ingoiare moltissima letteratura precedente, come la Ricerche proustiana, il Pinocchio di Collodi, lo stesso Zeno e la sua Coscienza, personaggi incantevoli come i due brasiliani meglio definiti come “il porco” e “il verme” che sembrano una versione allucinata e bulgakoviana de il Gatto e la Volpe. Così come l’abate Casanova, che sembra uscito da 8e1/2 di Fellini con le sue battute sulla felicità, sulla vita e le derive freudiane in cui trascina Bruno nelle loro lunghe passeggiate parigine.
Da un punto di vista stilistico, oltre alle già citate caratteristiche della sua prosa, Gramigna ha la capacità di passare dalla prima alla terza persona nello stesso paragrafo con mai vista eleganza, conservando una uniformità che andrebbe studiata nelle scuole di scrittura. Come un tennista che alterna dritto e rovescio con la medesima grazia, questo scrittore che non conoscevo, alterna le due soggettive o, come li definisce Sinigaglia, i cambi di persona, che mescolano le identità letterarie senza svelarle completamente perché Bruno è Gramigna stesso o forse no, come il critico che ritroviamo nelle note, è il critico stesso che critica la propria opera, la giudica, la disinnesca, ce la mostra aperta come sul tavolo autoptico.
Giuliano Brenna e Roberto Maggiani sono editori coraggiosi, che stanno componendo il loro catalogo con passione e accuratezza. Come lettori, studiosi e appassionati, non possiamo fare altro che augurarci altri, sempre più forti e numerosi, rami e rigogliose foglie.
Pierangelo Consoli
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Giuliano Gramigna, Marcel ritrovato, Il ramo e la foglia edizioni 2023, Pp. 296, Euro 17.