Cammino vicino la riva per ascoltare il rumore bianco delle onde e delle loro schiume morbide.
Quarantacinque anni son passati in un attimo, un passato disperso nello sciabordio di tanti mari.
Non penso quasi mai al passato: mi sembra poca cosa rispetto al presente, una specie di trappola atta a non lasciarti fare un passo più in là…
Non penso quasi mai al passato tranne nei giorni di tristezza nei quali cerco un rifugio per scomparire.
Del passato ho solo un ricordo chiaro: di com’era la vita prima degli smartphone e dei social network; per quanto mi riguarda stavo bene ai tempi dell’Ericson con il fondo della tastiera blu.
Il passato evapora e quando torna si presenta fosco e nebbioso come fosse il fantasma di una persona a me sconosciuta, a tratti famigliare ma che ha poco da spartire con l’uomo che sono oggi.
Io non voglio pensare indietro, non ho tempo sufficiente. Voglio solo andare avanti.
Sulla battigia è più facile camminare perché la sabbia è compatta. Incontro alcune persone e ne vedo altre arrivare dopo di loro; passata la cresta irregolare, mi metto a camminare sulla berma.
Indosso gli auricolari e, intravvedendo sullo schermo il rametto dell’ultimo album di PJ Harvey, avvio una playlist di musica alternativa.
La sabbia è soffice, i piedi sprofondando mi obbligano a camminare più lentamente.
D’un tratto mi rendo conto del corpo: i muscoli che prima non percepivo iniziano a richiamare la mia attenzione.
Com’è difficile camminare su un terreno non battuto…
Ho quasi quarantacinque anni e mi trovo ancora una volta al punto di partenza. Senza stabilità, senza tranquillità, nessuna sicurezza, nemmeno quella economica, con più problemi di quando cominciai a lavorare…
Arriva alle mie orecchie Dreamless. Mi scuote.
Ho veramente quella voce?
Ho veramente scritto io quella canzone?
Pensavo che fosse il brano meno riuscito dell’album eppure riesce a rivoluzionare i miei sentimenti. Un pensiero mi disegna sul volto un sorriso: “riesce ad essere assurda anche in una playlist alternativa”.
D’altronde le strade non battute ci allontanano…
La musica, i quadri, le parole.
Ogni volta che li ritrovo scopro che non mi appartengono più, generati da una persona di cui non ho ne traccia ne memoria…
Mi sorprendo perché mi piacciono fino alla commozione.
Chissà cosa aveva dentro quell’io che ha scritto, cantato e dipinto quelle cose. Non lo so, non riesco a ricordare. Ricordo solamente che mentre faceva quel che faceva era… Felice non è abbastanza.
Quanti sono tutti quei Paolo che ho perso nel tempo?
La bellezza che han prodotto mi dà le vertigini.
Ho fatto quel che ho fatto per rispondere ad una mancanza. Ho creato per poter avere una forma, forse sghemba, di quello che avrei voluto per me…
Sono forse io stesso una vertigine?
Inizio a sentir la fatica, i muscoli irrigidirsi. Ma lo sguardo mi obbliga a continuare cercando la vastità e l’immensità, a inseguire incessantemente quella linea perfetta che separa il mare dal cielo. Quel cielo enorme ed azzurrissimo che splende intenso in una mattinata d’inverno con il sole in ascesa verso lo zenit.
Ho quasi quarantacinque anni ed ho ancora tutto da imparare. Mi manca tutto. Ho ancora tutto da fare.
…Se sarà ancora possibile.
Paolo Maggis