Dottor Čechov, lei conosce La Sindrome di Raebenson?
Egregio dottore Anton Čechov , spesso io e lei – per una strana magia fuori da ogni logica crono-temporale – ci scriviamo scambiandoci lettere. Lei mi racconta il suo mondo, il suo tempo, la sua gente, le storie che lei legge e ascolta. Io – da questo cantuccio di retrobottega di libreria di quartiere – le scrivo lettere, per raccontarle – in modo discreto – di me e dei giorni difficili che viviamo noi quarantenni di questa epoca: le descrivo la gente cinica che si muove attorno a noi, le accenno le storie brevi che provo a scrivere, le svelo le trame dei romanzi e dei racconti che leggo: tutti gesti che hanno il fine ultimo di alleggerire la mia mente dai malanni di questo caos contemporaneo che ruota attorno alla nostra esistenza.
Lo faccio con sincerità, sentendo lei a me vicino, nonostante questo vivere irrequieto in un mondo (poco) libero come il mio. Oggi, solo oggi dottore carissimo, io voglio mettere da parte tutta la rabbia che infiamma i globuli rossi del mio sangue; la rabbia dottore, il sentimento più intenso che lei ha riconosciuto nel vivere umano della gente a lei vicina, per ricavarne storie. Voglio mettere da parte questo sentimento per parlarle di un romanzo, una storia molto coinvolgente in cui si narra di una bizzarra sindrome vissuta da un uomo brillante e narrata da un medico a lui vicino. L’ esordiente italiano che l’ha scritta, mi creda, ha il dono del vero narratore sapiente: si chiama Giuseppe Quaranta. Uno scrittore e psichiatra che pur non avendo idea delle leggi che regolano il mercato dei libri – idea che come lei saprà bene, appartiene agli editori in primo luogo e in secondo luogo ai librai, (perché se i primi sono artefici degli andamenti irregolari di quel mercato, i secondi si ritrovano, loro malgrado, ad essere attori di un luogo chiamato libreria, lì dove provano a dimenticare le leggi economiche e a riconoscere il valore del bello nell’ antica abitudine della lettura…).
Questo medico e scrittore esordiente approda sui banchi delle librerie con un elegante romanzo e mostra a giornalisti culturali, lettori, scrittori, librai (e altre figure della filiera del libro) che il mondo delle lettere italiano non è una cosa già finita, come dicono alcuni scrittori in polemica con la patria delle lettere. Esiste, lo dico da libraio, (così come esiste e soffia il vento nelle notti d’ inverno sulle scogliere che si affacciano sul Mar Baltico) dicevo, ecco, esiste ancora oggi una disciplinata arte del raccontare storie con grande dedizione, sincera passione e riconosciuta maestria. E dottore, mi perdoni se lo dico proprio a lei che è sia medico che geniale Narratore, quanto fin qui descritto ha potere medicamentoso, al pari dei preparati caldi con cui lei cura i suoi pazienti di campagna. Mi conceda dottore questa mia considerazione triste ma vera: fa molto freddo dottore, in questa epoca. E io sento il mio cuore avvertire i sussulti della mente, ed entrambi gli organi non sanno difendersi da un mondo che va in rovina, e la gente affolla i distretti di salute mentale in preda a crisi irrisolvibili… e mi dico che forse niente può salvarci, in questa misera condizione umana. Proprio niente può salvarci, in quanto creature viventi? Forse una speranza di salvezza esiste: è la condizione primigenia dell’ascolto di una voce contastorie, che ci parla attraverso le pagine di un libro. Questo libro La sindrome di Raebenson, appunto, riesce nel suo intento: cattura il lettore e lo ammalia, distogliendolo da ogni tipo di preoccupazione del vivere moderno. E nel farlo offre spunti di riflessione sia sul significato ultimo della morte quale evento irreversibile, sia sul vivere per re-stare nel mondo. Dottore lei ha mai scommesso su un cavallo di razza? Perché questo Giuseppe Quaranta, secondo me, è un cavallo che corre veloce tra le parole, e in quanto animale in corsa lungo la strada del narrare, travolge in velocità i segni linguistici, poi affonda con forza gli zoccoli nel vivo inchiostro, e infine si impone sulla pagina scritta al pari di una creatura bizzarra e talentuosa. Quell’animale da corsa che si è allenata una vita intera per presentarsi alla competizione del secolo e gridare ai lettori-spettatori: esisto pure io, sentite la voce che produce il mio avanzare da scrittore nel mondo? Strana epoca questa, mi creda Dottore, perché vede uomini di questa Terra raggiungere l’apice della propria carriera letteraria vincendo un premio milionario (istituito da un uomo che lei ben ricorderà quale inventore della dinamite, sic!) proprio quando quasi non si ha più la forza e la lucidità per cimentarsi nel gesto artistico, mentre altri autori fin dai loro esordi, faticano a vivere di scrittura, barattando il loro talento con un lavoro precario utile appena a sbarcare il lunario. Chi ripaga questi autori della loro fatica? E chi riconosce loro il valore dell’ingegno utile a creare opere dell’intelletto in forma di libri scritti? Forse questo accade solo ad opera di quell’umile lettore che si muove tra le piccole biblioteche (e alcune librerie) di paese, dottore. Quel lettore che ha bisogno di immergersi nell’ arte per ritrovare l’essenza del proprio spirito. Spirito vitale che manca a molti oggi, ma che non manca ai lettori più genuini. Coloro che io riconosco come i veri fruitori delle storie scritte e narrate, immaginate e perpetuate.
Sono sincero dottore, lei non lo sa, ma io ho viaggiato a lungo per le strade delle diverse città in cui ho lavorato come libraio. E con me, in quei viaggi, ho sempre portato un borsone di tela sulle spalle. E nel borsone ho stipato i libri, diversi romanzi a me cari, che hanno allietato la mia persona, facendomi dimenticare tutto quello che avevo perso, per poco o per sempre nello svolgersi della mia esistenza, e curando il mio dolore di vivere. Riuscendo a far giungere alle mie orecchie una voce interiore in grado di farmi una grande promessa:
“esiste una vita altra, pure per chi vaga nelle macerie. Esiste da qualche parte, e le indicazioni utili a raggiungere quel luogo fatto di vita altra sono nascoste tra le pagine scritte dei grandi libri che hai a cuore. Perché leggere illumina il cammino, qualunque sia la meta…”
E mi creda dottore, anche il libro di Giuseppe Quaranta, ha illuminato questi miei giorni talvolta bui e artefatti. Producendo in me lettore un sentimento di speranza. E ora, lo ammetto, pur avendo io altre persone care che brillano nella costellazione della mia famiglia letteraria adottiva – composta da personaggi che qualcuno chiamerebbe immaginari, ma che in definitiva sono tali per pura convenzione, perché io reputo tutti loro entità vere, credibili. Per quanto talvolta siano difettosi o malati. E lo stesso penso anche dei personaggi del romanzo del dottor Quaranta, perché anche loro rientrano in questa mia famiglia. Questa mia passione de leggere libri, svolta sempre in ritardo nei confronti dell’esistenza, non mi accorcia la vita, ma me la allunga a dismisura. Facendo di me ora un animale marino leggendario che fermo a pelo d’acqua ascolta il canto dei gabbiani nella baia cilentana di Trentova, ora un contadino recluso tra le mura di un’aula di scuola improvvisata che apprende i primi rudimenti linguistici utili a riconoscere il proprio nome scritto alla lavagna. Solo leggendo la Grande Letteratura ha forza questo potere ammaliante che io vivo di pagina in pagina. Per questa ragione, le chiedo ora umilmente, di dimenticare tutte queste mie parole, e di vegliare sul percorso artistico che condurrà lo scrittore e autore del romanzo La sindrome di Raebenson per far sì che l’uomo Giuseppe Quaranta non perda mai di vista il suo puro istinto da narratore. E al contempo, se posso ancora avanzare una richiesta, la invito ad augurare allo scrittore di questo meraviglioso libro di non perdere mai, lungo tutta la propria vita, quello che qualcuno – in una epoca a me più vicina – ha chiamato “il senso pungente della realtà”.
Mario Schiavone