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Creare un immaginario tutto mio. Intervista a Francesca Cerutti

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Francesca Cerutti è nata a Milano nel 1997. Cresciuta in provincia di Varese, negli anni dell’università ha imparato a conoscere e amare la città natale. Nel 2020 ha pubblicato con Bookabook il suo romanzo d’esordio, Noi quattro nel mondo; nel 2022 il suo racconto A Pietroburgo ci incontreremo di nuovo si è aggiudicato il secondo posto al premio letterario “Pierpaolo Fadda”. Dopo la partecipazione alle antologie collettive Un’estate a quattro maniUna storia al giornoCartoline da Milano e Diciotto anni in cento parole, tutte e quattro edite da L’Erudita, a giugno del 2023 ha pubblicato con AUGH! Edizioni la sua raccolta di racconti Pretendi un amore che non pretende niente.

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Ammesso che esista – concretamente – una definizione utile di genere letterario, qual è quello che da scrittrice preferisci quando narri una storia?

Negli ultimi tempi ho preso a scrivere essenzialmente racconti che in gergo vengono definiti character-driven, in cui cioè il mondo interiore dei personaggi è molto più ricco della trama in sé, ed è ciò su cui si regge l’intera storia. Sono così un po’ tutti i racconti di Pretendi un amore che non pretende niente: non ci sono trame piene di avvenimenti o con chissà quali colpi di scena, spesso si svolge tutto nell’arco di poche ore, ma quelle poche ore agitano tutto un mondo nell’anima dei personaggi.

Quali sono i tre autori classici da cui non vorresti mai separarti? Quali i tre autori contemporanei viventi?

Tra i classici, ho un debole per J.D. Salinger, che ritroviamo anche in Pretendi un amore che non pretende niente: leggere i suoi racconti – sempre costruiti su più livelli di scrittura, sempre con qualcosa che resta tra le righe – mi ha davvero insegnato molto. Gli altri due a cui sono particolarmente legata sono poeti e non autori di prosa: Jacques Prévert e Wisława Szymborska, per la strabiliante capacità di entrambi di scrivere in un modo apparentemente semplice, ma in realtà potentissimo. Tra i contemporanei, invece, un’autrice da cui quest’anno quasi non mi sono separata è Antonella Lattanzi: il suo Cose che non si raccontano è stato una presenza fissa sul mio comodino. E sento di avere un rapporto speciale anche con Marco Missiroli e Silvia Avallone: nei libri che scrivono, entrambi danno vita a un immaginario ben definito, che sono felice di ritrovare ogni volta. Leggere i loro libri mi ha fatto capire che anche io potevo creare in quello che scrivevo un immaginario tutto mio, che mi caratterizzasse.

Foto: Riccardo Piccirillo

Che rapporto hai con il cinema, i fumetti e le serie tv? E quali sono i tuoi autori preferiti di questi tre medium narrativi?

Non sono una patita di serie tv, mentre mi piace il cinema. Amo molto Woody Allen, un po’ per l’immancabile ironia nei suoi testi, un po’ perché tratta temi che sono cari anche a me… penso ad esempio al suo ultimo film, Un colpo di fortuna, tutto incentrato sul caso e sulle coincidenze, che sono temi presenti anche nel mio libro. Apprezzo molto anche i fumetti (o, per usare un termine più diffuso oggi, i graphic novel). Il mio preferito in assoluto è Non stancarti di andare di Teresa Radice e Stefano Turconi, una storia ricchissima che tratta tanti temi diversi con maestria, senza lasciare mai ai lettori la sensazione che ci sia troppa carne al fuoco. E alcuni mesi fa ne ho letto un altro che mi è rimasto nel cuore, Nonostante tutto di Jordi Lafebre, una storia d’amore narrata a ritroso.

Ogni scrittore immagina un lettore ideale. O forse no. Per te esiste? Se sì, il tuo lettore ideale come è fatto?

Non ho un vero e proprio lettore ideale; mi piace solo immaginare che chi mi legge ritrovi qualcosa di sé stesso se non proprio in tutto un racconto, almeno in un passaggio. Mi affascina il pensiero che non ci sia un unico lettore ideale, ma tante persone – anche diversissime da me – che leggono le mie parole, riconoscono qualcosa della propria esperienza e per un attimo si sentono meno sole. Come è capitato spesso a me da lettrice.

Come impieghi il tempo quotidiano dedicato alla scrittura delle tue storie?

Di solito mi viene un’idea, magari prendo qualche appunto, la lascio decantare e inizio a scrivere solo quando sento proprio l’urgenza di lavorare a quella

storia. Nel corso della giornata, comunque, non ho un tempo minimo da dedicare alla scrittura né un numero minimo di pagine da scrivere. Per me l’importante è portare avanti la storia ogni giorno: anche di poco, ma comunque farla avanzare. Anche perché certe volte, indipendentemente dal tempo materiale che ho in effetti a disposizione per scrivere, mi capita che quello a cui sto lavorando si riveli così oneroso sul piano emotivo che devo per forza procedere a piccoli passi.

Quale tipo di racconto non scriveresti mai?

Non so se si può affermare a priori che non si scriverà mai un certo tipo di racconto, ma posso dire che ci sono generi, come il giallo o il fantasy, che non mi dispiacciono affatto da lettrice ma che sento molto distanti da me come scrittrice. Mai dire mai, in ogni caso. E, pur non avendone mai scritte, mi affascinano le storie con una componente surreale – un po’ nello stile di Veronica Raimo, per intenderci. Magari prima o poi troverò lo spunto per scriverne una anche io…

Stai già lavorando a un nuovo libro? Ti andrebbe di raccontarci qualcosa sui personaggi (e/o sul tema) del tuo prossimo impegno con la scrittura?

Un’idea c’è, qualche appunto l’ho preso, adesso è il momento di accendere il computer e mettersi all’opera. Per ora posso dire che la storia si svolgerà nell’arco di una sola giornata e che questa rappresenterà per i protagonisti un’inaspettata seconda occasione per cogliere un’opportunità che ormai credevano di avere perso. Ci saranno sempre il caso e le coincidenze, la domanda di fondo stavolta sarà: è sempre vero che nella vita “ogni lasciata è persa”?

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