Lessi qualcosa di Philip K. Dick negli anni dell’università, prima che i miei gusti letterari prendessero altre direzioni, e molto prima che l’idea del blog facesse capolino nella mia mente; a quel tempo ero preso da autori come Hemingway e Scott Fitzgerald, e dalla beat generation di Ferlinghetti, Corso, Kerouac, Burroughs, insomma quella roba lì.
Ho ripensato a Dick giorni fa, in libreria, mentre scorrevo i titoli di Stephen King alla ricerca di uno dei miei (pochi) pezzi mancanti del Re. Lo scaffale era lo stesso e i romanzi di Dick risaltavano sul nero lucido degli arredi per via delle nuove cover ideate da Mondadori: color panna, sobrie, eleganti, perfettamente in linea con i contenuti, molto americane. L’Uomo Nell’Alto Castello (The Man In High Castle), in Italia inizialmente pubblicato da Fanucci col titolo La Svastica Sul Sole, è uscito nel 1962 e ha segnato l’inizio della maturità artistica di Dick. Il romanzo si inserisce nel filone della cosiddetta narrativa ucronica, la letteratura cioè che riscrive la storia raccontandoci come sarebbe andata se… (Il Complotto Contro l’America di Philip Roth, Il Sindacato Dei Poliziotti Yiddish di Michael Chabon… eccetera).
Con Mondadori e la nuova traduzione di Marinella Magrì, La Svastica Sul Sole ritrova il suo titolo originale e, complice una fiction tv di grande successo in onda su Prime Video, torna a far parlare di sé incuriosendo anche chi non conosce l’autore del romanzo o non è avvezzo a questo genere di letteratura, tra la distopia e il romanzo storico.
La controstoria di Dick è ambientata nei primi anni Sessanta, in un’America che nella finzione ha perso la seconda guerra mondiale contro i paesi dell’Asse, e con una geografia politica evidentemente ridisegnata dai vincitori: l’Europa, l’Africa e gli Stati Uniti dell’Est fino alle Montagne Rocciose sono diventati un protettorato del Reich; Asia, Pacifico e Stati Uniti dell’Ovest sono finiti nelle mani del Giappone. I livelli della narrazione sono due: le vicende storiche si intrecciano a quelle personali dei protagonisti, uomini e donne comuni con delle vite pressoché anonime (il privato è decisamente meno attraente del pubblico). Cos’è che rende L’Uomo Nel Grande Castello il capolavoro che noi tutti conosciamo? Intanto la non verosimiglianza della storia, la suggestione di un mondo capovolto, quasi inimmaginabile, nel quale un paese potente come gli Usa soccombono a Hitler e compagni, con un tempo tridimensionale che si muove a zig zag tra presente passato e futuro. In secondo luogo, la presenza nel libro di Dick di altri due libri: L’I Ching, l’oracolo dell’antica saggezza cinese iniziato addirittura nel XXX secolo a. Cristo (pare che lo stesso Dick lo consultasse per tutto, a mo di oroscopo) e La Locusta Si Trascinò A Stento, un romanzo censurato, proibito dal governo, che racconta l’epilogo reale della guerra. Il suo autore si chiama Hawthorne Abendsen, è un ex marine che si nasconde in un alto castello ma che nelle ultime battute del romanzo si mostrerà senza timore fino ad annunciare la sua verità clamorosa. La Locusta è chiaramente un espediente narrativo di grande impatto, la trovata geniale attraverso la quale Dick si diverte a giocare e confondere i lettori con il reale e l’immaginario, il fulcro di tutto, il meccanismo che cattura più di ogni altra vicenda e che rende il romanzo (quello scritto da Dick) un romanzo speciale.