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Irene Doda anteprima. L’Utopia dei miliardari

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Le ambizioni frustrate: “Se Hitler fosse stato ammesso alla scuola d’arte per cui aveva fatto richiesta forse non ci sarebbe stato il nazismo in Germania, se la guardia di sicurezza del Watergate non avesse notato uno strano pezzo di nastro adesivo sotto una porta la storia dell’amministrazione Nixon e degli Stati Uniti sarebbe stata differente, e così via”.

La filosofa Alice Crary: «Il lungotermismo ci chiede di salvaguardare il futuro dell’umanità, facendoci distogliere l’attenzione dalla miseria attuale tralasciando di esaminare strutture socio/economiche dannose».

Una filosofia peculiare: “Eccoci giunti dunque al cuore, nonché a uno dei punti più controversi, della filosofia lungotermista: le vite degli esseri umani potenzialmente esistenti nel futuro contano esattamente quanto quelle delle persone attualmente viventi”.

Dal 24 gennaio sarà in libreria L’Utopia dei miliardari di Irene Doda, Edizioni Tlon, 2024, pp. 88, € 12.

Irene Doda è nata nel 1994, è cresciuta in Brianza e vive in Romagna. Ha scritto per l’edizione italiana di «Wired», per «L’Indiscreto», per la rivista anarchica «Emma» e per altre testate online e cartacee. Si occupa di temi legati al lavoro e alla tecnologia.

Con uno sguardo penetrante e critico, Irene Doda esamina il lungotermismo nei suoi vari aspetti, rivelando le sfumature e le motivazioni celate dietro questa emergente filosofia. L’utopia dei miliardari è un’opera che spinge i lettori a riflettere sulle priorità della società contemporanea e sulle conseguenze di una prospettiva che colloca il futuro in una posizione prioritaria rispetto alle esigenze attuali.

Il libro invita, inoltre, a esplorare questa filosofia di potere considerata “l’ideologia più influente che pochissime persone al di fuori della Silicon Valley e delle università di élite conoscono”, tra le più rilevanti dell’era moderna.

Il lungotermismo va oltre il semplice pensare a lungo termine: significa che abbiamo una sorta di dovere morale di colonizzare lo spazio, saccheggiare il cosmo, creare il maggior numero possibile di persone digitali e, nel farlo, massimizzare la quantità totale di “valore” nell’universo.

Il lavoro conferma il sospetto che: “Più le persone accumulano potere, più hanno difficoltà a limitare le loro manie di onnipotenza”.

Emerge anche un’analisi lucida del neoliberismo: “Il neoliberismo non promuove solo politiche economiche improntate all’austerity e favorevoli ai grandi capitali, ma anche un’idea di società ben precisa. Una società frammentata, composta da individui atomizzati a cui viene venduta l’idea di essere artefici del proprio destino, mentre le istituzioni democratiche e le strutture di welfare si occupano sempre meno del benessere dei cittadini – ridotti spesso, nella narrazione, al rango di consumatori”.

L’idea di fondo del saggio non è un invito a ignorare il futuro o non occuparci di esso. Ma invita a pensare al futuro trasformando in primis il presente, a cambiare le carte in tavola, a partire dal nostro stesso punto di vista.

Un libro da leggere e meditare, anche come contributo importante della nuova generazione di intellettuali italiani.

Carlo Tortarolo

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«God save the Queen, the fascist regime», cantavano i Sex Pistols nel 1977, prima di intonare il ritornello ripetendo «No future, no future, no future for you». Il 1977 è lontano, il punk per alcuni non è ancora morto, ma la Regina Elisabetta decisamente sì, dicendo addio al pianeta Terra e al trono nel settembre 2022. E il futuro, che fine ha fatto? Nonostante i proclami nichilisti di Johnny Rotten, dopo cinquant’anni siamo ancora qui. Il futuro è arrivato eccome, sono arrivati gli anni Ottanta, la fine della Guerra Fredda, gli attentati dell’11 settembre, le crisi economiche. Il guaio del futuro è che arriva sempre. Oggi sembra però una cosa da aspettare con sempre meno trepidazione e con sempre più ansia. Ci circonda un mondo al collasso: epidemie, inondazioni, incendi, temperature che aumentano di quantità e dimensioni, calotte polari che si sciolgono, banchise che si fanno ogni giorno più fragili. L’umanità moderna somiglia a un gruppo di bambini che giocano col fuoco: maldestri e incapaci di cogliere l’entità del rischio. Non ci stiamo nemmeno vivendo la parte divertente dell’apocalisse. Non sono arrivati gli zombie da combattere, né gli alieni con cui trattare, non ci sono stati nemmeno i paesaggi mozzafiato di The Last of Us. Nessuno ci aveva detto che la fine del mondo sarebbe stata la cosa più noiosa che potessimo immaginare: si devono leggere dati complicati, ascoltare notizie provenienti da Paesi e città che quaggiù in Occidente non abbiamo mai sentito nominare, misurare i gradi e i centimetri di oceano. E poi stare dietro agli anziani, agli infermieri in burn out, impastare la pizza per tutta la famiglia e seguire lezioni universitarie su Zoom. Il futuro arriva, a ogni modo, e bisogna farci i conti.

Il fascino del lungo termine

Questo breve testo ha come protagonisti gli autoproclamati creatori del futuro: professori di Oxford, miliardari della Silicon Valley, ideologi e guru degli ultraricchi. Mentre il resto del mondo arranca, tra il clima impazzito e la povertà, le elezioni e i colpi di Stato, le epidemie e le diseguaglianze che crescono, questo piccolo e agguerrito gruppo di potenti sostiene di avere in tasca le soluzioni, addirittura scientifiche, ai dilemmi esistenziali dell’umanità. La filosofia che propugnano promette di farci prosperare tra millenni, addirittura milioni di anni, ed è stata nominata, per questo motivo, lungotermismo. A livello logico, filosofico e politico è facilmente smontabile, infatti ci è voluto un volumetto di nemmeno un centinaio di pagine. Ma il fascino di questa ideologia è pervasivo, tanto che sta conquistando le grandi fondazioni filantropiche, le aziende multinazionali, le istituzioni. Nella pratica, le persone che si sono fatte portavoce del lungotermismo stanno acquisendo sempre più potere. La sua attrattiva è comprensibile. In una società sempre più divisa, i lungotermisti ci dicono che siamo tutti uniti in un destino comune. Mentre il futuro si fa ogni giorno più complesso e più incerto, i lungotermisti raccontano di una civiltà fiorente multiplanetaria. Ma se da una parte lasciarsi andare al nichilismo e alla rassegnazione è la ricetta per arrendersi alla follia dei tempi, affidarsi alle fantasie di un gruppo elitario autoreferenziale e scollegato dalla realtà è un biglietto di sola andata per il disastro.

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