Il puttanesimo consapevole è un capitolo a sé della letteratura, un serbatoio senza fondo che non distingue tra mainstream e genere, e che ha come riferimenti autori diversi per stile o voce, da Joyce a Bukowski, da Hubert Selby Jr a Roberto Bolaño, da Fabrizio De André a Massimo Carlotto, la serie è lunga. Nel 1989 William Vollmann aveva già raccontato il mestiere del sesso in Storie dell’arcobaleno (The Rainbow Stories). È un autore complesso, Vollmann, speciale per molte ragioni e non tutte legate alla scrittura in sé. Scrive su qualunque argomento e tanto, lavora contemporaneamente anche su dieci progetti diversi. Per essere preciso, credibile, va nei luoghi delle sue storie e vive come i suoi stessi personaggi: povero con i poveri, biker con i bikers, mujaheddin con i mujaheddin.
Con Puttane per Gloria, Vollmann torna nel quartiere malfamato di Tenderloin, a San Francisco, due anni dopo The Rainbow Stories. Jimmy è un reduce del Vietnam; soggiorna in squallide pensioni, frequenta drogati, prostitute, avanzi di galera, senzatetto. Attraverso le testimonianze di questi reietti, Jimmy si mette sulle tracce di Gloria, prostituta e suo primo amore, scomparsa chissà dove, forse mai esistita.
Ci sono due grandi assenti in questo libro: il primo è il Vietnam, che è uno dei traumi della storia recente americana più rappresentati, nel cinema come nella letteratura (il Vietnam fa da sfondo all’indagine di Jimmy ed è probabilmente la causa dei suoi deliri); l’altro è Gloria, il sogno inafferrabile: l’amore ma anche la gioventù perduta per sempre in guerra. Puttane per Gloria è un romanzo crudo e poetico sull’infelicità con un finale tassonomico che sconfina nel saggio, insolitamente breve per gli standard di Vollmann: appena duecento pagine. Jimmy come Henry Chinaski e Mickey Sabbath, il burattinaio triste di Philip Roth. Disperato, erotico, stomp.
Angelo Cennamo