Della California di Joan Didion ci colpiscono prima di tutto i colori decisi: l’azzurro del cielo limpido, le tonalità cangianti della terra, i marroni delle staccionate, il rosso dei tramonti. La luce ci arriva come una lama, acceca. Il caldo soffocante brucia la sabbia e i muri delle case, accende i cuori, arma le mani. Non riesco a immaginare la California senza accostarla ai libri della Didion, all’afa che pervade le sue trame di uomini e donne sempre sull’orlo di un abisso, alle bottiglie di bourbon sui tavolini nelle verande e a bordo piscina, ai campi sconfinati che misurano le distanze e la solitudine di chi li abita. Run River è il romanzo d’esordio. Negli Usa uscì nel 1963, Didion non aveva neanche trent’anni, lo scrisse nei ritagli di tempo, di notte soprattutto, tra un articolo e l’altro per riviste come Life ed Esquire. In Italia è arrivato mezzo secolo più tardi con Il Saggiatore, non so il perché di questo ritardo. Run River è una saga familiare, una vicenda tragica che si apre con uno sparo sulla riva di un fiume e si conclude con un secondo sparo.
In mezzo, come un gigantesco flashback, scorre la storia, che Didion ambienta in un luogo poco distante da Sacramento. Nel ranch dei McClellan si respira un’aria di conquista, è un’aria però viziata da incomprensioni e da sentimenti inespressi. Bugie e debolezze che accompagneranno tutti i protagonisti alla dissoluzione e al dramma finale. La vicenda ruota intorno ai coniugi Everett e Lily McClellan. Quando sposa Everett, Lily è poco più di una bambina, naturalmente fragile, sicuramente viziata e accontentata in tutto dal padre “Sono sposata a Everett McClellan e lui mi ama davvero tanto e non posso farci niente”, dirà più avanti a uno dei suoi amanti. Lily è sempre un passo fuori dalla storia, sia come moglie che come madre, una spettatrice a volte incauta, altre volte cinica, di quanto le accade intorno. L’indifferenza con cui osserva e si lascia guidare o trascinare ci fa pensare a una persona poco consapevole: sembra che Lily non stia vivendo la propria vita ma quella di un altro. Questo senso di alienazione, che la seguirà per tutto il romanzo, diventerà il tratto distintivo anche di altri personaggi femminili della Didion. Il tema centrale della storia è l’infedeltà: vera e non vera, plurima, sfiorata, schivata, avallata, giustificata dall’assenza e vissuta come fuga dalle responsabilità. L’altro tema è la costrizione familiare, e l’ingerenza che in certi casi diventa morbosa, quasi incestuosa. In mezzo, il fiume, metafora di un percorso obbligato, di un destino ineluttabile e crudele.