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Martin Amis. L’informazione

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L’insuccesso gli ha dato alla testa ma della sua pazzia lui ne va fiero, anzi, dice, è l’unica cosa bella che gli sia capitata da anni. L’unica? Di chi stiamo parlando. Di uno scrittore fallito. Peggio: di uno scrittore “indimostrato”. Alla soglia dei quarant’anni, Richard Tull si può definire un rottame: un romanzo carino, decente se non altro, sì ma era tanto tempo fa, poi una serie di rifiuti… uno, due, tre, sei… “Non era nato per diventare migliore… inseguito da avvocati e da editori per anticipi su libri mai scritti… fumava e beveva soprattutto per consolarsi dei danni del fumo e dell’alcol”. Se c’è una cosa che oggi a Richard gli riesce bene, è piangere. “Le città di notte contengono uomini che piangono nel sonno, poi dicono Niente. Non è niente. Solo un sogno triste. O qualcosa del genere…”. Non occorre addentrarsi troppo nella storia, per capire che L’informazione di Martin Amis è un romanzo speciale ci basta leggere le prime due righe.  

Richard Tull e Gwyn Barry sono amici fin dai tempi del college, lì a Oxford. Gwyn non vale una cicca, lo sa bene anche Demeter, la moglie nobile imparentata con la regina; eppure, per qualche strana o imprecisata ragione, Mr. Barry è diventato una vera celebrità. Perché i romanzi di Gwyn erano così popolari? Va a sapere. “Non era merito suo, era colpa del mondo”. A Richard non resta che recensire libri di altri e dirigere una piccola rivista che non conosce nessuno. “Il mondo di Gwyn era parzialmente pubblico. Mentre il suo era pericolosamente, crescentemente privato”. Che fatica vivere, che fatica osservare il divario, prenderne atto. Diciamola tutta: Richard è incazzato nero, e non lo nasconde affatto “Pur gioendo in maniera sincera e schietta del successo di Gwyn, si riservava il diritto di mettere in chiaro che secondo lui i libri di Gwyn erano merda… e che il successo di Gwyn era assai comicamente transitorio”.

È un modernista, lui “abbandonato su un’isola deserta”, non gli va di assecondare i lettori, non cerca di scrivere romanzi talentosi, cerca di scrivere romanzi geniali; vuole diventare come Joyce. Ma se i libri di Joyce sono per metà geniali e per metà di una noia mortale, i suoi sono di una noia mortale dalla prima all’ultima pagina.

Perché ti ostini a scrivere romanzi che nessuno pubblica?, chiede Gina, la moglie adultera, dopo aver taciuto per un anno intero (stando ai patti) sulle perdite, e i conti ancora da

EPA/ALEJANDRO GARCIA

pagare. “Perché senza la scrittura non mi rimarebbe altro che questo. I giorni. La vita… bacinelle di panni sporchi, la spesa…”. Che potenziale sprecato per questo poeta dannato, incompreso, cornuto. Cornuto, sì, perché la crisi del romanziere segue quella del marito. Gina lo lascerà? Forse, ma non subito “Insieme, si erano uniti al grande gregge degli esausti”. 

Ora basta. Richard deve fare qualcosa. Gli serve un piano. Già ma per cosa, per entrare finalmente nelle grazie degli editori e dei lettori? Per trovare la giusta ispirazione che lo porti a scrivere il Grande Romanzo Inglese e guadagnare un pacco di sterline? No. Il piano folle è un altro: mitigare la propria infelicità, renderla meno indigesta, annientando l’altro, l’amico fortunato. 

L’informazione è una storia di invidia e di frustrazione. Il cinismo e la goffaggine di Richard Tull ricordano quella di certi personaggi di Philip Roth. Il racconto delle sue vicende di marito e di scrittore finito è denso di fatti e riflessioni, e si sviluppa in orizzontale più che in verticale, con parti metanarrative e trame parallele che talvolta sembrano esorbitare troppo dal nucleo della storia. È un gran romanzo, L’informazione, perfetto nella scrittura e nella costruzione, ma di non facile lettura. Non sono ammesse distrazioni. Quando diciamo di amare uno scrittore ci riferiamo al massimo alla metà della sua produzione letteraria, diceva Martin Amis. Di Amis invece amiamo tutto, con poche eccezioni. 

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