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Brian Evenson. Gli ultimi giorni

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Di Brian Evenson, scrittore originario dell’Iowa più o meno mio coetaneo, ne avevo sentito parlare come di un autore horror molto in gamba, innovativo, capace di spingersi oltre l’immaginabile, estremo. Non mi era ancora capitato di leggere qualcosa di suo, forse perché in Italia è arrivato poco oltre Last Days, romanzo uscito negli Usa nel 2009 e pubblicato da noi lo scorso anno da Nottetempo con la traduzione di Orso Tosco (stravedo per le storie allucinanti di Orso Tosco, chiusa parentesi). Gli Ultimi Giorni appartiene a quella rara ed enigmatica categoria di libri che io chiamo I Libri Strani. I Libri Strani sono i libri diversi da tutti gli altri o da molti altri che vediamo in giro sugli scaffali delle grandi catene o sui social; quei libri che sarebbe scontato definire Horror o diversamente Hard Boiled o Gotico o Thriller o Fantasy, o tutte queste cose assieme, e che solo per il loro essere diversi accendono la curiosità dei lettori (di alcuni) meritando uno sguardo più attento, più benevolo.

Gli Ultimi Giorni però non è solo un Libro Strano, è prima di tutto una bella storia, una storia buia, claustrofobica, insolita, che ci cattura fin dalle primissime battute, direi dalla prima riga. E nonostante si tratti di una storia del tutto inverosimile, ogni sua parte si sviluppa secondo logiche comprensibili, perfino credibili, si muove secondo logiche profondamente umane. Di cosa stiamo parlando. Di un uomo, innanzitutto. Si chiama Kline ed è molto avvilito. Durante una pericolosa missione sotto copertura, Kline ha perso una mano, e per via di questa amputazione ora si ritrova prigioniero di una setta religiosa (la Confraternita della Mutilazione), che considera l’automutilazione la sola possibilità di salvezza, l’unica forma di emancipazione, di purificazione dai peccati commessi. Kline preferirebbe trascorrere i giorni che gli restano sprofondato nel proprio dolore. Vorrebbe tanto lasciarsi sopraffare dalla depressione e struggersi nel ricordo di quando era sano e felice, ma viene costretto a indagare su un omicidio avvenuto all’interno della Confraternita, un caso assurdo che nasconde nuovi misteri, altri inganni. Ho pensato a questo romanzo come a una gigantesca allegoria sul dolore, o a una parabola biblica sulla non accettazione del limite, sul desiderio di oltrepassare il confine della vita spogliandosi di ciò che è mortale, del corpo e di ogni sua vibrazione sensoriale. È un libro folle, crudo, che ha a che vedere molto con la fede. Qual è il modo migliore per trovare la giusta concentrazione e avventurarsi in romanzi così spinti e fuori dalla realtà? Io dico che non esiste nessun metodo se non quello di abbandonarsi tra le sue pagine. Buona lettura. 

Angelo Cennamo

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