Una legge brutale: “«Chi va via perde il posto all’osteria» era l’usanza e altri cercatori, felicissimi di trovare pozzi e gallerie già scavati, si impegnavano a estrarne il minerale; un’espressione consacrata riassumeva tale attività: to jump a mine. Sam aveva perduto la miniera. La legge non lo tutelava. Unica legge valida in quel caso, la legge del più forte – della Colt, o della dinamite, se voleva recuperare la proprietà…”
Consigli preziosi: “Gli ho anche consigliato di non preoccuparsi dei critici letterari ma di puntare sul proprio stile. Ha un tono che appartiene a lui soltanto! Una voce letteraria che sarebbe da pazzi abbandonare per denaro o per lusinghe. Più avanti, se lavora e vive, avrà la gloria e la fortuna, ne sono certa, deve pensare soltanto a continuare… Perché se sopravvive è atteso da un grande destino.”
La delusione di uno scrittore: “La mia povera letteratura – continua Stevenson scrivendo a Henley – aspettati di vederla peggiorare ancora per un certo periodo (…). La battaglia è dura. Anche se ci metto tutto ciò di cui sono capace, probabilmente il mio lavoro non vale un fico secco. Ma se tu detestavi a tal punto il mio Viaggio in compagnia di un asino, perché non l’hai detto all’epoca della pubblicazione? Perché mi comunichi le tue critiche come una rivelazione improvvisa? Nel momento in cui crolla la mia salute, e le mie finanze e le mie speranze?”.
È in libreria Fanny Stevenson. Tra passione e libertà di Alexandra Lapierre (Edizioni E/O, pp. 720, € 20,90 tradotto dal francese da Sergio Atzeni).
Alexandra Lapierre, è una scrittrice specializzata in biografie e romanzi che esplorano le vite di figure importanti ma spesso dimenticate dalla Storia. Fanny Stevenson è il terzo libro dell’autrice pubblicato con Edizioni E/O dopo Belle Greene e La donna dalle cinque vite.
Fanny Stevenson è una donna che ha vissuto mille avventure. Prima abbandona la sua famiglia borghese, solida e tranquilla, per seguire il suo primo coniuge, che si era dedicato alla ricerca dell’oro nei distretti minerari del Nevada. Fanny si confronta sin da giovane con l’isolamento e la lotta per la sopravvivenza tra la natura ostile.
Sentendosi delusa dalla vita negli Stati Uniti, decide di lasciare il marito e di trasferirsi in Francia per studiare pittura, priva di risorse finanziarie e relazioni. Nel cuore dell’antica Europa, incarna un nuovo ideale femminile, quello della ragazza americana, emergendo come una delle prime pittrici donne nell’ambiente degli impressionisti parigini.
Tuttavia, l’evento cruciale della sua esistenza fu l’incontro con Robert Louis Stevenson, undici anni più giovane di lei. Per il celebre autore de Lo Strano Caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde, Fanny abbandonò il suo mondo.
Insieme, si stabilirono su un’isoletta delle Samoa, dove vissero un amore che sfidò le convinzioni dell’epoca ottocentesca, la malattia e la morte stessa. La loro relazione, dapprima infuocata e romantica, divenne poi più complessa e sottile, ma rimase l’elemento chiave che trasformò il giovane e ribelle Stevenson nel genio letterario più acclamato del suo tempo.
È la storia avvincente, avventurosa e molto ben documentata di una donna coraggiosa, determinata e protagonista della propria vita che ci fa rivivere l’amore straordinario tra due creature fuori dal comune.
Carlo Tortarolo
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Parigi, 1988
R.L.S.
Tutto comincia con queste tre iniziali. R.L.S.: Robert Louis Stevenson.
Ho scoperto le sue opere più famose non da adolescente, ma molto tempo dopo, quando ho divorato quasi per caso i romanzi che, nei desideri più folli, sognavo di scrivere, e le avventure che avrei voluto vivere. Avida e incantata mi sono addentrata nel cuore dell’opera, confrontando note e varianti, spulciando prefazioni.
Dappertutto trovavo risposte, spiegazioni, chiavi di lettura. Da un’edizione all’altra, in Francia, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, di epoca in epoca si riproponeva invariabilmente una stessa immagine: Stevenson romanziere per ragazzi, avventuriero coraggioso, uomo esemplare. La staticità e coerenza dell’immagine mi invitavano a un approfondimento. Tutte le introduzioni, dopo aver detto della fedeltà dello scrittore agli amici, accennavano alla presenza di una donna al suo fianco, una sola, la moglie. A questo punto cominciavano le divergenze.
A seconda dei prefatori la compagna del grand’uomo era musa e madonna oppure megera e virago. Un’avventuriera o una borghesuccia. Un’analfabeta, una precorritrice. Una saccente,
una svergognata. Un demonio, una martire. Mi divertì la passione da tutti messa in campo nel denunciare quella donna.
L’ultima dedica dell’opera scritta da Stevenson nell’anno stesso della morte mi incuriosì:
Prendi tutta l’opera: è tua.
Chi ha affilato la spada, chi ha soffiato sulle braci morenti,
Chi ha sostenuto il bersaglio? Immobile. Sempre più in alto.
Avara di complimenti, prodiga di consigli. Chi, se non tu?
Alla fine del tragitto, se la scrittura vale qualcosa,
Se il lavoro è compiuto,
Se il fuoco brucia su questa pagina imperfetta,
A te sola la gloria è dovuta.
A cosa mai poteva somigliare la donna così cantata da un tale scrittore?
Dal nostro incontro sarebbero dipesi cinque anni della mia vita. Me la cavo a buon prezzo. Molti di coloro che conobbero Fanny Vandegrift le morirono accanto.
Più barbara, più stravagante di quanto avessi potuto immaginare, più umana e più mostruosa, quest’americana incarna un mito e un mondo. Se l’intimità con Robert Louis Stevenson le dà diritto di cittadinanza nella leggenda, la sua storia oltrepassa l’ambito di un matrimonio con un uomo celebre. Lei ha vissuto prima di lui. Continua a esistere dopo. Ne sono testimonianza i ricordi del suo ultimo compagno, l’uomo che le chiuderà gli occhi il mattino della morte, il giovane amante che trascorrerà il resto dei propri giorni all’ombra di lei. San Francisco, febbraio 1914
Racconto di Ned Field (Edward Salisbury Field), illustratore, drammaturgo e futuro sceneggiatore di Piccole donne di George Cukor.
Era la sola donna al mondo per la quale potessi immaginare che un uomo sarebbe stato pronto a morire.
La vidi per la prima volta undici anni fa. Nel 1903, gennaio 1903, nella bottega di William Doxey, il libraio d’avanguardia di San Francisco. Come ogni ultimo mercoledì del mese aspettavo il mio incontro con il grafico e i redattori del famoso Overland Monthly. Il giornale occupava il secondo piano nello stesso palazzo della libreria di Doxey, a Market Street, e sfogliando riproduzioni d’arte tentavo di scacciare l’angoscia di un nuovo rifiuto delle mie illustrazioni, caricature e strip.
Se l’atmosfera della redazione dell’Overland ancora mi impressionava, le pose fin de siècle degli intellettuali che frequentavano Doxey non mi facevano né caldo né freddo. Avevo ventitré anni, avevo trascorso sei mesi a Parigi, credevo di saper tutto degli eccessi della bohème.
Quando la campanella della porta tintinnò, non mi degnai di levare il naso, ma da dietro il libro scorsi un piede piccolissimo in una ballerina rossa da danzatrice, che scendeva agile i tre scalini traballanti. Qualcosa di incredibilmente civettuolo nell’avvolgersi dei nastri, nel volume del nodo sulla caviglia, nella cascata di pizzi e seta marezzata sulle gambe, mi inebriò subito. Era il piede più impertinente che avessi mai visto, dopo gli stivaletti delle signorine del Moulin Rouge.
Da giovane era stata forse graziosa. Quel giorno era bella. Con l’ampia veste frusciante, senza busto, senza corsetto, con gioielli barbarici e una straordinaria criniera di boccoli grigi, nervosi, tagliati corti; con lo sguardo penetrante e fermo, evocava una pianta tropicale, un mondo di steli, di liane e di fiori, intenso e vitale, senza età e senza nome.