Alcune difficoltà in premessa: “La situazione era la seguente: Olga Leonovna, la madre sessantaduenne, riceveva una ridicola pensione di sessanta lei mensili, e non aveva nemmeno la possibilità di racimolare qualche centesimo in più, come faceva ai tempi dell’URSS, quando sferruzzava alacremente sciarpe e maglioni di mohair (ora andavano di moda i vestiti di seconda mano!); Boris Aurelovič, il padre, era rimasto disoccupato a soli cinquantacinque anni, dopo che la fabbrica in cui aveva sgobbato per tre decenni – ci aveva perso anche l’udito – aveva licenziato tutti i lavoratori quasi fossero stracci vecchi di cui disfarsi”.
Il bisogno d’amore: “«Insaziabile? Nicanor, io sono una donna semplice, normale. Nella mia vita non ho avuto abbastanza amore, desidero soltanto essere amata. Ti pare forse un crimine? O magari ti sei stufato di me?»”.
Un’intuizione improvvisa: “Dei condomini presero a scazzottarsi, poi qualcuno chiamò la polizia ma nessun difensore dell’ordine pubblico si fece vedere. Nicanor Turturică comprese immediatamente che le cose stavano prendendo una china alquanto pericolosa. Rientrò allora nell’appartamento dell’amante, con in testa il chiodo fisso che non c’era più tempo da perdere. «Bisogna squagliarsela, Raia! Arrivano i russi!» sbottò il professore contro la donna che sembrava non voler comprendere la gravità della situazione”.
Dal 15 maggio sarà in libreria E al mattino arriveranno i russi di Iulian Ciocan (Bottega Errante editore 2024, pp. 208 € 18) con traduzione di Francesco Testa,
Iulian Ciocan Nato nel 1968 a Chişinău (Repubblica di Moldavia), è uno degli autori moldavi contemporanei più tradotti. Si occupa di giornalismo e critica letteraria e collabora inoltre alla programmazione culturale di Radio Europa Libera nella sede di Chişinău. È autore di una “trilogia moldava” inaugurata nel 2007 dal romanzo Prima che Brežnev morisse (Bottega Errante, 2022). Le sue opere dallo stile ironico sono tradotte in inglese, ceco, francese, serbo e bulgaro.
Turturica, un professore di latino, è costretto a fuggire da Chişinău dopo che l’esercito russo invade la Moldavia. Tuttavia, il suo passaporto è scaduto e tornando a casa, trova il suo appartamento occupato e l’aeroporto sotto assedio. Nel 1995, Marsel Pulbere, uno studente moldavo, torna a Chişinău dopo la laurea in Romania, ma affronta una serie di peripezie, incluso un processo kafkiano per tradimento mentre cerca di pubblicare il suo romanzo.
Le vicende di Turturica e Marsel si intrecciano in un ambiente segnato da problemi e dal conflitto, rappresentando il grottesco dramma vissuto dai personaggi in una terra contesa come la Moldavia dove cui il fantastico è anticipato dalla “realtà” circostante, come profezia di un futuro cupo e incerto.
Carlo Tortarolo
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La mattina del 25 giugno 2020, il professore di lingua latina Nicanor Turturică si svegliò più tardi del solito. E non solo perché era sabato, ma anche perché aveva giocato a scacchi online fino a dopo mezzanotte, sfidando un testardo australiano che a nessun costo voleva ammettere la sconfitta contro il rappresentante di un paese lillipuziano. Nicanor Turturică oziò per un po’ disteso sul letto, contemplando stupito una nuvola scurissima che galleggiava sulla destra della finestra, alquanto preoccupato che la profonda dormita non fosse riuscita a scacciar via la stanchezza. Sebbene a sessant’anni si sentisse un uomo nel fior fiore dell’età, una cronica spossatezza continuava ad angustiarlo, per non parlare del dolore agli occhi e delle fitte al petto.
Un medico ottuso gli aveva riferito che era tutta colpa di Internet, precisamente degli scacchi online, in cui pareva aver trovato un sollievo dopo la morte improvvisa della moglie. Come poteva continuare a vivere senza nemmeno una consolazione, dopo che la giovane consorte gli era stata portata via da un maledetto cancro alle mammelle? E così, passata qualche settimana dal funerale, Nicanor Turturică si era lasciato andare all’alcol. Solo a seguito di una violenta discussione avuta su Skype con la figlia emigrata in America, il professore aveva fatto la scoperta degli scacchi online, rinunciando alla vodka e al vino. Era venuto poi il giorno in cui aveva conosciuto Raia, una docile vedova sessantaduenne che vendeva plăcinte al buffet della facoltà e con cui aveva iniziato a frequentarsi nei fine settimana. Quella vedova insaziabile avrebbe voluto fare sesso ogni notte, e la cosa, sommata alle lezioni di latino e al gioco degli scacchi online, avrebbe sfiancato Nicanor. Era riuscito a convincerla che una volta alla settimana era più che sufficiente. Come dice il proverbio: “il troppo stroppia”. Con gli scacchi, però, non riusciva proprio a smettere. Sedeva davanti al computer per ore filate, lottando contro tutti i continenti, collezionando vittorie con una caparbietà degna della più nobile causa, e dopo ogni sconfitta, reputata ovviamente stupida e ingiusta, diventava scontroso. Ma la mattina di quel 25 giugno Nicanor Turturică era così spossato che rinunciò seduta stante ad accendere il computer e il televisore. Forse quel medico ottuso aveva ragione quando diceva che la sua stanchezza era dovuta a uno stile di vita sedentario. «Il movimento è fonte di benessere!» ripeteva il dottore, una verità che soltanto ora si rivelava in tutta la sua importanza. Doveva rimettersi in sesto il prima possibile, anche perché la sera sarebbe finito tra le braccia vigorose di Raia la barista, che lo avrebbe spompato, recuperando il tempo perso con il suo ardore.
Dopo una doccia rigenerante e la prima colazione, Nicanor Turturică indossò una tuta scolorita, trovata sul balcone sotto una pila di vestiti usati, calzò un paio di scarpe da ginnastica malconce, inutilizzate da un decennio, e lasciò lo spazioso trilocale per andare a fare una passeggiata nel parco limitrofo. Sul pianerottolo, pieno zeppo di mozziconi di sigaretta, urtò un vicino che camminava di fretta, biascicando qualcosa, contrariato.
«Che ti è successo?» domandò Nicanor Turturică a quell’uomo solitamente loquace e sorridente. Il vicino si fermò un attimo, aprì la bocca a più riprese senza pronunciare neanche una parola – simile a un pesce che boccheggia –, esibì un’espressione di disgusto e continuò a salire le scale, veloce come una saetta. “Deve avere un problema. Avrà litigato con la moglie…” disse tra sé Nicanor Turturică leggermente infastidito, prima di uscire nel cortile del casermone popolare.
Era una splendida giornata estiva, un sabato tranquillo, l’ideale per rilassarsi dopo una settimana di lavoro. Ma il professore di latino aveva come il presentimento che qualcosa non andasse, come se nell’aria aleggiasse una specie di inquietudine opprimente. Nicanor Turturică levò gli occhi al cielo e osservò delle nuvole grigie che venivano da sudest, oscurando irrimediabilmente la serena volta celeste. Sembravano delle volute di fumo prodotte da un grande incendio. “Che diavolo sarà mai?”.
Nel vecchio parco, sopravvissuto per miracolo all’offensiva dell’abusivismo edilizio, si vedevano molte meno mamme e bambini del solito. Chissà perché? Nicanor Turturică passeggiò lungo un viale alberato, fece degli elementari esercizi ginnici e poi andò a sedersi su una panchina, all’ombra di un pioppo marcescente. “Muoversi è proprio una bella cosa…” pensò il professore di latino, respirando a pieni polmoni l’aria salubre del mattino. Rimase seduto ad ammirare una fila di arbusti tondeggianti e pensò a Raia. Non era più sicuro di voler passare la notte insieme a lei. La loro relazione non era certo nata da un sentimento profondo, ma solo dal sesso e dalla paura della solitudine. Cosa ne sarebbe stato di loro tra qualche anno, quando non avrebbero più avuto la forza di scopare? Nicanor Turturică sospirò a fondo.
Tornato nel cortile del casermone popolare, scorse un furgone gigantesco utilizzato per i traslochi. Uno dei suoi vicini, un vecchio funzionario con cui spesso discuteva del più e del meno, era lì che metteva fretta ai facchini. Da un lato, sedute in una macchina, moglie e figlia parevano agitate, non vedevano l’ora che il lavoro fosse terminato. Un gruppo di inquilini commentava in disparte, a bassa voce, la partenza del činovnik, del vecchio funzionario. Decisamente sorpreso, Turturică gli si avvicinò, elettrizzato: «Dove te ne vai, amico? Cambi casa?».
Il činovnik lo osservò quasi fosse un extraterrestre: «Non le ascolti le notizie alla radio, Nicanor? Quand’è stata l’ultima volta che hai acceso il televisore?».
«Mmh… Ieri mattina, credo… Ma che è successo?».
«Mi chiedi cos’è successo? Siamo fottuti, Nicanor! La Transnistria ieri ha invaso la Moldavia. I carri armati russi sono entrati ad Anenii Noi. E l’esercito moldavo non potrà certo fermarli. Ma non lo vedi anche tu il fumo che oscura una parte di cielo? Pare che l’artiglieria transnistriana abbia dato fuoco a delle cisterne di petrolio. Io fuggo, scappo in Romania! I militari della Transnistria saranno qua tra due giorni, e io, un impiegato del Ministero della Cultura, nonché promotore del “Giorno della lingua romena”, sarò tra i primi a essere condannato. Quella è gente molto crudele, Nicanor. Vicino al villaggio di Bulboaca hanno ucciso a sangue freddo tredici ostaggi moldavi che erano stati fatti prigionieri… Mi dispiace solo per l’appartamento. Non riuscirò a venderlo, ma la vita è più preziosa».
Nicanor Turturică ascoltava la confessione del funzionario con gli occhi sbarrati dallo stupore. Gli sembrava uno scherzo di cattivo gusto, un’assurdità, ma stava cominciando ad avvertire un nodo alla gola: «Non sarà forse un conflitto di breve durata? Nel corso degli anni non sono mai mancate delle scaramucce locali…».
L’interlocutore rimase a guardare il professore di latino con sprezzante compassione, poi disse convintamente: «No, Nicanor… Questa volta la situazione è grave, siamo in guerra. Ti consiglio di fare i bagagli il prima possibile, se non vuoi stare ad aspettare i liberatori come fanno quelli là…».
Il funzionario girò leggermente lo sguardo verso un gruppo di inquilini che discutevano tra loro a bassa voce.
All’improvviso si udì una risata isterica provenire dai piani alti del palazzone. Alzarono gli occhi e videro sul balcone un pensionato, noto a tutti per le sue sbronze bestiali e le chiazze di vomito lasciate sulle scale condominiali. Aveva le lacrime agli occhi, si stava sganasciando dalle risate. Nicanor Turturică pensò che fossero gli effetti dell’ennesima nottata alcolica. Ma il pensionato cominciò a strillare, accompagnando le urla con gesti enfatici e inveendo contro quel funzionario insignificante: «Nu čto, svoloč’? Smatyvaeš’ udočki? Tak tebe i nado! Katis’ v svoju Rumyniju!!!» .
«Hai visto quanto odio c’è in lui? E questo è solo l’inizio! Puoi immaginarti cosa accadrà a Chişinău quando i carri armati entreranno in città? Basta, Nicanor. Ho fretta, abbi cura di te…» disse il činovnik, osservando Nicanor con la solita compassione sprezzante.
Nicanor Turturică avvertì l’urgente bisogno di raggiungere casa il prima possibile. Aprì la porta, si tolse le scarpe da ginnastica e corse verso il computer. Tutti i siti annunciavano l’invasione militare della Moldavia da parte dell’esercito transnistriano. Una fotografia mostrava Smirnovič, il leader della repubblica separatista, mentre ispezionava con attenzione il municipio di Vadul lui Vodă, abbandonato dalle autorità locali. Avevano occupato Vadul lui Vodă! Nicanor Turturică accese il televisore. Il canale Moldova 1 mostrava immagini raccapriccianti, filmate sulla linea del fronte. Vide un mezzo blindato moldavo colpito da una granata e cadaveri carbonizzati che giacevano a terra. Poi apparve sullo schermo Nicolae Flenchea, il presidente della Repubblica moldava. Stava rivolgendo un discorso alla nazione. Condannava l’attacco dei separatisti della Transnistria, i quali avevano vilmente aggredito la Moldavia grazie al sostegno del Cremlino. L’esercito avrebbe fatto di tutto pur di fermare l’offensiva del nemico armato fino ai denti – proseguiva il capo dello Stato. Le autorità locali avevano chiesto aiuto all’ONU e alla NATO, sperando che l’umanità intera si mostrasse solidale con il popolo moldavo, così da costringere gli invasori a retrocedere. Per difendere il paese, vennero chiamati alle armi tutti i giovani idonei alla leva. Seppure il messaggio del capo di Stato suonasse deciso e categorico, Nicanor Turturică trovava preoccupante che al presidente tremasse la voce in gola. E lui, con i suoi sessant’anni, era pronto a combattere? Al diavolo! Il professore di latino spense il televisore e restò a riflettere sconsolato per alcuni minuti. Cosa era meglio fare? Lasciare il paese come aveva fatto il funzionario insignificante? Rimase a giocare agli scacchi online per un paio di ore, pranzò e poi andò da Raia.