“Quando ero giovane pensavo di odiare tutti, ma quando sono cresciuto ho capito che sono solo i bambini che non sopporto…” inizia con una citazione di Philip Larkin Aria di famiglia di Alessandro Piperno, sequel di Di chi è la colpa, uscito tre anni prima sempre con Mondadori. Come nel libro precedente, la storia è raccontata in prima persona dal professor Sacerdoti, docente di letteratura francese in una università romana, scrittore di chiara fama, ebreo, cinquantenne, tifoso della Lazio, calvo – se questo non è l’identikit di Piperno chi vi parla è il fantasma di Harold Bloom.
Prima di essere adottato dallo zio Gianni, uomo ricco e vanitoso come solo certi aristocratici pariolini sanno essere, Sacerdoti, il cui nome di battesimo rimane sconosciuto, ha vissuto un’infanzia terribile: una madre morta forse ammazzata, un padre in galera, con buone probabilità, ingiustamente; debiti, menzogne, problemi di autostima. Nella prima scena, lo Zuckerman di Piperno lo vediamo aggirarsi tra le navate di una chiesa al funerale della sua ex compagna di scuola Veronica; rito che subito dopo si trasforma in un goliardico come eravamo verdoniano, tra confessioni e nuove scoperte. Non è un buon momento per Sacerdoti, sopraffatto dal disamore per l’insegnamento e la scrittura “…Per affermarti nel mondo letterario devi mostrare interesse per ciò che, di fatto, non è in grado di scaldare il cuore a nessuno: l’istruzione pubblica, la salute della democrazia, la giustizia sociale, la pace nel mondo, le sorti del pianeta, le pari opportunità”, e che nelle stesse ore della morte di Veronica finisce vittima del “più infantile e infido dei crimini: la delazione”. Come il Coleman Silk del romanzo di Roth, lo stimato professore di lettere classiche che per una parola male interpretata deve difendersi da un’ingiusta accusa di razzismo, Sacerdoti si ritrova davanti al plotone di esecuzione di una commissione “paritetica” che intende processarlo e cacciarlo dall’ateneo per delle frasi sessiste dette sì da lui ma scritte da Gustave Flaubert. “Maschio, bianco, di mezza età, istruito, agiato, di buona famiglia” Sacerdoti ha tutti i requisiti del classico tipo che la gente odia. In più è ebreo. Ma il momentaccio del prof non finisce mica qui. Tra le macerie di una carriera ormai compromessa e di una reputazione infangata “con le peggiori intenzioni”, si fa largo una nuova e insidiosa presenza. Noah, un lontano parente di otto anni, rimasto orfano di entrambi i genitori, potrebbe essere affidato proprio a quel “cinquantenne misantropo e disoccupato che ammazza il tempo guardando tutorial di chitarra su You Tube”.
Come uscirne. Come ricominciare. Vendersi l’anima per sceneggiare una fiction tv di sole donne intitolata Fanculo gli uomini è la più spietata e comica delle nemesi, ma Sacerdoti ha altre risorse. Forse. Aria di famiglia è un romanzo sulla paura di invecchiare, sulla paternità, e sul declino di un tempo ormai schiavo del politically correct e di un femminismo feroce e ottuso. Le storie di Piperno sono spesso popolate di accademici ebrei, di ricchi possidenti che frequentano circoli lussuosi, habitué di una mondanità anacronistica. Un mondo rarefatto nei contenuti e nella forma, talvolta leziosa o narcisa. Si chiama “romanzo borghese”, in altri tempi ha fatto la fortuna di autori come John Updike, Saul Bellow e Philip Roth, maestri forse inarrivabili per Piperno, ma gli interni delle loro opere sono gli stessi.