“Era davvero speciale, quella sensazione:un disagio atroce e opprimente, come se fossi a tavola col piccolo fantasma di una persona che avevo appena ucciso.” (Vladimir Nabokov, Lolita).
La frase, un omaggio in epigrafe al libro di Neige Sinno “Triste tigre” (Neri Pozza, 2024 pp.240 € 18.00), nella traduzione dal francese di Luciana Cisbani, racchiude l’esplicita e conturbante testimonianza di un argomento riprovevole e immorale, deteriorato dalla condanna alla vergognosa degradazione. L’autrice svela, nell’orientamento feroce e spietato delle parole, la ferita insanabile dell’abuso sessuale, scruta la minacciosa violazione nella difficile rivelazione della brutalità familiare, accerta l’iniziazione corrotta della depravazione e il sequestro dell’innocenza. Ripiega, nell’implacabilità e nel dissidio angosciante dell’orrore, lo squarcio conflittuale e incisivo, nella sua distinta e irreparabile perdizione, esamina, nel perturbante e sconvolgente procedimento di indagine personale, l’andamento temerario del proprio racconto interiore, misura le sferzate del tragico con la tagliente e tenace proporzione narrativa nel raccontare l’inenarrabile e indescrivibile gravità del pungente disagio. Neige Sinno affonda il deviante e illogico stereotipo dell’irresistibile attrazione, tormentosa e sadica, verso il carnefice, nell’arma seduttiva e complice della letteratura, nell’urto traumatico e sconcertante delle emozioni, dedica una livida e perspicace ricognizione al limite del mondo sensibile e al potere figurativo della scrittura. Oltrepassa la direzione soffocante dell’autobiografia, perquisisce l’intuizione della verità nel rancore doloroso delle perplessità, concentra la visione del male nella deriva sfuggente della coscienza, immerge nell’atrocità delle tenebre l’intreccio spaventoso dell’abisso tra illuminazione e terrore. Accoglie la profonda frattura dell’anima tentando di ricongiungere i frammenti inafferrabili di un universo normale, oltre la disumana e impietosa offesa umana nei confronti di un’infanzia violata.
Il romanzo infrange il principio ovattato e inaccessibile del segreto, attraversa lo svolgimento dell’oltraggio nella contaminata e insondabile esposizione dell’incesto, nella malvagia incomunicabilità, indica il confine inesprimibile di ogni forma equivoca d’insinuazione. L’intensa e coraggiosa autorità narrativa dell’autrice modula il peso delle ripercussioni inevitabili nella propria intimità, afferma il valore di un’esistenza assimilata nella scrittura, nella proprietà identitaria della lingua. Lo smarrimento interiore irradia la spontaneità disarmante della comprensione, fonde la crudezza con la clemenza rivendicando, nell’impossibilità di uscire dall’ambivalenza della colpa, senza redenzione, il ricercato approccio all’approfondimento letterario. Neige Sinno, vincitrice del Premio Strega Europeo 2024, prende a pretesto esempi concreti in letteratura, citando altre opere, per accostare le diverse prospettive e condividere l’incessante isolamento, per riparare il pregiudizio del silenzio oltre la resilienza subdola della responsabilità. Annulla la sua catarsi, sprofonda nel vortice dell’inquietudine. La letteratura non ha una finalità salvifica, ogni volta che s’impegna a ricostruire la soglia dell’urgenza e inchioda la sofferenza: “Io ho voluto crederci, ho voluto sognare che il regno della letteratura mi avrebbe accolta come una delle tante orfane che vi trovano rifugio, ma neppure attraverso l’arte si può uscire vincitori dall’abiezione. La letteratura non mi ha salvata. Io non sono salva.”
Rita Bompadre