“Libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta”
(Dante Alighieri, Commedia, Purgatorio, c.I, vv. 70,71)
Perfettamente conscio non servisse riportare i versi della Commedia che hanno funto da ispirazione per il titolo di questo saggio, ho tuttavia deciso di farlo lo stesso proprio per significare appieno che tutte le sessanta pagine di trattazione ruotano essenzialmente intorno a queste terzine (con l’altrettanto banale da “rivelare” modifica da parte dell’autrice, che utilizza la prima persona in vece della terza usata dal Sommo Poeta).
Un libretto agile che si fa ben leggere, un plauso ulteriore per la scelta dell’apparato di note, a piè di pagina e non alla fine del corpo del testo (nulla in contrario a questa scelta da parte di autori o editori, semplicemente ritengo sia una inutile scomodità), note oltretutto precise e puntuali, davvero certosine (del resto, Maria Sofia Rebessi, ha certamente introiettato a dovere la prassi d’accademia, risultando laureata in Storia con lode nel 2016 presso l’ateneo pisano e neppure alla sua prima prova come autrice, occupandosi da diverso tempo “dei legami fra la spiritualità germanica e quella vedica-indiana”, nonché delle intercorse “relazioni internazionali e storico-religiose […] fra India e Germania”, datando al 2022 un altro suo scritto, a quattro mani con Marco Alimandi, esperto di filologia germanica e norrena, Radici indogermaniche, edito sempre dalla perugina Midgard Editrice).
La personale simpatia e stima intellettuale che provo per l’autrice (non conosciuta di persona ma grazie ai social network: quando si dice che degli strumenti oggettivamente infernali possono anche fungere da nobili tramiti!) non mi esime però dal muovere un appunto, figlio non certo di una scarsa perizia di studiosa da parte sua (affermassi questo, direi il falso), quanto di una mia personale posizione che definirei intellettuale ma che sfocia decisamente nel sentimento religioso, ch’è del tutto differente fra me e lei: sostenere infatti, come Maria Sofia fa nel primo capitolo (“Vexilla regis prodeunt inferni”) che il diavolo “o comunque lo si chiami, potrebbe essere definito il primo ribelle della storia, poiché ebbe l’ardire di rivoltarsi contro Dio e le sue regole” ma poi pretendere di far propria una visione del mondo cosiddetta “tradizionale”, ai miei occhi appare un po’ un controsenso. La disobbedienza di Lucifero rappresenta difatti – a mio modestissimo parere – il prodromo principale a qualsiasi progressismo fine a sé stesso, un rinnegare la gerarchia in nome non certo dell’eguaglianza, quanto di un rovesciamento valoriale. E del resto, i sostenitori di quel “primo ribelle” citati da Maria Sofia sono ascrivibili praticamente tutti, ideologicamente parlando, certo non all’ambito conservatore/reazionario (non John Milton, autore del Paradiso Perduto, contenente l’oggettiva professione di fede luciferiana secondo cui sarebbe “meglio regnare all’Inferno che servire in Paradiso”; non Giosuè Carducci col suo Inno a Satana – al di là del suo cambio di casacca politica dal repubblicanesimo al monarchismo sabaudo –; nemmeno Giacomo Leopardi colla sua canzone Ad Arimane, per quanto impregnata non dell’ottimismo di cui era pervaso l’inno carducciano, ma di quel pessimismo che è cifra stilistica, per quanto sia un volerlo incasellare un po’ troppo banalmente, del recanatese).
Questo testo può benissimo essere considerato una piccola faretra con poche frecce – sette – per il proprio arco ideale: l’autrice stessa, nell’introduzione, parla di “sette esempi al fulmicotone, l’uno diverso dall’altro per provenienza, epoca e visione del mondo, ma tutti accomunati da un unico leitmotiv: essere liberi e prendere sul serio questo concetto fino all’estremo sacrificio, in qualche caso”. Vengono prese ad esempio le vicende, pubbliche e private, di Arminio il Cherusco, Catone Uticense e Seneca; di Pier delle Vigne, Yukio Mishima ed Ernst Jünger. Ed è evidente che la conoscenza di Maria Sofia per i sopra citati personaggi non si limita al minimo indispensabile poiché ne va a scavare fin nel profondo della personalità, proponendo a noi lettori sfumature di cui o non avevamo mai tenuto conto o che proprio ci erano del tutto sfuggite: sintomatica la scelta, nel capitolo settimo, intitolato “L’analisi di Jünger”, di concentrarsi non solamente sulle quattro figure principes della weltanschauung jüngeriana (e cioè il Milite Ignoto, l’Operaio, il Ribelle e l’Anarca) ma di offrire dell’autore anche quella lettura certo molto particolare che ha sedimentato – perlomeno in Italia – Luca Siniscalco nel 2020 mediante la sua traduzione e curatela di Ernst Jünger. Un dandy nelle tempeste d’acciaio, “versione italiana” del ritratto che il giornalista del Tagesspiegel Nicolaus Sombart fece dell’homo europaeus per eccellenza in occasione del compimento del suo secolo (29 marzo 1895 – 1995).
Una menzione d’onore all’editrice Midgard, che si pone coraggiosamente nell’alveo di molte altre piccole case editrici indipendenti, per aver optato per la qualità e non per la facile vendita (è inutile nascondersi dietro a un dito: a parole siamo tutti rivoluzionari – o reazionari – e politicamente scorretti, ma quando c’è da supportare fattivamente una realtà che questa scelta l’ha fatta in tutto e per tutto allora “teniamo famiglia”) e il consiglio di tener d’occhio il loro catalogo, ritengo sia il modo migliore di concludere queste mie poche righe.
Alberto De Marchi
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Maria Sofia Rebessi, “Libertà vo cecando”, Midgard Editrice, 2023, 60 pagine, 11 euro