Dire di cosa parli La colpa è nei dettagli, esordio di Elisabetta Foresti, edito da Alter Ego edizioni, significa entrare in un territorio scivoloso: basta niente e se ne dice troppo, il divertimento e il piacere della lettura svaporano. E far questo, dir troppo, di un romanzo del genere, sarebbe un peccato imperdonabile. E allora mi limito a dirne la situazione di partenza: c’è un protagonista, si chiama Marco, è in carcere con l’accusa di aver ucciso suo padre – un padre erotomane, violento, tutto sbagliato -, e c’è la sua volontà di ripercorrere i passi che l’hanno portato fin lì, dentro la cella in cui si trova rinchiuso.
Marco non rifiuta l’accusa, anzi la conferma, la rivendica con forza. Quello che rifiuta è la versione “ufficiale” fornita dal suo avvocato difensore. Da qui, da questo conflitto, nasce il desiderio di raccontarsi. E però, quello di Marco, è un raccontare sbilenco, contraddittorio – questa la grande forza, l’intuizione strutturale del romanzo: appena il lettore crede di aver afferrato un pezzo di verità, questo gli viene sottratto, perché Marco cambia versione, ne racconta un’altra, e assicura che sia quella vera. Il raccontare de La colpa è nei dettagli è un nastro continuamente riavvolto, e ricorda, per certi versi, quel gioiello di ingegneria narrativa che è I soliti sospetti, il film del 1995 diretto da Bryan Singer. Lo ricorda non tanto nei temi – anzi, da quel punto di vista le due opere sono distantissime -, quanto nel gioco di riproporre instancabilmente una nuova verità al lettore, levandogli, in questo modo, ogni certezza (se tutte le verità sono vere ma fanno a pugni l’una con l’altra, quale verità è vera davvero?). È un gioco, questo, difficilissimo da giocare, e farlo con tanta precisione, con tanta esattezza, senza stancare o – peggio – annoiare, è qualcosa che la dice lunga sulla bravura dell’autrice.
Ambientato com’è tutto dentro un carcere, verrebbe da immaginarlo un romanzo claustrofobico, opprimente, cupo. La verità è che, grazie a tutti i personaggi di contorno – l’avvocato, i secondini, il direttore del carcere -, l’ambientazione carceraria si apre, per così dire, e il senso di chiuso svanisce. Inoltre, il continuo ritornare ad episodi passati, sia quelli riguardanti il rapporto di Marco col padre, sia quelli riguardanti la relazione amorosa di Marco con Elisabetta – la riuscitissima, dolce, insopportabile, sempre presente Elisabetta, quasi un fantasma che attraversa le pagine – dà l’impressione, man mano che il romanzo procede, di trovarsi più dentro uno spazio mentale che dentro uno spazio fisico.
Due – almeno due – sono le cose che, a mio avviso, ne fanno un romanzo che merita attenzione. Una è la sapienza narrativa con cui è stato costruito, l’utilizzo non meramente ricreativo della tensione, e di questo, seppur brevemente, ho già detto. L’altra è la voce. Perché, in ultima analisi, su questo si regge, La colpa è nei dettagli, su una voce. Marco parla, divaga, si racconta, prende in giro chi gli è intorno – ma il lettore no, mai, è bene tenerlo a mente -, e pur andando a toccare corde dolorosissime, traumi quasi impossibili da dire, noi lo ascoltiamo sempre attraverso un filtro di ironia che porta spesso al riso. Con questo non intendo dire che sia un romanzo comico, è tutto il contrario. Eppure si ride, spesso. E paradossalmente, questo filtro ironico, questo vetro che Marco mette tra sé e il mondo, rende la sua voce ancor più gelida, l’andar del racconto più disturbante.
Si dice spesso – troppo spesso, è quasi un cliché, ormai – che ci sono opere che bucano i generi, che sono inclassificabili. Ma poche sono le volte in cui questo dire trova riscontro nella realtà dei fatti. Ecco, mi sento di poter affermare che La colpa è nei dettagli, invece, è proprio una di quelle opere per cui il concetto di inclassificabilità è perfettamente calzante. È un thriller psicologico, ma con ambizioni letterarie che attraversano e superano il genere, è una storia famigliare di accettazione e perdono, è il resoconto di una mente sconvolta. È tutto questo e non è niente di tutto questo. È, semplicemente, quello che è.
A me piace pensarlo come uno di quei romanzi che sono quasi dei numeri di magia. La verità – il trucco – è lì, sotto i nostri occhi, eppure non lo vediamo, perché stiamo guardando da un’altra parte, lì dove non c’è niente. Anzi, meglio, guardiamo da un’altra parte perché il mago ci porta a guardare da un’altra parte. E quando finalmente la magia accade taglia il fiato, ci diamo anche un po’ degli stupidi, perché dopo, sempre dopo, la verità appare ovvia. Certo, per far questo e non farsi scoprire, il mago deve essere parecchio bravo. A Elisabetta Foresti e al suo La colpa è nei dettagli il numero è perfettamente riuscito.
Edoardo Zambelli
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Elisabetta Foresti, La colpa è nei dettagli, Alter Ego Edizioni, 2024, 240 pagine, 18 euro