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Massimiliano Nuzzolo. La fine del mondo

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È difficile trovare libri che fanno ridere.

Difficile nel mondo, non solo in Italia.

Perché per far piangere basta raccontare un bambino che ha fame, un cane che muore. Basta raccontare la fine di un amore. Per far ridere bisogna avere come un tocco speciale, una magia. Non vale solo per la scrittura, ma nel racconto letterario, dove non ti salva una smorfia buffa, una caduta, dove non ti aiuta una canzone divertente, se non sai creare una situazione, se non riesci a prepararla una battuta, allora è meglio lasciar perdere. Si diventa ridicoli e uno scrittore ridicolo è uno scrittore finito.

Massimiliano Nuzzolo è uno che sa far ridere, come Jacopo Masini, come John Niven e Tibor Fischer.

Nuzzolo sa essere grottesco, i suoi protagonisti sono bestie bicefale a metà tra Deadpool e Mordecai Richler.

Anche se non ci siamo mai incontrati, io e Massimiliano parliamo spesso. Ci telefoniamo, come William Miller e Lester Bangs in Almost Famous, anche se tra noi non c’è tutta quella differenza di età, ma di esperienza sì, perché Massimiliano è nel giro delle lettere da molto più tempo, insegna scrittura, ha pubblicato diversi romanzi, è stato curatore di antologie per alcuni tra i più importanti editori italiani e io mi lascio consigliare, leggo i suoi libri e mi sembra d’imparare anche solo ascoltando. Inoltre condividiamo l’amore per la musica anni ottanta e l’odio per quella di oggi. I suoi romanzi sono sempre pieni di musica, di note, e tutto è frutto di ricerca, anche quando sembra banale, un riferimento, poi scopri che non lo è.

Essendo entrambi scrittori, come succede a due medici o a due impiegati, parliamo spesso di lavoro, di editoria, ci lamentiamo, ridiamo, ci entusiasmiamo per i progetti.

Quando ho letto La fine del mondo, edito da BookTribu, mi è sembrato di continuare una delle tante conversazioni avute. Prima di tutto perché Massimiliano scrive nello stesso modo in cui parla, alternando ricerca linguistica e turpiloquio, in maniera non proprio marcata come avviene, per esempio, nelle pagine di Omar di Monopoli, che dell’oscillazione tra Gadda e il dialetto pugliese ha fatto la sua cifra stilistica, nel caso di Nuzzolo è tutto più sfumato perché il suo stile vira sempre sulla farsa. Inoltre Nuzzolo, quando parte per una battaglia, non fa mai prigionieri, è uno che tra la penna, la spada e lo stiletto, preferisce il carro armato.

La fine del mondo a cui si riferisce nel suo racconto, oltre a essere una canzone dei The Cure, forse la sua band preferita di sempre, è soprattutto la fine di un modo di vivere la letteratura, di condizionarla. La fine auspicata di un sistema che predilige l’apparire, dove di libri, in maniera profonda, non si parla mai. È quel mondo che gravita intorno all’oggetto libro, più che allo scrivere, fatto di Book Influencer, di editori arraffoni, di critici e di giornalisti culturali che passano da un festival all’altro come pesci nei boccali.

Massimiliano Nuzzolo parte da Dio, per arrivare a Dante per colpire il mondo dell’editoria, gli scrittori tutti amici, gli intellettuali da sagra di paese. Il sistema editoriale lui lo conosce perfettamente, ci si muove da tutta la vita e lo racconta, a modo suo, orchestrando un’allegoria comica dove si diverte a inventare un festival letterario, il PerNeMi, con tanto di programma, il cui ospite d’onore è Dante Alighieri. Avrà un esito catastrofico e inaspettato e, come in Minuetto all’inferno di Elémire Zolla, anche Nuzzolo si diverte a trascinare il lettore in un suo personalissimo al di là, abitato da angeli e demoni non così diversi, e dove Dio e Satana dialogano amabilmente, andando persino d’accordo.

Pierangelo Consoli

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Massimiliano Nuzzolo, La fine del mondo, BookTribu, Pp. 145, Euro 19

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