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Scrivere è come ballare. Intervista a Wanda Luban

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Wanda Luban è nata a Bellinzona e vive a Locarno (Canton Ticino). È stata stilista a Parigi e giornalista in Svizzera. Laureata in psicologia a Ginevra, è psicoterapeuta specializzata in psicologia del profondo e ipnosi. Ha pubblicato alcuni racconti e due raccolte di poesie: Archivio celeste (2011) e L’esilio del tuono (2015), entrambe edite dalla casa editrice Acquaviva. Nel 2023 un suo testo è apparso In allarmata radura. Sempre nel 2023, il romanzo La signora dei canarini, tuttora inedito, è stato segnalato dal Premio Italo Calvino. Gli artigli di Dio è il suo esordio.

Mario Schiavone

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Sei una validissima esordiente, da poco in libreria con la fiaba per grandi (narrata in forma di coinvolgente romanzo) intitolata “Gli artigli di Dio” pubblicata da Alter Ego Edizioni. Hai operato a lungo come una riconosciuta professionista, che ha viaggiato in lungo e il largo il mondo. Sia da giornalista che da stilista, prima di fare della scrittura un impegno concreto. Oggi, oltre a scrivere, lavori come psicoterapeuta. Quanto vissuto della vita ordinaria finisce nelle tue storie scritte…e quanto pensiero immaginato resta fuori dalla pagina?

In effetti ho viaggiato moltissimo, ma non per lavoro. A metà degli Anni ‘80, nel periodo del comunismo, ho visitato più volte la Russia, numerosi altri Paesi dell’Est Europa, e l’Uzbekistan. Più tardi sono stata in Siberia. Quindi i viaggi, per me, sono indubbiamente fonte d’ispirazione. E poi, come scrive Elémire Zolla, e come narro nel mio libro, i nomi stenografano un destino. E il mio deriva dal tedesco “Wanderer”, che significa proprio girovago, vagabondo. Oltre ai viaggi (dentro e fuori), nelle mie storie finiscono alcuni incontri, non per forza quelli più significativi. Molta fauna, molta flora. Qualche mio sogno notturno, e certi momenti di grazia.

Con la tua ammirevole scrittura indaghi alcune dinamiche umane, attraverso un romanzo dalle dinamiche oniriche molto originali, che sono metafora di questo complesso vivere contemporaneo. Ammesso che esista – concretamente – una definizione utile di personaggio letterario credibile, come hai fatto a immaginare i corpi narranti che popolano il tuo romanzo d’esordio?

Ne “Il signor Mani”, Abraham B. Yehoshua scrive: Perché ho qui una storia (…) una piccola storia (…). È qui, accanto a me, fasciata come un infante (…) e se non la si racconta strillerà e piangerà senza posa”. Ecco, credo che vi siano personaggi che popolano il nostro inconscio da sempre, persino da prima della nostra nascita. Altri, ho avuto la fortuna di incontrarli nella realtà esterna: penso ad esempio all’uomo-donna. Certo, la mia è un’opera d’invenzione, ma sfido qualsiasi bambino che – negli Anni ‘70 – abbia incrociato questo signore, a non averci ricamato attorno una storia fantastica. Simbolicamente l’uomo-donna raffigura pure l’immagine dell’Androgino e, in quanto tale, rappresenta una “coincidentia oppositorum”, però non è necessario che il lettore abbia dimestichezza con il linguaggio simbolico per poter apprezzare le gesta del mio personaggio.

Quali sono gli autori classici da cui non vorresti mai separarti? Quali gli autori contemporanei viventi per te indispensabili?

Nikolaj Gogol’, Bruno Schulz, Isaak Babel’, Romain Gary e Vladimir Nabokov. Pur essendo molto diversi fra loro, hanno in comune ritmo, andatura, ardore. Li considero un po’ come i miei cinque cavalieri dalla prosa rutilante. Con gli autori viventi ho più difficoltà. Amo Antoine Volodine e Patrick Süskind. E poi c’è la penna di Walter Siti: su consiglio di Giulio Mozzi, quando frequentavo la Bottega di narrazione di Milano, ho letto “Scuola di nudo”, peraltro molto distante dal mio immaginario: il suo stile, così libero e ondivago, mi ha influenzata nella stesura de “Gli artigli di Dio”.

Come hai scoperto questa tua vocazione per la scrittura di storie in prosa?

Da bambina ero una lettrice vorace e velocissima. Leggevo letteralmente giorno e notte. Forse anche per questo già a dieci anni avevo sviluppato una severa miopia. E inventavo storie che narravo alle mie amiche, come fanno tutti i bambini. Però credo che, ad avermi veramente aiutata, sia stata la mia vita onirica, molto affollata. Ricordo perfettamente alcuni sogni che risalgono ai miei primi anni di vita, sogni nei quali c’erano i semi della persona che sono diventata e quindi anche della mia scrittura.

Ogni scrittore immagina un lettore ideale. O forse no. Per te esiste? Se la tua risposta è affermativa, come è fatto il tuo lettore ideale?

Il mio lettore ideale ama le immagini e le rispetta. Si lascia permeare da esse, se ne inebria. Come detto, non per forza ha bisogno di comprendere il loro significato simbolico; perlomeno, non in prima battuta. Rifugge da ciò che è didascalico, dagli “spiegoni”. Una notte, molti anni fa, feci un sogno: era un periodo in cui mi pareva che, nella vita, tutto risultasse chiaro, che tutto avesse una spiegazione. La luce era solare e troppo vivida. Entrai in un corridoio. C’era un lunghissimo davanzale, sul quale stavano appoggiate molte lampade da comodino accese, tutte uguali, a forma di fiore, tipo campanula, la corolla abbassata, e i fiori profumavano. Si trattava di “abat-jour”, parola che in francese significa “smorza-luce”. Compresi il messaggio.

Quale tipo di racconto autobiografico, ascoltato in ambito professionale, non useresti mai come fonte per una tua storia da scrivere?

Non è mai accaduto e non accadrà. Certo, inconsciamente siamo permeati in modo sottile da tutto ciò che ci circonda, ma credo di sapere fare una distinzione. E poi, mi pare di avere e scovare materiale a sufficienza. Lo spunto di partenza per il secondo romanzo, ad esempio, è stata una notizia di cronaca: a Dinard, in Francia, in occasione dell’ultimo bagno in mare dell’anno che si svolge a gennaio ed è sempre una gran festa che raggruppa popolazione e turisti, due vecchiette avevano ustionato in modo grave, con della cioccolata calda, un cioccolataio che offriva la bevanda gratuitamente. L’arma era stata prodotta dalla vittima. Il movente? Una guerra feroce fra sindaco in carica e sindaco uscente. Sono trascorsi più di quattro anni da quando lessi la notizia che ha il sapore di una fiaba nera ma, se ci ripenso, questa faccenda, che ha dell’incredibile, mi fa venir voglia di scrivere un nuovo racconto.

Ti andrebbe di raccontarci quanto ti sei allenata, in tutti questi anni, per diventare una lettrice attenta, in primo luogo… e poi una scrittrice (ancora più) capace di colpire mente e cuore del lettore?

Come lettrice, credo di non essere mai veramente cresciuta. Certo, mi sono affinata grazie al Laboratorio annuale della Bottega di narrazione di Milano, che ho frequentato fra il 2018 e il 2019. Però, ciò che tuttora ricerco quando apro un nuovo libro, è la sensazione che provavo da bambina: quella di penetrare in una misteriosa giungla nera. L’avrai capito: a dieci anni divoravo le opere di Emilio Salgari. Se un romanzo, dopo una trentina di pagine, non mi acchiappa e non mi risucchia, fatico a proseguire. È una sensazione totalizzante, corporea, oltre che psichica e mentale. Sì, ho un rapporto carnale con la lettura. E ricerco la sorpresa, l’inaspettato.

Per quanto concerne la scrittura, dopo aver pubblicato due raccolte di poesie, mi sono dedicata anche ai racconti. Ho seguito alcuni laboratori a distanza con Antonella Cilento (Lalineascritta), che mi hanno insegnato moltissimo. In seguito, durante un corso di scrittura creativa organizzato a Locarno da Manuela Mazzi, ho incontrato il docente Giulio Mozzi. Entrambi gli insegnanti, Antonella Cilento e Giulio Mozzi, seppure con metodi e suggestioni diverse, hanno contribuito in modo sostanziale alla mia formazione.

Tempo dopo, mi sono candidata al corso annuale della Bottega di narrazione di Giulio Mozzi. Avevo già scritto una trentina di pagine de “Gli artigli di Dio”. Sono stata selezionata e seguita da Giulio che mi ha consigliato tanti libri, fra cui, per l’appunto, “Scuola di nudo”. I libri, li ho letti tutti. Ed erano quaranta. Ma ciò che ho apprezzato sopra ogni cosa è stato il fatto che mi sono sentita, forse per la prima volta, completamente libera di creare. E la libertà, chi leggerà il romanzo lo capirà, è per me il bene supremo. In Bottega ho completato il romanzo appena uscito. Più tardi ho cominciato a riflettere al secondo. Dopo di che, fra il 2020 e il 2021, l’ho scritto. È stato un lavoro molto intenso.

In fondo, alla fine della corsa del vivere quotidiano, tu perché (leggi e) scrivi storie?

Sai, io sono una ballerina mancata. Recentemente mi sono resa conto che scrivere, per me, è come ballare. È un sostituto della danza. E la danza, in fondo, è la vita. Di fatto, nel mio romanzo d’esordio ci sono moltissimi “pas de chat” (o meglio: “pas de tigre”). E poi la danza è un simbolo cosmico, è un’allusione alla rotazione dei pianeti e al divenire. Nietzsche, in una frase un po’ abusata ma comunque bellissima, scrive: “Solo dal caos può nascere una stella che danza”.

Stai lavorando a un nuovo romanzo? Quali temi affronta?

Sì, sto lavorando al terzo romanzo. Il secondo, al quale ho già accennato, s’intitola “La signora dei canarini” e lo scorso anno ha ottenuto una menzione al Premio Italo Calvino. Si muove in qua e in là, fra la Bretagna, Socotra e le Canarie. Non dico di più. Il terzo? Non parlo di un romanzo in divenire.

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