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Raphaël Meltz. 24 volte la verità

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Scrivo recensioni da diversi anni. Credo di averne scritte quasi duecento eppure, quando sono davanti a un libro che mi piace molto, rimango come un ebete. A libro finito cerco la distanza passeggiando. Ho bisogno di pensare ogni volta che incontro un libro nuovo che mi coinvolge perché, con i classici, un certo grado di profondità, di valore estetico, il lettore se lo aspetta ma con un libro nuovo la scoperta della bellezza ci lascia un po’ più disarmati e così, finito 24 volte la verità del francese Raphaël Meltz, portato in Italia da Prehistorica editore, con la traduzione di Alice Laverda, sono dovuto uscire, cercare il fiume, tenerlo vicino mentre mi allontanavo da casa, illudendomi che potessi non pensare a niente mentre ero chiuso ancora dentro il libro.

In maniera insopportabilmente banale potrei scrivere che questo, 24 volte la verità, è il romanzo di Adrien che, cercando di scrivere la storia di suo nonno Gabriel, scrive anche la propria.

Meltz alterna i capitoli, datando quelli relativi alla biografia di Gabriel e contrassegnando con le lettere dell’alfabeto quelli relativi ad Adrien.

Gabriel ha vissuto un secolo, è stato cineoperatore. Per tutta la sua vita, non ha fatto altro che filmare. Più che vivere, Gabriel ha trovato una messa a fuoco, un’angolazione e una distanza adatta.

Adrien, invece, è un giornalista. Scrive di oggetti tecnologici: telefoni; telecamere. Non ama particolarmente il suo lavoro, né gli oggetti di consumo che si presta a raccontare, lo fa per mangiare. Nel tentativo di sentirsi vivo scrive racconti, romanzi e poi coltiva il giardino. Si è nascosto dentro la casa di suo nonno, solo, immerso in scatole piene di pellicola sopra le quali Gabriel ha inciso un secolo di storia. Guarda i film, vede cosa accadeva davanti a lui e racconta un uomo, ci prova.

Ecco, questo è il romanzo. Eppure non lo è. Non è solo questo, almeno.

Mentre cammino penso ai castelli delle streghe. Penso a quelle attrazioni da Luna Park che io ho sempre amato. C’era il buio, le luci improvvise che mostravano qualcosa di spaventoso, c’erano gli specchi deformanti. Ciò che cercavo dentro quei castelli era il viaggio. Entravi eccitato, pronto allo spavento più atroce, spinto dalla curiosità e uscivi più forte, con la vaga consapevolezza di essere sopravvissuto e poterlo raccontare.

Così penso a 24 volte la verità, come a un castello delle streghe. Ho mosso i primi passi incerti dentro gli strati di questo romanzo scomposto e mi ha colpito il racconto storico registrato in presa diretta, senza giudizi; così come le piccole avventure di Adrien nel mondo della tecnologia e poi, come succede in quei castelli, al centro del viaggio sono arrivati i mostri. Sono arrivati, relativamente al libro di Meltz, Antonio e Albert.

Sono gli amici di Adrien, forse. Dico forse perché, adesso che cammino, adesso che il libro mi è venuto addosso più forte del rumore dei clacson, adesso che mi innamoro delle forme ellittiche delle mie riflessioni, mi pare che Antonio e Albert siano riflessi deformi di Adrien, che incarnano due pezzi della sua vita: la tecnologia, le immagini, il cinema, la sua morte e la letteratura, la sua inutilità.

Compaiono in momenti diversi del racconto e mai insieme. Antonio è immerso completamente nella modernità e coinvolge Adrien in una folle ricerca: sancire scientificamente la data della morte del cinema.

Antonio chiede ad Adrien di fare una piccola lista dei suoi film preferiti di quelli che ritiene essere dei grandi film e poi lo invita a notare le date di uscita e capire così che sono almeno vent’anni, così dice Antonio, che non esce un grande film al cinema. Perché il cinema è morto. Certamente escono film ogni anno, certamente alcuni sono apprezzabili, ma grandi film, dice Antonio, veramente grandi, non se ne fanno più, non è possibile. Così comincia a cercare, a fare lunghe passeggiate con Adrien e a raccontare di Godard, di Dziga Vertov e dei libri che sta leggendo. Giunge a conclusioni interessanti, sembra aver trovato una strada Antonio e poi si blocca. Perde interesse, conclude che non ha importanza. A questa rinuncia, tanto desolante quanto improvvisa, Adrien risponde con sdegno, con delusione e poi dice una cosa che io ho trovato bellissima, un congedo che solo uno scrittore può fare quando volta le spalle alla modernità che lo pervade: Gli scriverò. Rimugina Adrien. gli invierò il mio libro:glielo dirò così. E tutto il resto, tutto quello che ho sempre cercato di dirgli senza mai riuscirci, lo verrà a sapere così.

E poi arriva Albert, che non ha nulla di contemporaneo, che vive della sua scrittura, povero, dentro una casa in campagna. Albert che sembra soddisfatto almeno fino alla telefonata in cui Adrien capisce che qualcosa si è rotto. Corre fino a casa sua, con la bici, e lo trova in giardino, lo trova seduto, smarrito, Albert è finito, ha capito che scrivere non ha nessun significato e allora gli dice: Adrien riflettici, così gli dice, pensa all’ultimo grande romanzo che hai letto, pensa alla data. Sono trent’anni, così pensa lui, trent’anni che non si pubblica un libro davvero grande. Certo, afferma Albert, i libri escono ancora, alcuni più apprezzabili di altri, ma grandi sul serio, grandi romanzi, no. E allora che senso ha continuare? Ed è, questa, la domanda che ci facciamo tutti noi che scriviamo, tutti ce la facciamo e la allontaniamo, la chiudiamo fuori come si fa col vento forte. Avevo vent’anni la prima volta che me la sono fatta e mi pareva, allora persino, di aver investito ogni cosa nella scrittura, mi ero convinto che ogni viaggio, ogni amore e ogni morte avvenisse perché potessi scriverne e poi mi dissi, a vent’anni, impaurito uguale ad adesso che ne ho quarantatre e forse di più, se domani mi sveglio e scopro che non ha senso continuare io che faccio? Chi sarò a quel punto? E l’ho allontanata questa domanda per non contorcermi come il fiore senza la luce.

Alla lettera Z il viaggio di 24 volte la verità si conclude, esco a passeggio, con il castello delle streghe che non si allontana, che mi cammina intorno perché questo fantasma, questi fantasmi che Meltz ha legato agli altri miei, non mi lasciano più.

Pierangelo Consoli

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Raphaël Meltz, 24 volte la verità, Prehistorica editore 2024, Pp.260, Euro 18

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