Il protagonista di Grammatica di un desiderio di Vanessa Tonnini, al suo esordio nella narrativa con Neri Pozza, è nato negli Anni Venti in una famiglia siciliana numerosa, con il padre morto giovane in miniera e la madre che fatica a sfamare i sei figli. Nicaredda, questo il suo soprannome, a soli tredici anni viene quindi mandato a lavorare nei cunicoli della solfatara per poter essere di aiuto ai fratelli. Abituato a una vita all’aperto in piena natura e circondato da figure pressoché femminili, si ritroverà ora nella profondità della miniera, totalmente calato in un costante buio, con un persistente odore di zolfo e un grande affaticamento fisico. Lui, a cui non sono state insegnate le parole per sopravvivere al mondo circostante né tantomeno ha mai potuto sperimentare il calore di un abbraccio, nella miniera imparerà immediatamente il valore del silenzio:
“La prima cosa che appresi fu dunque il silenzio. (..) E il silenzio, se te lo fai amico, irrobustisce i sensi e ti protegge”.
Ma la vita in miniera è fatta di soli maschi, ragazzi e uomini, muscoli e corpi nudi con energie che guizzano nella penombra e che lo attirano fortemente: mentre lavora con accanimento e il suo fisico diviene più strutturato e robusto, sentirà crescere in lui sensazioni sconosciute che non sa definire o spiegare e a cui non riesce ad attribuire un nome per poterle nominare. Lì conoscerà il sesso tra maschi, un’attività a cui non attribuirà mai un giudizio morale poiché sarà sempre vissuto spontaneamente, come un rituale di soli uomini in un contesto dove loro sono gli unici esseri umani presenti e vitali:
“Ci sono rivelazioni che ti salvano o ti condannano per sempre. Mi trovai di fronte a una di quelle. Sì, perché nella miniera, dopo il terrore, comparvero i desideri”.
Riuscirà a fuggire dalla solfatara ma, dopo aver girovagato per la Sicilia, verrà deportato al confino nelle Isole tremiti dove conoscerà il conte Ruggero: sboccerà in quel momento il suo profondo sentimento per questo uomo.
Grammatica di un desiderio si rivela al lettore come una lunga e struggente lettera scritta in tarda età, una confessione d’amore di Nicaredda dedicata a questa persona in cui, con impeto e passione, racconta se stesso e le sue esperienze, riuscendo a utilizzare parole che sgorgano dal suo animo finalmente fluide e chiarificatrici, arrivando sino alla carta. E la sua narrazione, come lui stesso afferma, non è da intendersi come un’autobiografia, piuttosto come una rivelazione inaspettata:
“Caro Ruggero, la mia non è un’autobiografia, perché scrivendo è apparso un altro da me, uno sconosciuto forse più vero di quello che ho creduto di essere. Dall’incontro con le parole sta rinascendo il mondo e forse sto rinascendo un poco anche io”.
Il racconto diviene un luogo denso e buio dove la luce è riuscita a filtrare solo a tratti: Nicaredda ha interiorizzato del tutto sia l’oscurità della solfatara che il suo odore acre che si riversano quindi sulle pagine che sta scrivendo senza soluzione di continuità rendendole particolarmente toccanti e a tratti sconvolgenti. Scuotono con forza gli occhi e i sensi del lettore, divengono una sferzata in pieno volto alla stregua di verità da sempre rinnegate che, nascoste e compresse nell’animo, esplodono e fuoriescono ma, per contro, fanno implodere il protagonista al suo interno, risucchiandolo nel vortice della sua realtà e della sua vita, in quei ricordi che da sempre ha voluto dimenticare combattendone la memoria e che ora, con la scrittura, inevitabilmente affiorano:
“Lontano da casa è stato facile scomparire. Tacendo i ricordi mi sono concesso di passare indenne una vita, sempre omettendo il punto da cui venivo un attimo prima, sempre ricominciando, al riparo di ogni fatto passato”
Vanessa Tonnini ha scritto un romanzo denso e doloroso entrando nella psiche e nell’interiorità maschile con sensibilità e delicatezza ma con grande acume e forte determinazione, accompagnandoci in atmosfere cupe dove, come detto, la luce difficilmente squarcia le ombre e comunque mai a sufficienza. Dove la via di fuga si sarebbe potuta creare grazie allo sguardo e alle attenzioni dell’amato che invece spesso si nega, generando una continua discesa di Nicaredda in un buco nero di sofferenza da cui fatica a risollevarsi. E infatti mai si risolleverà nonostante vivrà con una moglie al proprio fianco.
Perché l’amore, che ha saputo toccare corde così intime facendo vibrare un’intera esistenza, diviene un impalpabile sfiorarsi di anime che sanno trascendere qualsiasi fisicità. Ma è un amore che ha travolto e destabilizzato profondamente senza purtroppo riuscire a divenire salvifico:
“Una mia studentessa un giorno mi ha detto che la vita dovrebbe essere un’occasione di felicità. Che cos’è la felicità? E l’amore è la sua promessa?”
Chiara Gilardi