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Robert Stone anteprima. Una sala di specchi

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Oltre il sogno: “Che rasoio è quello!, pensò. Dev’essere il Grande Rasoio Americano. Non riusciva proprio a distogliere lo sguardo. Da qualche parte, pensò tremando, da qualche parte, nel cuore di una montagna di pietra c’è un vecchio sfregiato dal vol76 to demoniaco che indossa una camicia a righe e una sola bretella, e coi denti serrati e il mento umido di saliva prende quel rasoio e taglia un sudicio pezzo di spago. E mi uccide. Il Destino Americano, l’Angelo della Morte Americana, il Suo Rasoio.”

L’incanto della musica: “Quella mattina capì che oltre la barriera della forma c’era un mondo di luce in cui poteva spiccare il volo e poi tornare giù in picchiata con la libertà di un’aquila, su cui poteva regnare ed elargire passione, in cui il suo respiro era lo strumento di una creatività infinita, e non si perdeva neanche una nota, neanche una pausa.”

Quesiti profondi: “«Voglio capire la solidarietà umana», disse Rainey. «Voglio sapere cos’è. E dove si trova la mia, e come posso fare a non perderla, una volta trovata». «E quindi?», incalzò Rheinhardt. «Vorrei capire la differenza tra una strada piena di gente e una vuota».”

È in libreria, Una sala di specchi di Robert Stone, (Minimum fax 2024, pp. 547, € 20,00 con traduzione di Dante Impieri).

Robert Stone (1937-2015) è considerato una delle voci più significative della letteratura americana del dopoguerra. Fortemente influenzato da autori come Joseph Conrad ed Ernest Hemingway, e talvolta accostato al gruppo dei Merry Pranksters, Stone ha scritto otto romanzi, due raccolte di racconti e un memoir. Nel corso della sua carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui una candidatura al PEN/Faulkner Award, due al Premio Pulitzer e cinque al National Book Award, che ha vinto nel 1975 con Dog Soldiers. Minimum Fax pubblicherà inoltre A Hall of Mirrors, Damascus Gate e la raccolta di saggi The Eye You See With.

Reinhardt è stato per anni un virtuoso del clarinetto, fino a quando l’alcolismo lo ha costretto ad abbandonare la musica. Giunto a New Orleans in cerca di denaro e alcol, si lega a Geraldine, una donna dal passato difficile, segnata nel volto da una cicatrice, e accetta di lavorare come disc-jockey e commentatore per una radio di estrema destra. Tuttavia, il suo aspetto eccentrico, le sue amicizie anticonformiste e il suo amore per la marijuana rivelano inclinazioni politiche molto diverse da quelle del suo datore di lavoro.

Morgan Rainey, il suo vicino di casa, ha recentemente ottenuto un incarico dal consiglio comunale che gli permetterebbe di migliorare i programmi di assistenza per i più poveri. Tuttavia, scopre presto di essere una pedina nelle mani di politici senza scrupoli, il cui obiettivo è emarginare la comunità nera di New Orleans dai benefici economici. Le vite di Rainey e Reinhardt si intrecciano in un conflitto serrato, dove si scontrano ideali di uguaglianza e disillusione, lotta politica e cinismo.

Pubblicato nel 1967 e insignito del William Faulkner Award per la migliore opera prima, oltre al prestigioso Houghton Mifflin Fellowship Award, Una sala di specchi ha consacrato Robert Stone come una delle voci più originali e potenti della narrativa americana. Wallace Stegner lo ha definito «uno dei migliori romanzi d’esordio che io abbia mai letto», mentre Joyce Carol Oates lo ha elogiato come «un’opera brillante e implacabile».

Un romanzo che con umorismo, brutalità e uno stile ricco, discreto e sobrio ci racconta la parabola americana.

Carlo Tortarolo

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«Ok, ragazzina», disse il messicano. «Siamo arrivati».

Geraldine si svegliò e lo vide in piedi sulla ghiaia scura, che teneva il portello aperto col gomito. La cabina del camion si riempì improvvisamente di una fredda nebbia marrone e putrida.

«Su», le disse il messicano. «Su, veloce».

Distese le gambe ancora rigide e posò i piedi sul tappetino, che era bagnato e scivoloso, coperto di una poltiglia di foglie everdure marce.

«Dove siamo?»

«Al French Market. Aspettami. Resta questo lato del camion, se no ti vedono che vieni con me». L’uomo prese la sua cartellina dal sedile e si diresse verso una finestra illuminata in fondo al vicolo. «Aspetta».

Il vicolo attraversava una serie di bancarelle coperte e rampe di carico, sui marciapiedi erano sparsi pezzi di spago, rametti di banano, rotoli di fil di ferro. Qua e là tra le bancarelle c’erano gruppetti di uomini vestiti di stracci che si scaldavano attorno a fuochi improvvisati; braccianti negri stanchi morti dondolavano pericolosamente sui talloni, con le facce ridotte a ombre blu. Gli occhi, riversi all’indietro per il sonno e la fatica, riflettevano le fiamme.

Oltre le bancarelle e i pontili c’era il fiume; sembrava molto più piccolo in questo punto, rispetto a dove l’aveva attraversa a Memphis. Riusciva persino a distinguere le luci sull’altra sponda, e le lanterne rosse luccicanti di una chiatta. Tremando, appoggiata a una ringhiera, Geraldine ascoltava il ronzio dei grandi camion refrigerati, gli uomini che tossivano attorno ai fuochi.

Dall’edificio in penombra dov’era entrato il messicano provenivano il terribile click-clack di una macchina da scrivere e gli accordi di una chitarra elettrica: alla radio c’era una canzone intitolata «Walk Don’t Run». Vicino ai piedi di Geraldine c’era un grosso ratto spavaldo che gironzolò attorno ad alcuni dei falò improvvisati dei braccianti e poi sparì in un cassonetto agitando la coda simile a un serpente grigio. La nebbia era palpabile, si poteva tagliare con una mano; era marrone, rancida, puzzava d’acqua di fiume e marciume; quando la inalò si sentì gelare le interiora.

Geraldine si strinse nelle braccia, coperte solo da una maglia di cotone sottile. Non dovevo venirci, qui, pensò. New Orleans, la terra dei sogni. Cosa ci era venuta a fare? Da qualche parte si aprì una porta, e le note acute della chitarra riempirono tutto il lurido vicolo, riecheggiando tra la ghiaia e il cemento:

«Walk Don’t Run».

Si era quasi addormentata sulla ringhiera quando tornò il messicano. Le andò incontro e le si fermò davanti, con lo sguardo solenne, il labbro arricciato in un abbozzo di sorriso. Teneva in mano un casco di banane.

«E adesso?», le chiese.

«Adesso conquisto la città», rispose Geraldine.

Quello scosse le spalle passandosi le banane da una mano all’altra.

«Ti farai ammazzare prima o poi, lo sai?»

«Tanto nessuno esce vivo da questo mondo».

Una sala di specchi di Robert Stone, traduzione di Dante Impieri

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© Robert Stone, 1964, 1966

© renewed 1994 by Robert Stone

Published by special arrangement

with HarperCollins Publishers LLC.

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