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Gabriele Ametrano. Nessun porto terrà lontana la tempesta

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Nessun porto terrà lontana la tempesta” di Gabriele Ametrano (Edizioni Clichy, 2024 pp. 144 € 15.00) esce nelle librerie il 16 ottobre. L’autore esplora la destinazione degli abissi nel territorio ingannevole e smanioso degli orizzonti umani, concede ai versi l’impronta interiore della dimenticanza e dell’incertezza arredando la crudele necessità delle parole con le increspature dell’esistenza. Anagrammando me stesso/trovo i volti/del mondo che combatto, /i sorrisi di chi detesto/e le parole che ho cancellato./È un’invenzione la mia vita/che altri hanno composto.”. La poesia di Gabriele Ametrano percorre la sottile e pericolosa linea della frantumazione umana, dispersa nell’irruenza istintiva del severo confronto con gli altri e nell’inesorabile conflitto con la vita, commenta l’esplicita complessità dell’uomo nelle deviazioni impreviste lungo la rotta di una navigazione nell’incognito delle perplessità. Contrappone alla spietata capacità di misurarsi con i distruttivi mutamenti dei sentimenti il sovvertimento di un impulso solitario e malinconico, vincolato al margine delle ruvidezze emotive e delle affannose conseguenze nelle relazioni d’amore, riflette lo scudiscio delle sensazioni, incita il coraggioso richiamo di ogni battaglia quotidiana da combattere in nome dell’autenticità, mai al sicuro dagli equivoci del tempo, nella terra delle esitazioni e nelle imboscate del cuore. “ È un’illusione/ciò che ha corroso i giorni passati. /Oggi riverbera il sole/e l’ombra nostra/ha cancellato il miraggio/di dubbi inesistenti.”.

Il libro include l’esperienza poetica come motivo di riabilitazione e apertura al mondo, assegna al sentire la facoltà comunicativa della coscienza, mostra la natura insinuante della notte con i suoi enigmatici silenzi, aggiunge in ogni pagina graffiata il senso lacerante della solitudine e di tutto il suo carico di squilibrio. Gabriele Ametrano scrive nella propria consumata e viscerale percezione del disagio esistenziale, logorando l’equilibrio tradito dalle impressioni dissolventi della malinconia, toglie la maschera all’ambiguità nella perversa e corrotta alterazione dell’onestà morale dell’uomo, nel mistero di ogni frattura rivelata nella guida interiore della presa di coscienza, oltre il travestimento della vanità disgregante. “Nel dolce sentire l’astratto/la realtà/è dura percezione.”. “Parlami del gioco/in cui mi fai partecipante/e ascolterai le regole/di una dignità infranta.”. “Nessun porto terrà lontana la tempesta” modella l’efficacia del verso nella metafora del naufragio, vissuto nella burrasca delle difficoltà e nell’inarrestabile oscurità delle irragionevolezze, obbedisce all’intensificarsi delle tensioni, immerge nell’onda infuriata dei desideri lo sconvolgimento delle speranze e l’opprimente cupezza delle paure, dispone il lettore verso una lettura improntata alla forza della sopravvivenza in un itinerario che prevede la preparazione lucida nel fronteggiare la curvatura dei ricordi, nel segnare il confine della bellezza incastonata nei profumi e nelle intonazioni del suo passaggio. Gabriele Ametrano scaglia sul ciglio della comprensione la corrente imperfetta dei sogni, sfida la proiezione delle ombre, sorprende l’indecifrabile oltre la tempesta della memoria, velata dalla colpevolezza dell’assenza e dall’invocazione della presenza. Approda, oltre l’asprezza delle ferite e della rabbia, nell’identità di un’inaspettata metamorfosi.

Nuova pelle indosso/mutevole come una stagione./Restano cicatrici, segni indelebili/quasi passaggi inopportuni.”

Rita Bompadre

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Nessun porto

terrà lontana la tempesta,

nessuna cattedrale

proteggerà dall’ira.

Il battesimo della catastrofe

dell’anima benedirà la forza

e del sangue la perdita.

Copriranno i drappeggi

il lutto e il dolore

scavati nelle pieghe

d’un fragile muro.

Arriverà l’incerto

e di certo bisognerà prepararsi.

 


 

Nella stanza

lascio la voce

rimbalzare sulle pareti,

palleggiando nell’aria

alla rincorsa della propria eco.

Immagino continui

negli angoli a frugare

scovando lo spazio

ancora vergine.

È pregna di tonalità

la mia assenza

che di silenzi

è andata alla ricerca.

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