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Henry Wise anteprima. Holy City

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Bei tempi andati: “All’epoca, tutto ciò che serviva a un uomo era il coraggio e una pistola. Mi diceva, per esempio: ‘Jefferson, io ho capito come vivere il sogno americano’. Diceva: ‘Devi prendertelo con la forza, come una casa che non è tua. Nessuno te lo darà mai. È l’unica cosa che hai il diritto di rubare. E io me lo sto prendendo, ma non per me: per te, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle’.”

L’esperienza degli anziani: “La vecchia si tolse uno dei guanti bianchi. Di colpo, infilò una mano sotto al vestito di Day e ne sentì il ciuffo di peli e la superficie asciutta del clitoride che si bagnava. Gli occhi della ragazza si velarono. La nonna muoveva le dita a disegnare un otto finché Day non gemette; anche se la mano della donna era ossuta, fredda e callosa, sapeva cosa fare”.

Desolazioni familiari: “Will Seems era tornato dopo dieci anni trascorsi a Richmond – ‘Holy City’, la ‘Città Santa’ – in una terra che, ogni giorno di quei dieci anni, aveva chiamato ‘casa’, una zona che – ora se ne rendeva conto – era popolata da una comunità eterogenea e smarrita. L’anno prima, un uomo aveva tagliato la gola alla moglie con un coltello a serramanico Buck, per poi spararsi subito dopo con una Walther ppk: un fallimento su entrambi i fronti. La moglie, prima di chiamare il 911, era riuscita a fermare l’emorragia tamponandosi il collo con un cuscino e l’uomo si era risvegliato in una stanza d’ospedale senza gran parte della mascella e con un paio di ceppi alle caviglie.”

È in libreria Holy City di Henry Wise (Carbonio editore 2024, pp. 352, € 19,50) con traduzione di Olimpia Ellero.

Henry Wise (1982) ha studiato al Virginia Military Institute e ha conseguito un Master in Belle Arti all’Università del Mississippi. Scrittore versatile, appassionato di poesia e fotografia, ha visto i suoi lavori pubblicati su riviste come Shenandoah, Nixes Mate Review, Radar Poetry, e la premiata Southern Cultures. Holy City segna il suo debutto letterario.

Dopo un decennio di esilio volontario, Will Seems torna a Richmond, nella contea rurale di Euphoria in Virginia, per assumere il ruolo di vicesceriffo, deciso ad affrontare il proprio passato. La regione, un tempo dedita alla coltivazione del tabacco, è ora impoverita, segnata da un profondo razzismo e infestata dalla criminalità. È una terra dimenticata, dove persino gli omicidi, come quello di Tom Janders, un giovane di colore che Will conosceva, restano impuniti. Sebbene un uomo sia stato arrestato, la comunità sa che è innocente. Per risolvere il caso e trovare il vero colpevole, viene coinvolta Bennico Watts, una tenace detective privata che si allea con Will.

Questo thriller d’esordio, ambientato nell’America dei più emarginati, è carico di suspense e esplora il confine sottile tra giustizia e vendetta. Con uno stile poetico e graffiante, Henry Wise ci conduce nei tormenti interiori di una società afflitta, piena di ferite irrisolte e di un fascino ribelle.

L’atmosfera è calda come il sole crudele della Virginia, con una grinta e una violenza nella narrazione che a volte è scioccante e ci racconta come nessuno sia libero e innocente e niente sia sacro in un mondo tenuto in ostaggio dalla storia ma non del tutto privo di speranza.

Carlo Tortarolo

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Fu sognare il fuoco a devastarlo. Sedeva rigido come un gatto stecchito, cercando a tentoni l’impugnatura della pistola sotto al sedile, con calma. La triste notte lo raggiunse di nuovo, solo una delle tante, passata a guidare all’infinito, ad ascoltare la furiosa parola di Dio proveniente da una leggera interferenza in lontananza, una voce al tempo stesso austera e intima, che sembrava rivolgersi direttamente a lui con una sicurezza lacerante. E lui l’ascoltava perché là fuori non c’era altro – nessuna stazione radio – tra frazioni, paesi e incroci stradali, di cui qualcuna, a un certo punto, doveva essere stata con ogni probabilità una cittadina, e nulla da vedere nel mezzo, se non un paesaggio che ondeggiava in cerca di una sorta di equilibrio: un palpito che si riusciva a cogliere solo coprendone le distanze, sorprendente perché per il resto la campagna sembrava morta. Non era la soffice e verdeggiante vegetazione che ricordava una giungla, tipica di buona parte della Virginia, ma una terra dura, ispida, grezza. Le strade solitarie si snodavano come serpenti nella fitta macchia o in campi aperti o nei boschi completamente abbattuti per ricavarne legname, lasciando il terreno spoglio e strano come un orso scuoiato. E mentre superava le case che crollavano come crateri, coperte di kudzu o dove l’edera velenosa e il ligustro selvatico erano cresciuti in mezzo a pezzi di intonaco verniciato, da qualche parte là fuori in un’oscurità tappezzata di boschi giungeva quella voce tenebrosa, 8 paterna, familiare, amichevole, che alludeva alla violenza, alla malizia; la voce pulita, austera, penetrante e carica di aspettative di un qualche famoso predicatore locale in mezzo a una campagna in cui il crimine dilagava in maniera sconcertante.

Will Seems era tornato dopo dieci anni trascorsi a Richmond – ‘Holy City’, la ‘Città Santa’ – in una terra che, ogni giorno di quei dieci anni, aveva chiamato ‘casa’, una zona che – ora se ne rendeva conto – era popolata da una comunità eterogenea e smarrita. L’anno prima, un uomo aveva tagliato la gola alla moglie con un coltello a serramanico Buck, per poi spararsi subito dopo con una Walther ppk: un fallimento su entrambi i fronti. La moglie, prima di chiamare il 911, era riuscita a fermare l’emorragia tamponandosi il collo con un cuscino e l’uomo si era risvegliato in una stanza d’ospedale senza gran parte della mascella e con un paio di ceppi alle caviglie. Poi, pochi mesi fa, un tizio della contea di Halifax, fermato perché aveva il fanalino posteriore fulminato, aveva sparato a un poliziotto, uccidendolo, e si era allontanato in macchina indisturbato. A tutt’oggi non ce n’era traccia. Ma uno degli episodi più strani era avvenuto solo di recente. Qualcuno in città aveva presentato un reclamo perché da una certa casa proveniva un odore terribile. La donna sola e di mezza età che ci viveva aveva avvolto la madre – deceduta per cause naturali – in una serie di coperte, lasciando il cadavere in casa per più di due mesi. Will ricordava come si era svolta l’indagine: con indosso mascherine che mitigavano a stento il tanfo, e gli occhi che lacrimavano, erano arrivati a contare centosedici deodoranti per ambienti che vaporizzavano il loro profumo sulle trapunte. Lo sceriffo era stato ben contento di lasciare a Troy St. Pierre, il medico legale, il compito di rimuovere il cadavere, ma lui e Will erano rimasti accanto alla figlia della defunta. Quando glielo avevano chiesto, la donna non era riuscita a spiegare perché non avesse denunciato la scomparsa della madre, l’unica ragione per cui avevano motivo di arrestarla. Will vedeva in lei una mesta e infantile disperazione che non doveva essere un caso isolato; l’aveva già vista sui volti della gente del luogo: un avvizzito, disperato, ottuso senso di sconfitta. Will ipotizzò che fosse talmente spaventata dall’idea di stare sola a questo mondo da arrivare a considerare persino una defunta come una gradita compagnia.

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