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Carla Magnani anteprima. Scritti di pensieri che mutano

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L’illuminazione digitale: “Ho speso anni a spogliarmi di ogni qualità. Strategia indispensabile per diventare influencer”.

L’estetica social: “I selfie sono i nostri documenti d’identità. Siamo superfici di vuoti a perdere. Crediamo di vivere e non riusciamo più a gustarne la finzione. Che ne sappiamo di chi non ci assomiglia?”. L’isolamento di una mendicante: “Se dei bambini si fermano per fare complimenti a Brillo, subito vengono allontanati dal genitore. La miseria fa paura. Si attacca. Meglio prenderne le distanze.”

Scritti di pensieri che mutano (Chance Edizioni 2024, pp. 134, € 16) è una raccolta di racconti in libreria dall’11 novembre in cui Carla Magnani esplora con maestria le pieghe più profonde dell’animo umano.

Ogni storia è il tassello di un mosaico emotivo che riflette sulle dimensioni della vita, delle scelte e dei sentimenti che ci definiscono. Dal tormento interiore di un critico letterario in crisi in Controcorrente, passando per la silenziosa ribellione di Anna in Passi, fino alle inaspettate svolte del destino in La variante, l’autrice ci guida attraverso personaggi autentici e situazioni comuni ma anche straordinarie per la loro intensità.

La scrittura della Magnani è avvolgente e raffinata, capace di catturare l’attenzione fin dalle prime righe.  Con uno stile limpido e una profonda comprensione delle emozioni, riesce a trasmettere con potenza i moti dell’animo, invitando il lettore a riflettere sulla propria esistenza e sulle piccole grandi svolte nel nostro cammino. Scritti di pensieri che mutano non è solo una raccolta di racconti, ma un viaggio attraverso le trasformazioni personali, le speranze inespresse e le possibili rinascite.  Un libro che tocca corde sensibili, ideale per chi cerca una lettura intensa che stimoli il cuore e la mente.

Carlo Tortarolo

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Bianca

Quando c’era, era lì.

Prima del suono della campanella, dell’ingresso dell’insegnante in aula.

Sedeva al primo banco. Quello vicino alla finestra.

Attraversata dalla luce proveniente da fuori che bucava il suo dolore e ne disegnava i contorni.

Bianca era questo.

Il corpo trasparente, sempre troppo ingombrante nel suo percepirlo.

Il cibo, il suo nemico.

Anche l’aria inspirata poteva diventarlo.

Non aveva la forza sufficiente per seguire la lezione.

Per metà abbandonata sul banco come sul petto di un innamorato. Le rare volte che accadeva i suoi brevi interventi erano diretti, profondi, sofferti.

Inseguiva un’ idea di perfezione anche negli studi.

Era allora che la voce diventava presenza. Tutto quello che si concedeva.

Un corpo tanto esile da non riuscire a contenere il dolore.

Gli spazi, le persone a lei vicine, erano tesi ad appropriarsi di una seppur minima parte di quella sofferenza. Vano tentativo di alleggerirne il peso.

La fame di vita degli altri diventava oltraggio al suo non esistere.

Essere simile non a un giunco piegato dal vento, piuttosto a uno stelo vinto da una brezza.

La sua unica volontà.

I colloqui con la madre: impasto di lacrime, parole mute, sensi di colpa, sguardi da incrociare. Ognuna impotente. Ognuna di troppo.

Bianca si è diplomata.

È andata lontano, in un centro per la cura dei disturbi dell’alimentazione. Chissà quando e come ne è uscita. Non si conosce la sua vita di oggi, se di vita si può parlare. Chi la ricorda la rivede al suo banco con il corpo che non pretendeva spazio se non nella richiesta muta di affetto.

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