Cosa resta dopo la vita di un padre? E cosa significa essere figlio?
Philip Roth, in Patrimonio, sua opera marginale ma non di meno spessore, racconta la storia quotidiana di un padre e di un figlio che affrontano quanto di più drammaticamente ordinario esista: la morte.
Malato di tumore al cervello, Herman Roth ha i mesi contati. Philip, con il filtro del suo sguardo, ci guida attraverso il periodo della vita in cui si è ritrovato ad assistere il genitore malato che, con la determinazione e la testardaggine che lo hanno sempre contraddistinto, ha lottato fino all’ultimo.
Un romanzo che diventa un percorso non tanto di elaborazione di un lutto annunciato, ma piuttosto un cammino verso il riconoscimento della figura paterna, verso la presa in carico del proprio posto nel mondo in quanto figlio ed erede di un patrimonio.
Ma in che cosa consiste questo lascito?
Il denaro, pensa Roth inizialmente. Il denaro che gli spetta come misura di un ruolo: il lecito riconoscimento in quanto figlio. Ma succede qualcosa di inaspettato. L’autore comprende che questa eredità è fatta di qualcos’altro che lo conduce all’essenzialità della sua stessa esistenza. Comprende che quel padre irascibile, testardo, mezzo analfabeta, di cui a volte si è persino vergognato, è stato IL padre. E capisce che un padre è tale quando lascia in eredità una memoria, che per il figlio diventa riconoscimento di sé nel mondo.
Al di là della morte e di tutto ciò che essa cancella, Philip sarà sempre IL figlio, erede di quella memoria che rappresenta l’unico appiglio alla propria identità, per non sprofondare nell’abisso del nulla.
Quando il simbolico crolla e il reale emerge in ciò che per noi è più insostenibile, ciò che resta è la memoria. Roth la affida alla scrittura, che diventa letteratura in quanto sguardo profondo sull’esistenza. Cos’è la letteratura, in fondo, se non memoria collettiva della nostra eredità come esseri umani?
Nelle pagine di Roth non troviamo rassicurazione, ma un racconto che, come una lama affilata, taglia il reale per consegnarci una storia autobiografica cruda, schietta, che scopriamo essere anche la nostra.
Un racconto che mostra quello che nessuno vuole guardare: la realtà ultima della morte. Nessuno si salva da questo, se non con il lascito di un “patrimonio”.
Mariangela Cofone