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Jane Smiley. Erediterai la terra

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A Thousand Acres di Jane Smiley, nella versione italiana Erediterai la terra, premio Pulitzer nel 1992, torna in libreria con La Nuova Frontiera e la traduzione di Raffaella Vitangeli. È una storia drammatica ispirata al Re Lear di Shakespeare. La versione di Smiley è ambientata negli anni Settanta dello scorso secolo, in una contea dell’Iowa in cui la proprietà, il possesso della terra, è un elemento essenziale “come il nome e il genere di appartanenza”.

Larry Cook è un contadino burbero e meschino, padre padrone di tre figlie: Ginny, la voce narrante della storia, Rose e Caroline. Larry ha accumulato un patrimonio di mille acri di terra che fa lavorare ai generi, Pete e Ty, ma sempre sotto la sua vigilanza paranoica. All’improvviso, il vecchio decide di costituire una società con i suoi possedimenti agricoli e di darne un terzo a ciascuna delle figlie. Il piano convince Ginny e Rose ma non la più giovane, Caroline, che a quel rigido sistema di regole rurali e patriarcali non ha voluto mai sottomettersi: Caroline fa l’avvocato a Des Moines. A metà romanzo le sorelle apprendono del suo matrimonio neworchese da un annuncio sul giornale. È l’inizio del dramma. Senza terra e senza potere, Larry diventa irascibile e incontrollabile. Fa spese pazze, beve molto e in un incidente stradale distrugge il suo furgone. La follia di Larry scatena una guerra familiare e giudiziaria a tutto campo, aprendo delle crepe imprevedibili anche nel rapporto coniugale tra Ginny e Ty, minato da un sospetto adulterio di lei, una serie di aborti segreti, inguaribili sensi di colpa. Affiorano ricordi, traumi rimossi, rancori, debolezze. Il Re Lear di Smiley è un crescendo rossiniano che evoca altri capolavori epici del passato come Furore di Steinbeck. L’Iowa del romanzo, il cuore di un’America verace e avida, ingrata, violenta, votata all’obbedienza e trafitta dal peccato prima ancora che dalla morte. Jane Smiley si conferma tra i più grandi cantori dell’America del XX secolo insieme a Roth, Updike e Bellow, scrive il Guardian.

Angelo Cennamo

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