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Breviario delle Indie. Intervista a Emanuele Canzaniello

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Per Le Tre Domande del Libraio su Satisfiction questa settimana incontriamo lo scrittore napoletano Emanuele Canzaniello, in libreria dal 16 ottobre con Breviario delle Indie, edito da Wojtek nella Collana Orso Bruno. Emanuele Canzaniello, nato a Napoli, 1984, poeta, saggista, esperto di teoria e critica letteraria, autore della raccolta di poesie Per l’odio che vi porto (Oedipus, 2017), seguito da I migliori film mai girati (Oedipus, 2019), raccolta di recensioni a film immaginari, e da un secondo libro di poesia In principio era la paura (PeQuod, 2023). Ha pubblicato saggi di teoria e critica letteraria in riviste e in volume.


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Emanuele, ci vuoi raccontare il tuo percorso nel mondo della scrittura e come sei arrivato alla casa editrice Wojtek e, poi, soprattutto da dove nasce l’idea iniziale e l’urgenza di raccontare una storia sotto questa forma particolarissima di diario di bordo e di scoperta?

Il percorso inizia da lontano, come sempre. Dalle prime scritture cancellate. Poi dal primo libro di poesia del 2017, Per l’odio che vi porto, pubblicato da Oèdipus. E poi con un libro già più vicino al Breviario delle Indie come I migliori film mai girati, uscito nel 2019. Un libro che era già nel solco delle prose brevi, dei racconti fulminei travestiti da qualcos’altro, qui non travestiti di realtà o di storia ma vestiti di costumi cinematografici, era un libro di film inventati, immaginati, girati in un teatro della mente. Un Inland Empire che ritorna anche nel Breviario. Qualcosa di simile alle Interviste impossibili di Arbasino o alle Brevi interviste con uomini schifosi di Foster Wallace. O alle Vite immaginarie di Marcel Schwob, capostipite di un genere. Più in lontananza una spia era accesa intorno alle Note del guanciale di Sei Shōnagon, un testo di aneddoti e memorie di corte del Giappone dell’XI secolo. Da questo rapporto, da quest’angolazione del mio rapporto col reale e il finzionale, è nato il primo impulso del Breviario. Wojtek è stato l’editore che non ha esitato ma anzi ha usato il telefono per chiamare e dire subito e con chiarezza che il libro era per loro. L’idea iniziale quindi credo sia nata da questa immaginazione formale legata alla prosa breve, penso anche agli esordi di Borges nella prosa, dopo la poesia, con Storia universale dell’infamia e Breve storia dell’eternità, in cui opera uno stupore ironico analogo a quello che in parte si trova nel Breviario tra la brevità del frammento e la vertigine enciclopedica di comprendere tutto e di raffigurare l’eternità. A questa forma iniziale, quasi un suono di fondo intorno a cui mi muovevo e che volevo, si è aggiunta la scoperta, o riscoperta di alcuni dati minimi sulla conquista dell’America, letture giornalistiche, che hanno dato l’impulso all’inizio della scrittura.

Poi, accanto a questo, le cronache dell’epoca, tempestive nel seguire un sommuoversi di mondi così improvviso e di darne subito notizia a un’Europa affamata di stampa, di contro a un continente inesplorato quasi privo di scrittura. Le cronache del Cinquecento avevano spesso questo titolo Breve storia delle Indie, Breve relazione delle Indie, l’enormità della scoperta e della catastrofe e la brevità rapida nel registrarla. E poi su tutto, il fascino del racconto d’avventura, del resoconto di mare, del diario di Colombo il lungo mito, anche se non ne abbiamo la versione originaria ma un profondo rimaneggiamento ad opera del figlio di Colombo, che tra l’altro costruì una delle più importanti biblioteche private dell’epoca. Mi sembrava un’idea interessante quella di riportare in vita un modo, una prospettiva, un fingimento di racconto del mare, della navigazione, creando un doppio scenario in cui muoversi. Da un lato le antiche cronache, dall’altra i saggi moderni, quelli che ci restituiscono il minuzioso lavorìo della scienza che ci offre tutti i dati più vicini al reale per poter immaginare quanta distanza rimarrà tra quel reale e la nostra possibilità di comprenderlo, ricostruirlo. La letteratura, con i suoi mezzi specifici, offre un’altra decisiva possibilità, rivivere per immaginazione. Ma con una premessa: niente è inventato, niente si discosta dai dati della scienza storica e nessuno scetticismo viene mosso nei confronti di quella minuziosa e inesauribile ricerca. Devo anche dire che una parte decisiva dell’inventio di questo libro ha una natura polemica, nasce cioè come provocazione, letteralmente come provocazione verso alcuni aspetti della cultura e del dibattito scientifico e pubblico degli ultimi vent’anni. Il libro ricostruisce l’evento per eccellenza intorno al quale sono nati il dibattito culturale e le guerre culturali degli ultimi anni, la scoperta e la conquista dell’America. Dagli studi post-coloniali alla woke culture di oggi, alla cancel culture di ieri. Comunque le si voglia vedere queste culture sono al centro del dibattito mondiale. Un libro del genere non può non entrare in dialogo, in contatto o in conflitto con questo scenario molto vasto di ricezione. Paradossalmente uno dei primi motivi di conflitto e di provocazione che un libro del genere può portare con sé è proprio la sua natura di oggetto ibrido, saggistico, narrativo, poetico, ma essenzialmente tutto interno agli statuti e alla natura profonda della letteratura. Non è un saggio scientifico, non è un articolo di giornale, non entra nel dibattito con gli strumenti e con la lingua di cui è fatto e di cui si nutre il dibattito, ma con un’altra lingua e altri strumenti. Non cogliere questo punto può aprire le porte alla polemica e persino al rigetto di un libro del genere. E sono ancora convinto che il verificarsi non improbabile di fraintendimenti del genere sia il frutto dell’attuale legame debole con la letteratura in quanto tale e con le sue regole di base. Il libro è anche un faccia a faccia con l’Occidente, con le colpe e gli oceani di sangue aperti dall’Occidente e tuttavia il libro è anche profondamente occidentale e quasi un canto funebre per l’Occidente, che instaura un rapporto complesso con l’enorme questione aperta su come l’Occidente stia attraversando la consapevolezza di queste colpe.

La scoperta delle Americhe è stata l’evento più simile a quello che potrà essere l’arrivo umano su altri pianeti. La cosa più simile, tra quelle già avvenute, alla scoperta di forme di vita organiche fuori dalla Terra che forse avverrà nel futuro”. A partire da questo passaggio, vogliamo Emanuele raccontare nel dettaglio i personaggi e i luoghi che si incontrano sfogliando questo resoconto del lungo viaggio degli europei verso le Americhe, ricco di riferimenti storici e reali ma anche di magnifiche divagazioni oniriche?

Il libro è ossessionato dalle prime volte, dalle prime notti, dal primo vedere. Si andrà e si vedrà il Pacifico con gli occhi di chi l’ha visto per la prima volta, tra chi veniva dall’Europa. Sappiamo tutto, il luogo e la data. Si seguiranno i percorsi di Francisco de Orellana che ha navigato per primo, probabilmente in assoluto, anche rispetto ai nativi, il fiume che fu visto per la prima volta come un solo fiume con lui, e da lui ha avuto il nome di Rio delle Amazzoni. E poi Cortés e Pizarro, e i loro uomini, gli stessi uomini spesso, che nella distanza temporale di vent’anni distrussero due imperi, l’azteco a nord e l’inca a sud. Agli stessi uomini, sui loro corpi, è toccata la stessa dimensione incommensurabile del reale, di quella realtà. E poi ancora il primo libro che sia stato scritto nelle Americhe, in un intero smisurato continente, e che fu scritto ad Hispaniola, Santo Domingo. E ancora le prime storie del mondo che era stato appena distrutto e quasi cancellato, del mondo inca. Tutto quello che ricordava quella storia e che ci sia pervenuto in scrittura storiografica in una lingua alfabetica è occidentale, spagnolo, anche quando traduce testi precedenti. La scrittura stessa era un atto di incorporamento di quel mondo dentro i nostri segni. La prima vista della terra, da parte di Rodrigo de Triana; ma di Triana si cercherà poi di immaginare la vita del corpo, quale vita sessuale può aver avuto quel ragazzo di vent’anni che vede il profilo di quella terra. E che muore poi nelle Filippine, nell’altro quadrante del mondo appena esplorato. All’aspetto onirico del libro tengo poi in modo particolare, credo ne sia una delle chiavi. E ancora incontreremo anche scenari europei dell’epoca, per cercare di capire da quale mondo venissero quegli uomini, da quale luce. C’è molta pittura europea nel Breviario, c’è Cranach, c’è Brueghel, c’è Vermeer. Dalla stregoneria alla cartografia, dall’oscurità del sabba alla luce della stanza del Geografo di Vermeer. È stare lì, in quella stanza, in quella luce. Rivivere con quegli uomini, dalla loro percezione dei saperi e della vita, quello che avveniva e osservarlo allo stesso tempo da una prospettiva laterale, con i saperi del nostro presente. Una prospettiva che credo non sia solo legata ai saperi ma anche alla visione, il Breviario mette in scena l’iconografia delle splendide incisioni di Theodor de Bry, l’incisore che per primo e precocemente diede forma visiva ai massacri che stavano avvenendo, descrivendoli minuziosamente e con grande potenza. Ma dall’altra il libro si muove anche dentro colori ipertrofici, iper-realistici, che rimandano agli scenari dello spettacolo e del kitsch che sorgerà tra le palme di quel Mondo Nuovo. Un mondo hollywoodiano e lynchiano. Ricordo ancora quello che Lynch dice nelle sue dichiarazioni biografiche sull’effetto avuto su di lui dalla luce di Los Angeles, vista per la prima volta un mattino, dopo una notte di viaggio. Il lettore qui incontrerà luci analoghe, dell’alba e delle eclissi, incontrerà anche quella in cui fu vista la terra all’orizzonte. Tutti lo immaginiamo, ma sappiamo immaginarlo per come avvenne? A che ora avvenne? Pensiamo di sapere tutto, di conoscere bene questa storia ma non è così, avvicinarsi sempre di più al reale, affidarsi al reale, non comporta una diminuzione del mistero, ma una sua crescita senza freni, terrorizzante quanto l’allontanarsi delle galassie.

Nel libro si susseguono tanti piccoli capitoli dai titoli parecchio suggestivi ed evocativi che ben delineano il carattere del Breviario e nel corso della narrazione raccontano di esplorazioni ma pure dell’incontro con l’ignoto. Ci vuoi dettagliare come è stato lavorare a questo testo, che procede per stratificazioni, dal punto di vista formale e se ci puoi spiegare anche le difficoltà incontrate per rendere credibile ed estremamente moderno un progetto così ambizioso?

Le stratificazioni si sono sedimentate in modo molto naturale. Non potrei dire diversamente. Intorno a un nucleo e a un tono che si è stabilito subito, molto rapido e diretto ad afferrare quante più direzioni possibili delle rotte, degli spostamenti, materiali ma anche spirituali e degli scenari legati al primo viaggio di Colombo ma non solo, è cresciuto il libro. Sempre più addensandosi, andando verso qualcosa che non poteva essere più diario di bordo ma regesto di uno sprofondare, di un perdersi, sempre più vicino alla poesia quanto più aumenta la vertigine. Più ci si addentra più cresce anche la tensione, quasi da versetto biblico, della narrazione, delle immagini. Volevo in ogni caso lavorare su capitoli o pezzi brevi o molto brevi, anche per un ragionamento sulle nostre capacità attentive e sul futuro delle forme dei testi. Non capisco come il mercato, e i pochi lettori superstiti, preferiscano ancora il romanzo dalle dimensioni quasi ingestibili, quando tutto il resto va altrove. E quindi credo che la forma breve serva anche a questo, creare un testo palmare, che possa rivaleggiare con lo schermo digitale, e stare in una mano come gli smartphone. Ruotare intorno a una e una sola immagine, nitida o sfocata, ma che sia una e in grado di portare ogni volta il lettore davanti a qualcosa di preciso e di indecifrabile insieme.

Buona Lettura di “Breviario delle Indie” di Emanuele Canzaniello

Antonello Saiz

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