Briciole. “Si accontenta di briciole”.
Quante volte, ascoltando argomentare una vicenda di relazione clandestina o parlandone noi stessi in prima persona, abbiamo pensato in termini di “briciole” nel determinare lo scadente beneficio che un amante riceve in dote da quella unione? Avanzi, microparticelle ammuffite di amori senza alcun senso o futuro, intrisi di null’altro che di peccato reiterato.
L’autrice Laura Moreni, miscelando mestiere e sensibilità, scrive una storia d’amore poderosa, che contesta e ribalta completamente questa teoria, tra l’altro attribuita addirittura a Marilyn Monroe. E mettersi contro Marilyn, oltre che contro l’opinione diffusa, è già di per sé un atto di coraggio non da poco.
Mi accontento delle briciole. La pagnotta è riservata a un’altra, ce l’ho chiaro: io mi sfamo con quel poco che avanza, con ciò che cade dalla tavola. Lo faccio in maniera fatale, come se fossi del tutto impotente, e nemmeno me lo chiedo se davvero è così. Però queste briciole sono appetitose; hanno un sapore speciale, sanno di fragranze antiche. Saziano più di interi filoni. E creano dipendenza: una dose di zuccheri sparata dritta nelle vene, che dona euforia. E che dura settimane.
A pensare è Claudia, la protagonista del romanzo. Una donna comune, con una vita sulle spalle di una banalità rassicurante e un lato in chiaroscuro celato. Madre di due creature meravigliose, moglie di un marito premuroso, bello e buono come il pane (ma senza briciole), fiorista di professione, amica sincera, figlia grata nei confronti della donna, che le diede il dono della vita. In una notte di Capodanno Claudia incontra Mino, l’uomo che in cinque minuti le squarcerà la vita in due pezzi, con un taglio netto e irreparabile, nonostante i successivi e ripetuti tentativi di rammendo, avvenuti nel corso degli anni a venire. Questa è la genesi, il punto di rottura e non ritorno di un’esistenza, che inizierà una metamorfosi lunga e irreversibile.
Un tradimento compiuto, senza l’alibi di quel “buon motivo”, che le leggi morali (e la propria coscienza) renderebbero se non giustificabile, almeno più accettabile. Nessuna violenza subita, alcuna trascuratezza sofferta o frustrazione repressa. Di “buoni motivi”, neanche l’ombra; piuttosto l’inizio di un cambiamento, che sarà eternamente in fieri. Un viaggio interiore di godimento e pentimento, compiuto come l’avvicinarsi costante ad un burrone, che resta sempre a distanza. Un orizzonte di libertà. In quel tragitto, a tratti gaudioso e in altri doloroso, si srotola l’essenza di un amore primordiale, privo di vincoli, regole, consuetudini e aspettative. Una scoperta per la protagonista, che si fa prima sorpresa, poi negazione, quindi resa, dopo accettazione, infine urgenza. Ed è così che un presunto incidente di percorso si trasforma in un errore, necessario alla propria sopravvivenza. Laura Moreni ci dona un romanzo d’amore atipico e meraviglioso.
La descrizione degli avvenimenti, in stile diaristico ma legata con abilità a comporre un collage romanzato, ha una profondità mirabile. La scrittura in prima persona, elegante e irriverente al contempo, lascia solchi profondi nel pensiero del lettore. L’autrice, cambiando sovente il ritmo del racconto, asseconda i pensieri mutevoli e gli stati d’animo di Claudia, rendendoli contundenti. Se ne esce arricchiti, ma con le ossa rotte. E la bellezza sta proprio in questa immersione totalitaria nei tormenti di una donna lacerata dai dubbi, dalle contraddizioni, vittima di rimuginii ossessivi senza tregua e alla disperata ricerca di una consapevolezza, mai completamente appagata. Una donna che vuole cambiare, ma non deve. Non potrebbe, ma continua a cambiare. Non riuscendo, nonostante tutto, a tornare quel che era, a rinunciare al proprio benessere. Mentre alterna vette di gioia al buio dei sensi di colpa. Perché, perché le nostre passioni ci feriscono, ci segnano, ci deturpano fino a renderci irriconoscibili? Basterà davvero pentirsi dei nostri peccati per avere il perdono? E poi quale perdono davvero ci interessa, quello spirituale o quello spicciolo, umano, profano, che ci consente di andare avanti? Dov’è che risiede l’anima, a quale fonte si monda?
Dov’è tutto il nostro immenso amore?
Dov’è l’amore Don, dimmelo tu, perché io mi sono persa.
Già, l’amore. Il motore che tutto lega o divide. Semplice, ma inspiegabile.
A volte, come in questo caso, inarrestabile.
Ed è l’amore il coprotagonista di questa storia, insieme a Claudia. Un amore a largo spettro, che, insieme alle sue controindicazioni, pervade ogni singola pagina.
Un amore reale, carnale, sincero. Fatto di sesso e tenerezza, pentimento e imprescindibilità. Ben lontano dalle atmosfere patinate dei romanzetti rosa da sfogliare nelle attese dal parrucchiere ed anche da quello ideale, spesso fuorviante, descritto dai poeti.
C’è verità nei rapporti interpersonali descritti, a tutti i livelli: di coppia, materno, familiare, di amicizia. Non esiste legame, tra quelli più importanti della nostra esistenza, che l’autrice non tocchi. E che non lo faccia con mano sapiente.
Cosa farà Claudia? Riuscirà mai a decidere? Avrà il coraggio di rinunciare? E a chi?
La teoria delle briciole è un romanzo che lascia il segno, a tratti disturba, ma ha il merito di spingere alla comprensione di qualsiasi comportamento esuli dal moralismo, concentrando il proprio messaggio sul senso del volere, piuttosto che su quello del dovere.
Si muove tra le pieghe dei pregiudizi comuni, mettendoli in discussione e, in qualche modo, denunciandoli.
Una storia rivolta alle donne (tutte) e agli uomini con il cuore di donna.
C’è un gran bisogno di opere di questo tipo e di questo livello, che ci facciano riflettere, crescere e non solo evadere.
Per me è stata una boccata d’ossigeno, anche se, a tratti, per la forte commozione, l’ossigeno me l’ha poi tolto.
Paolo Raimondi