Penso che i libri debbano scuotere, disturbare, cambiare. Penso che leggere un libro debba renderci in qualche modo diversi, lasciarci addosso un odore non nostro e nella mente delle immagini a cui penseremo anche quando le parole saranno terminate.
Dalle prime righe di “Sangue di cane” di Veronica Tomassini (La nave di Teseo, 2024, 288 pagine, 17,10 euro) ho compreso che non sarebbe stato facile lasciarmi alle spalle questa storia, perché non solo mi avrebbe disturbata ma mi avrebbe mostrato qualcosa che non sarei stata pronta a vedere. Così è stato.
Sangue di cane è un pugno in piena faccia.
Veronica Tomassini è una grande scrittrice che si dona al lettore completamente, senza risparmiare nulla, neanche l’anima. Si aggrappa alle parole per uscire fuori dal suo dolore e non ha alcuna remora nel mostrarsi fragile, nel condividere la sua vulnerabilità.
Veronica è un’anima lucente che racconta la sofferenza in una maniera magistrale, utilizzando un’autenticità che il lettore non può non riconoscere, un’autenticità che la rende reale, che l’avvicina alle persone, e che fa delle sue parole, crude e taglienti, un inno alla vita, anche se colma di disperazione; un inno alla vita che l’autrice, nonostante tutto, intende vivere con tutte le sue forze.
Per leggere Sangue di cane bisogna usare mente e corpo, bisogna essere presenti e vigili perché le immagini che ci raggiungeranno saranno difficili da digerire, immagini che non siamo abituati a guardare, ad accettare.
La Tomassini ci fa entrare in un mondo scomodo, parallelo, che il più delle volte ci lascia indifferenti, un mondo che non capiamo e da cui prendiamo le distanze.
Il mondo in cui l’autrice si ritrova, suo malgrado, è fatto di persone lontane da noi, socialmente e culturalmente, ma che vivono emozioni che, in fin dei conti, non sono poi così diverse dalle nostre. Ed è in quel riconoscimento che iniziamo a stare scomodi, nello scoprire, passo dopo passo, che certi abissi ci appartengono; che ciò che per strada ci fa voltare la faccia dall’altra parte, potremmo, per alcuni versi, ritrovarlo in noi.
L’autrice non ha alcuna esitazione ad entrare in quel mondo: lo abita con naturalezza, come se ci fosse nata; ed invece lei è una ragazza “per bene”, che accetterà di essere chiamata puttanella, di essere tradita dal suo uomo, presa in giro, aggredita e violentata da immagini di cui nessuno dovrebbe essere spettatore. Ed invece, in questa storia che è la sua storia, lei continua a vivere la strada, nel tentativo di salvare il salvabile, senza chiedersi se ne valesse veramente la pena.
La Tomassini non ha intenzione di mentire, di edulcorare, di giustificare. Ci racconta di un amore nato senza alcuna morale. Il suo angelo nero, Slawek, un uomo serbo dannato e bellissimo, incontrato ad un semaforo mentre faceva l’elemosina, la trascina in una storia fatta di carnalità e passione, che la vede accudente nei confronti di un uomo che diventa un bambino fragile e senza difese ogni volta che si lascia distruggere dall’alcol e da quella vita fatta di eccessi ed assenza di regole.
A traghettarla in quella solitudine fatta di dipendenze, criminalità e desolazione è un amore malato che la travolge senza darle la possibilità di tirarsene fuori. Un amore carnale, istintivo, animale, che nulla ha a che fare con l’idea romantica dell’amore, eppure così potente da trascinarla nel baratro.
Ed è in nome di quell’amore che si confonde con la pietà, che diviene sacrale, che mostra la presenza di Dio lì dove il buio ha preso il posto della luce, che l’autrice diviene riparo e consolazione, sacrificando sé stessa ed esponendosi alla disperazione.
L’autrice ci narra una discesa negli inferi, in un girone dantesco fatto di anime disgraziate, senza alcuna speranza, che sembrano vivere tutti i giorni nel tentativo di costruire una strada che le porterà dritte verso una morte che non sembrano temere. Una morte che a volte arriva come salvezza, che si consuma nell’indifferenza, che risuona come liberazione.
Veronica ci mostra un luogo- non luogo, una Siracusa che potrebbe essere qualunque altro posto del mondo, in cui non esiste alcun rispetto per la vita, alcuna dignità nella sopravvivenza. È in questa distruzione di qualunque tipo di salvezza che ritroviamo un altro elemento che ci accomuna con quel mondo sommerso: ci diviene chiaro che distruggere non è la prerogativa di quei reietti che ci paiono così distanti da tutti noi.
La Tomassini ci restituisce la verità, senza cercare parole che possano indorare la pillola, senza artefici, senza mitigare le immagini che arrivano dure e spietate a disturbare il nostro insano equilibrio.
Una verità che disturba e che salva, una verità per cui la ringraziamo profondamente.
Nancy Citro
#
Veronica Tomassini, Sangue di cane, La nave di Teseo, 288 pagine, 17,10 euro