Ti ho ascoltata con profondo interesse a Plpl con Loredana Lipperini parlare con estrema disinvoltura della tua seconda silloge di racconti, Verdissime (Nutrimenti 2024). Dalle vostre parole e dalla lettura dell’opera, credo che tu sia animata da una grande passione per la narrazione, in linea con la tua compassata fiducia nella vita. È così? Se sì, da cosa ti deriva questo spontaneo ottimismo?
Non so se definirmi ottimista, ma sicuramente sono curiosa, e credo che l’amore per le storie derivi proprio dalla curiosità verso quello che vedo e sento intorno a me. Scrivere è un modo per incanalare la sorpresa che provo verso quello che incontro, lo spunto dei miei racconti, sia per quanto riguarda i personaggi che lo sviluppo, è infatti sempre legato all’osservazione del reale.
Axenia è una moldava tipica che abbandona la sua terra per arrivare in Italia. Hai la tua consueta delicatezza di immagini, come se nello scrivere tu fossi baciata dalla dea Fortuna. Credi davvero che l’uomo sia fabbro della sua sorte?
Nel racconto che citi, con Axenia protagonista, gli eventi le sono quasi sempre sfavorevoli, sarebbe normale abbandonarsi alla mala sorte eppure lei mantiene un atteggiamento costruttivo e utilizza le sue risorse per modificare quello che può cambiare. Anche se non possiamo determinare gli eventi in senso generale, c’è un confine entro il quale il nostro modo di essere e di porci rispetto ad essi fa la differenza: in quella zona siamo artefici del nostro destino.
La tua professione di sceneggiatrice in che senso ti aiuta a tessere la tela dei tuoi racconti?
Il lavoro di sceneggiatrice sicuramente mi aiuta nella ricerca della sintesi e della chiarezza. Probabilmente anche a dare una connotazione visiva alla narrazione. C’è poi una certa abitudine a scrivere dialoghi, anche in questo caso preferendo l’essenzialità.
Essere verde non è peculiarità dell’infanzia e dell’adolescenza, ma si può esserlo anche da maturi. Non sono verdi solo le donne, ma si può esserlo anche da uomini. Che relazione avevi da ragazza con le piante?
Vengo dal Polesine, dalla zona del Delta del Po. Giocare significava stare all’aperto, trovare riparo sotto gli alberi quando faceva caldo, usarli come punto di osservazione privilegiato e come nascondiglio dal mondo adulto. Se non sapevi arrampicarti su un albero eri tagliato fuori da molte cose. I giorni di pioggia, chiusi in casa, erano una tortura. Unica consolazione per me era la lettura.
E da adulta?
Da adulta sono consolazione e bellezza. Le piante ci trasmettono molti valori: pazienza, resistenza, diversità, rispetto.
Nella tua prima raccolta avevi l’ossessione per la tartaruga che resiste, qui la costante è la pianta che cresce sempre e trova la tua strada nonostante tutto. Credo che tu sia una grande osservatrice della realtà più che una analista. Hai mai fatto esperienza analitica? Riponi fiducia in essa?
Ho fatto parecchi anni di psicoterapia. Credo che mi abbia aiutato a fare chiarezza rispetto a quello che sono e a quello che per me è importante. Però una mia amica psicanalista una volta mi disse: “Falla ma non troppo, che se poi risolvi tutto capace che non scrivi più niente”. Quindi non mi considero né saggia né risolta, conservo gelosamente un’area di caos!
Tu non solo sei coraggiosa in quanto raccontista, ma lo sei nella vita con questa tua leggerezza profonda?
Amo il tono leggero anche come lettrice: si scambia spesso la leggerezza per superficialità, ma sappiamo quale sia la lezione di Calvino in proposito, e per quanto mi riguarda è altrettanto fondamentale l’insegnamento della nostra meravigliosa tradizione cinematografica della commedia all’italiana, dove dramma e commedia procedono abbracciati e si nutrono l’uno dell’altra.
L’ottimismo è una dote o una contingenza?
Credo che possa essere entrambe le cose. C’è chi è ottimista per indole, e questa è una grande fortuna. Ma c’è anche chi affina l’attitudine all’ottimismo con la pratica, per necessità o volontà.
Giovanna Albi