“Idaho Winter” di Tony Burgess, forse l’opera più di metafiction hardcore pubblicata negli ultimi anni.
“Ha passato gli ultimi mesi dell’anno scolastico avvolto in un cappotto di carta catramata che, surriscaldato dal sole gli si è impresso sulla pelle lasciando un segno nero-rossastro ancora visibile, dalla parte destra del collo fino alla punta dell’anca sinistra. Lo hanno buttato giù dalla collina dietro la scuola. (…) La porta si apre e compare un cane. Un segugio giallino con la bocca rossa e pronto all’ attacco. “Fà alzare il ragazzo, Ringhio” (…). Un gran fracasso. (…). Ringhio -con le mascelle serrate sulla spalla di Idaho- lo sbatacchia per le strette pareti del corridoio, per lasciarlo cadere infine ai piedi di Early”.
“C’ è scuola mangia quello che ha trovato quella bestiaccia”.
Nelle prime quaranta pagine di “Idaho Winter”, l’autore ha il controllo totale dei suoi personaggi. Il personaggio del titolo, noto ad alcuni con il soprannome “Patata”, vive una vita che fa sembrare invidiabile quella di Oliver Twist. È il primo giorno di scuola e Idaho si sveglia nella sua camera da letto infestata dai topi che puzza di pesce e spazzatura. Prima di andare a scuola, suo padre, Early Winter, gli ordina di mangiare la colazione procurata dal cane, che si rivela essere un procione morto e vermifero. “Mangia anche il culo e pulisciti i denti con la coda”. Mentre cammina verso scuola, la guardia stradale cerca di farlo investire da un’auto e i suoi coetanei lo prendono e lo picchiano a sangue. L’unico momento positivo della sua giornata è quando incontra Madison Beach, una compagna di classe alla quale Idhao piace. Lei non capisce perché in città siano tutti così cattivi con lui e lo trattino così male. Sfortunatamente, tutti pensano che il Patata abbia rapito Madison e per questo gli aizzano contro dei cani affamati allo scopo di sbranarlo. Quando i cani attaccano accidentalmente Madison -mozzandole i piedi- anziché Idaho, come previsto dallo scrittore, il protagonista si alza e scappa via cosa che fa esclamare all’ “autore”: “non fa parte della storia che stavo raccontando”. Questa sezione è scritta male, troppe allitterazioni ed eccessivo uso di parole come “povero” o “orribile” ma è evidente che Burgess lo fa intenzionalmente. In modo da far comprendere al lettore che “l’autore non è un grande autore”.
Infatti, nessuno dei personaggi è lontanamente credibile. Per esempio: perché la vigilessa, la signorina Joost, disprezza così tanto Idaho? “Patata è un ragazzo orribile. Puzza di pesce marcio. È incrostato di sporco e, suvvia, persino i suoi genitori non lo sopportano. Sempre scalzo. E i capelli!!” Ovviamente questa non può essere una reale motivazione per voler uccidere un bambino; piuttosto avrebbe più senso chiamare i servizi sociali!
Quindi Burgess volutamente ci spiazza con la cosiddetta “satira grottesca”, una cifra stilistica, del genere young-adult.
Ma da lì in poi, Burgess, fa che “l’autore” perda il controllo dei personaggi e rimanga intrappolato in una realtà creata dal travagliato Idaho. È un mondo popolato da Mom-bats (brutte creature con la faccia della madre di Idaho), dinosauri ecc… Burgess non fornisce indicazioni al lettore per capire dove sia la realtà. Non fornisce alcuna spiegazione esatta di come un essere umano, che esiste nel mondo umano, rimanga intrappolato, nell’opera di finzione che sta creando. Finisce nel suo computer? Oppure i suoi personaggi lasciano la pagina, non diversamente dalla ragazza di “The Ring” che esce dallo schermo televisivo?
Riassumendo, il romanzo descrive
un autore che, a circa tre quarti di una storia, scritta in modo atroce, su un ragazzo inspiegabilmente odiato da tutti, all’improvviso induce questo personaggio a diventare consapevole di sé e quindi ad esigere vendetta dal suo autore.
Qual è il motivo per cui leggiamo narrativa? Forse perché ci innamoriamo di un libro per una meravigliosa impressione percepita; la sensazione che lui sappia tutto di noi: chi eravamo, chi siamo o chi vorremmo essere. Per farla breve, quando il testo, ci mette in contatto con quella che definiremmo “l’esperienza della nostra vita”.
“Idaho Winter” sembra evitare di proposito di farlo. Il libro è una miscela di diversi generi: Ya-fiction, fantasy, horror, misery-memoir raggruppabili in un genere capostipite: la metanarrativa.
Infatti, Burgess, anziché regalarci uno sguardo serio e realistico nel descrivere l’esperienza umana, la sua ragion d’essere è quella di sottolineare cinicamente tutti i difetti della finzione. Da una distanza ironica e sicura.
L’ Obiettivo principale di questo genere è smascherare le leve della finzione. È una tecnica narrativa, che consiste nell’ intervento diretto dell’autore all’ interno dello stesso testo che sta componendo, così da sviluppare un romanzo nel romanzo. Significa quindi prendere le distanze dall’esperienza umana rimanendo puramente diagnostici.
Da che mondo è mondo, Il realismo è un genere letterario imprescindibile ma è indiscutibile il fascino indiscreto dei mezzi
utilizzati nella metanarrativa: l’autore come personaggio, la rottura del quarto muro, l’autocoscienza. Se adoperati correttamente, possono essere un grande servizio per i temi classici toccati dalla maggior parte della letteratura. E credo che il romanzo scritto da Burgess lo dimostri.
Non diciamo altro, vi rovinerebbe e vi confonderebbe ulteriormente. Solo che è molto avvincente e che una volta iniziato, coinvolge al punto da arrivare alla fine in un battito di ciglia.
Una “meta-cosa-poesia-arte” strana, bella e difficile da descrivere. Vi invitiamo dunque a leggerlo voi stessi. E rileggere due volte le ultime straordinarie venti pagine le quali, “forse”, indicano una way out.
Francesca Mezzadri