S’infilò sotto le coperte. Aveva voglia di pensare. “Just play another chord, If you feel you’re getting bored” (suona un altro accordo, se senti che ti stai annoiando, “Numb”/U2); “la incontrerai là, lei è la tua destinazione; tu devi arrivare a lei, lei è immaginazione” (“Lemon”/U2). Era filato tutto liscio: si erano conosciuti con uno sguardo diverso, profondo; usavano un linguaggio da iniziati. “Ci riconosciamo dall’odore, decifriamo i segnali e si potrebbe andare avanti all’infinito”, le aveva detto. E adesso sentiva la fiammella spenta, aveva smesso di ardere. La sensazione di vuoto, “che l’unico pericolo che senti veramente è quello di non riuscire a sentire più niente” (“Fango/Jovanotti”); si rifugiava nella sua fonte primaria di energia, l’unica dalla quale si sentiva capito, cullato, sollevato: la musica del suo iPod. Un vecchio modello, il primo per l’esattezza, oggi introvabile nei negozi. Aveva scelto l’azzurro perché si vestiva sempre di blu, il colore della comunicazione. Ma oggi “era uno di quei giorni” (“Domani è un altro giorno”/Ornella Vanoni) in cui l’arancione era predominante; il giallo indica “il coraggio ovvero l’evoluzione della paura” (“Io lo sapevo”/Collettivo soleluna) e il rosso la forza ancestrale. Il colore del mandarino era un balsamo; è il colore del riscatto delle popolazioni oppresse ed anche, molto più basicamente, il segnale universale della guarigione. Si alzò dal letto con un balzo, addosso il solito giaccone comprato a Manchester dopo un’intervista a Fatboy Slim. L’aveva comprato qualche anno addietro, periodo “Praise You”, quando le case discografiche potevano permettersi di essere arroganti e spendevano i loro soldi per comprare biglietti per un volo Milano-Manchester e ti pagavano ancora l’hotel. Quel giaccone verde militare era la sua seconda pelle: per bilanciare la sua immagine marxista-leninista aveva scelto un maglione grigio di cachemire con le toppe (sempre per bilanciare, bilanciare, bilanciare e non se ne esce più a forza di bilanciare). Stivali neri e sciarpa fashion con un cappellino blu con la punta piegata, giusto per evitare di essere guardato negli occhi (una valida alternativa agli occhiali da sole da poliziotto cattivo). Uscì sul terrazzo del suo appartamento milanese e si accese una Marlboro rossa, pacchetto soft – dicono che sono leggermente diverse – un pacchetto più comodo da tenere in tasca, senza troppe geometrie ruvide, acquistato su consiglio di suo nipote. Prese l’iPod e scelse il primo “mantra in divenire” sulla ghiera dello strumento Apple: “Bloom” dei Radiohead, “sbocciare”. Gli piaceva il suono all’inizio del pezzo, un pianoforte ossessivo su pochissime note, ripetuto in un loop feroce: era la sensazione del tempo sospeso, quei rari attimi in cui regna il silenzio intorno a te e tutto sembra acquistare un senso. Canticchiava a squarciagola i primi versi in contemporanea con Thom Yorke, “Open your mouth, wideeeeeeeeeee” e si preoccupava di essere ascoltato dalla vicina di casa del piano di sopra; ma era solo un attimo poiché GrazieaDio da quella casa arrivavano spesso note di Sade e Cristopher Cross, a sottolineare la delicatezza e la sensualità della vicina, una bella donna di circa quarantanni. Skippò la versione di “Bloom”, non era più quella dell’album The King of Limb: aveva trovato un live completo della band spezzettato su You tube, prodotto per la Bbc, “Live at the Basement” per l’esattezza. Senza pensarci due volte, nonostante comprasse tutta la musica in download – “perché la musica va servita sempre” era il suo slogan – fece uno strappo alla regola e con l’aiuto del software trovato su internet convertì “Bloom” Live in una traccia del suo iPod. Pensò che ci fosse un feedback invisibile tra lui e i Radiohead; scoprì un giorno prima che la band aveva deciso di pubblicare un dvd con questa versione 2.0 per Natale 2011: evidentemente avevano capito che la canzone dal vivo era maturata. La differenza era tangibile, soprattutto nella parte centrale in cui Yorke parte con un coro irresistibile, quasi un volo liberatorio: sentiva dentro un dolore fortissimo, ancora più marcato nella versione dal vivo. Lo sentiva suo, uno struggimento utile a trovare dentro di sé i suoi sentimenti, era un viatico alla sua parte oscura. L’ascoltava unendosi al coro con un mugolo impercettibile all’esterno, forse per non turbare troppo la vicina finché arrivarono le lacrime. Quelle accumulate e mai espresse ora finalmente potevano uscire dalla austera diga a lungo immobile. Un fiume scorreva dal suo cuore finalmente liberato: erano lacrime di gioia, frammenti e schegge impazzite di amore provato, brandelli di vita. Era vivo, questa era la cosa importante, si sentiva così, acceso. La fiamma, “The unforgettable fire” (citazione U2) era tornata, la sentiva ardere. Alla conclusione di “Bloom” si concentrò sui suoni del basso, pochi accordi ma scavati in un solco che penetrava nell’anima. Ora era pronto per il passo successivo. Decise di telefonarle. “Camminare nel verde” (Steve Jobs) e “perdersi nella città” (Lorenzo Jovanotti) è il miglior modo per parlarsi VERAMENTE. Abbinando queste due frasi la chiamò accendendosi un’altra sigaretta. Le rispose con un saluto allegro e avvolgente che si tradusse automaticamente in un incoraggiamento velato. Lui aveva urgenza di comunicarle un pensiero e lo fece immediatamente: “Wim Wenders nel Cielo sopra Berlino riprende un brano del Vangelo: “se il tuo occhio è puro lo sarà anche la tua anima o qualcosa del genere”. Stavo pensando che per un lungo periodo mi sono tuffato nel porno, guardavo avidamente ogni cosa, qualsiasi inclinazione. Ho sperimentato un po’ di tutto con chi capitava. Ho capito che la bellezza del corpo di una donna è inarrivabile. Un uomo nudo è poca cosa. Allora mi deve essere scattata una molla, la parte femminile in me molto sviluppata quando si trova con una donna entra immediatamente in complicità. Io so di non essere fallocentrico, io mi concentro sulla donna, in quel momento c’è solo lei, con le sue montagne, le sue valli, i suoi fiumi. Il mio impegno a farla vibrare è totale, so di esserne capace. Probabilmente sono lesbica da questo punto di vista, infatti se c’è qualcosa che devo salvare dalla pornografia che ormai ho abbandonato completamente sono due minuscoli video che ho conservato su un hard disk esterno. Lo spunto che ho fatto mio mostra una bellissima ragazza nuda, l’uomo è sotto di lei. La donna si allunga sul maschio e si posiziona sulle ginocchia appoggiate ad un materassino e lui la tiene per le cosce e si avvicina al suo volto. La scena si conclude con la lingua di lui che entra nel suo ventre come un solco. Ma non è solo quello che mi attrae, è il fatto che mentre le regala piacere con la lingua la guarda negli occhi. Lei lo vede e si imbarazza e ritrae lo sguardo salvo poi riaprire gli occhi. In quel momento lei senza aprire la bocca sta chiedendo ancora, ancora, ancora (citazione Mina): quello mi piace. E ciò che immagino quando ascolto “Do you feel loved?” degli u2: “with my nails under your hide, with my teeth at your back and my tongue to tell you the sweetest lies” e ancora, “love’s a bully pushing shoving in the belly of a woman, heavy rhythm taking over to stick togheter a man and a woman“ (con le unghie sotto la tua pelle, con i miei denti sulla tua schiena e la mia lingua per dirti le più dolci bugie” e ancora, “l’amore è spingere come un toro nel ventre di una donna, un ritmo duro subentra per incollare insieme un uomo e una donna”). Ecco il cavallo bianco che plana sulla valle, indomito”. Rimase in silenzio, era senza saliva e il cuore batteva fortissimo. Aveva avuto il coraggio di aprire la sua immaginazione ad un altro essere umano, era una sceneggiatura in attesa di trasformarsi in realtà e lei l’avrebbe capito, di questo era sicuro. La risposta arrivò puntuale: “sei molto delicato, davvero; leggerissimo”. Gli sem
brò un semaforo verde e sparò l’ultima cartuccia: “posso leggerti una cosa?” “Certo”, rispose. “Prima vai sul tubo e guardati il video di “Useless” dei Depeche Mode, fino in fondo”. Era un grido, un’invettiva irreversibile rivolta alla donna dei suoi sogni, la musa felliniana. Il videoclip si conclude con la camera che rivolge lo sguardo sulla protagonista dello sfogo crudele (ma giustificato) del cantante Dave Gahan. Lo si vede solamente alla fine e si comprende il senso della sceneggiatura. Si assicurò che il messaggio, potente, arrivasse a lei e subito dopo iniziò a leggere delle frasi scritte su un foglietto stropicciato:
valige camminano come nuvole
tornano a me
cariche di sogni
denti spezzati
cielo plumbeo
il burattiniere completa l’opera
tempesta perfetta
marea senza amore
grida lontane
l’angoscia appare
corvi pipistrelli
il nero si espande
a macchia d’olio
terremoto appagante
cadi
afferri i colpi
lividi
“Cos’è?”, chiese a bruciapelo. “L’avevo scritta per te”, le disse. “Ma il finale è la luce in fondo al tunnel: and the bright light of salvation shines in dark and empty skies”, (“Death is not the end”, Bob Dylan). “Lividi?”, disse citando la chiosa della poesia. “No, è questa” e, con voce sensibilmente alterata riuscì a leggerle le ultime righe ancora inedite:
la montagna di ghiaccio
silenzio assordante
cuore ferito
tutto si compie
un battito di ciglia
e tutto può di nuovo cambiare.
“Ma questo pezzo me l’avevi già letto” disse sorpresa. “È vero”, le disse con un sorriso talmente grande che arrivò a destinazione, “avevo omesso l’inizio”. (to be continued)
PLAYLIST:
Paolo Conte “La musica è pagana”
U2 “Numb”
U2 “Lemon”
Jovanotti “Fango”
Ornella Vanoni “Domani è un altro giorno”
Collettivo soleluna “Io lo sapevo”
Fatboy slim “Praise you”
Radiohead “Bloom”
Radiohead “Bloom” (Live at the Basement), in uscita su dvd ufficiale dal sito del gruppo.
U2 “The unforgettable fire”
Mina “Ancora, ancora, ancora”
U2 “Do you feel loved?”
Depeche Mode “Useless”
Bob Dylan “Death is not the end”