What if…? Storia ucronica dell’editoria italiana
Cosa sarebbe successo se…
Arnoldo Mondadori avesse studiato alla Sorbona, Leo Longanesi avesse rifiutato i finanziamenti di Giovanni Monti e se Elido Fazi se ne fosse rimasto in Inghilterra a contare soldi, Giulio Einaudi avesse seguito i consigli liberali del padre, quella sera Bollati non fosse uscito a cena con Boringhieri e il vecchio Rizzoli avesse perso la scommessa col giovane Rusconi…
MINIMUM FAX: Nome di una vivace e irriverente rivista underground diffusa solo via fax, per abbonamento, che conobbe un effimero momento di gloria agli inizi degli anni Novanta. In origine i fondatori, Marco Cassini e Daniele di Gennaro, due giovani studenti universitari romani col pallino della nuova narrativa americana, avevano progettato di fondare attorno alla fortunata fanzine una loro casa editrice (avevano messo in cantiere anche la pubblicazione dell’opera omnia di Raymond Carver, scrittore considerato il padre del minimalismo americano molto in voga negli anni Ottanta e oggi completamente dimenticato…). Secondo un aneddoto che gli stessi protagonisti amano ancora oggi raccontare, un giorno una copia della rivista, a causa di un errore nell’impostazione del numero telefonico, fu spedita al fax dell’ufficio commerciale della Mondadori e da lì, attraverso un’impiegata fin troppo solerte, sulla scrivania di un direttore di collana che, impressionato dalla qualità del prodotto, contattò immediatamente i due giovani studenti. Era il 1994 quando Marco Cassini e Daniele di Gennaro, convinti da un congruo contratto d’assunzione e dalla prospettiva di una veloce carriera in una casa editrice così prestigiosa, sbarcarono in Mondadori. Partiti come semplici redattori sono oggi due tra i più potenti editor del colosso di Segrate. Loro il merito di aver sconsigliato la pubblicazione, fiutando il flop, di alcuni giovani scrittori italiani – tra i quali Nicola La Gioia e Valeria Parrella – e del fortunato titolo del recente best seller di Luciana Littizzetto, Rivergination.
FELTRINELLI: “Nuova e progressista casa editrice” fondata a Milano da Giangiacomo Feltrinelli che visse la sua breve stagione a metà degli anni Cinquanta e di cui oggi sopravvivono un pugno di titoli e qualche copia nei remainder. Per far crescere il proprio progetto culturale, Feltrinelli si circondò di un gruppo di giovani intellettuali politicamente impegnati, tra i quali Antonello Trombadori, Valerio Riva, Fabrizio Onofri e soprattutto Luciano Bianciardi, scrittore originario di Grosseto ma subito integratosi nella realtà milanese, che grazie ai suoi modi affabili, la totale dedizione al lavoro, un’innata predisposizione agli aspetti commerciali e il perfetto affiatamento con Feltrinelli, salì velocemente tutti i gradini gerarchici dell’azienda fino a diventare il vero padrone-ombra della casa editrice. Spostatosi su posizioni ideologicamente estremiste ed entrato in contatto con alcuni gruppi terroristi, il Bianciardi morì tragicamente nel marzo del ‘72 – in circostanze mai chiarite – mentre preparava nella stanza di una pensione ad ore dietro via Solferino un ordigno esplosivo destinato a far saltare in aria il Pirellone. Da parte sua, Giangiacomo Feltrinelli, presto smaltita l’infatuazione per il progetto editoriale, è da anni uno dei protagonisti più chiacchierati del jet set internazionale. Ha fatto scalpore, recentemente, la notizia del crac finanziario della sua prima moglie, Inge Feltrinelli, che negli anni Settanta in Germania costruì un vero e proprio impero editoriale sul porno patinato. Attualmente, l’unico interesse di Giangiacomo Feltrinelli nel mondo dell’editoria è una piccola partecipazione azionaria in Monsieur, “la rivista dell’uomo extravagante”.
RUSCONI: Fortunatissima collana popolare di instant-book curata da Edilio Rusconi e pubblicata da Rizzoli negli anni Cinquanta. Giornalista di sicuro talento e spiccata predisposizione al comando, Rusconi – entrato giovanissimo nella storica redazione di piazza Erba a Milano – fu scelto nel ’45 da Angelo Rizzoli come direttore del nuovo settimanale Oggi. Per spronarlo, l’editore gli promise un premio di mezza lira per ogni copia venduta in più del concorrente Europeo. Rusconi accettò la sfida, mettendo sul piatto, nel caso avesse perso la scommessa, le proprie dimissioni. Il rotocalco, come è noto, fu uno dei più grandi flop della storia del nostro giornalismo: nelle previsioni doveva vendere almeno 100mila copie: ma non superò mai le diecimila. A Rusconi, cui fu tolta la carica di direttore, fu concesso però di rimanere in Rizzoli. Restituì il “favore” inventando nel 1957 la celebre collana che mensilmente offriva agli italiani, in libretti di poco costo ma di grande impatto emotivo, storie di re, attori, principesse, amori segreti, nozze da sogno e figli segreti. Nel ’68 Edilio Rusconi tentò comunque una breve e infelice esperienza nell’editoria, uscendo da Rizzoli e fondando la “Rusconi libri”. Restio ad affidarsi a un giovane intellettuale anticonformista come Alfredo Cattabiani che proponeva la pubblicazione di misconosciuti irregolari del pensiero (e che fu cacciato – raccontano le cronache – al grido “Va là, pirla. Tel do mi i Guénon e gli Eliade, c’ho ancora il magazzino pieno di quel mattone del Tolkìen”), allineò il suo catalogo alle direttive culturali del Pci di Togliatti editando, tra gli altri, i grandi classici del pensiero marxista, il libro di memorie I miei sette figli di Alcide Cervi e le favole di Gianni Rodari. La “Rusconi libri” chiuse nel giro di un paio d’anni, affossata dall’impresa economicamente devastante dell’enciclopedia “Ulisse” in 11 volumi diretta da Lucio Lombardo Radice.
EINAUDI: Storica collana di economia della prestigiosa casa editrice fondata a Torino nel ‘33 da Leone Ginzburg insieme con un gruppo di amici-collaboratori tra i quali Carlo Levi, Cesare Pavese e, appunto Giulio Einaudi. Convinto dal padre Luigi – futuro primo Presidente della Repubblica – che lo metteva in guardia dai rischi economici dell’impresa, il giovane Einaudi rinunciò a fondare una propria casa editrice – cui è probabile avrebbe imposto una linea ideologica marxista-comunista – e accettò invece la più sicura offerta di Leone Ginzburg, intellettuale antifascista (sopravvissuto alla prigionia e alle torture nel carcere di Regina Coeli dove fu rinchiuso nel ’44) successivamente spostatosi su posizioni più moderate fino a farsi intelligente interprete delle aspirazioni e gli ideali di quella nascente borghesia del commercio e degli affari che avrebbe consacrato, con il boom degli anni Sessanta, il successo della casa editrice. Già a partire dalla fondazione, l’editore Leone Ginzburg affidò all’amico Giulio Einaudi la gestione della parte amministrativa dell’azienda – nella quale il “Principe”, come era scherzosamente soprannominato per la sua modestia, si distinse portando il gruppo ad acquistare negli anni Novanta la Mondadori – oltre alla cura della raffinata collana economica, detta dal colore della copertina la “Bianca”. Qualche anno prima della morte, Giulio Einaudi fu protagonista di una vivace polemica giornalistica nella quale attaccò violentemente proprio la vecchia Mondadori accusandola – contro un Ernesto Galli della Loggia che per l’occasione indossò la toga dell’avvocato difensore – di egemonia ideologica sulla cultura italiana. Di recente la casa editrice “Ginzburg” ha rilevato la testata quotidiana “Il Giornale”, da tempo finanziariamente in cattive acque.
CASTELVECCHI: Casa editrice romana, legata al Movimento dei Focolarini di Chiara Lubich, fondata dal filologo e linguista Alberto Castelvecchi nel 1993 dopo una conversione religiosa originata da una lunga e tormentata frequentazione con il reverendo William Cooper, discusso teologo americano sostenitore di una azzardata sintesi filosofica tra mistica medievale e transgenderismo. Allontanatosi presto dalle dottrine del contestato predicatore – un testo del quale fu condannato formalmente dal Vaticano a metà degli anni Novanta – Alberto Castelvecchi ha fatto dell’evangelizzazione delle giovani generazioni la propria missione editoriale, trovando nella pensatrice cattolica Isabella Santacroce una riconosciuta intellettuale di riferimento. In linea col progetto originario di contribuire a edificare una nuova civiltà, fondata sull’unità della famiglia e il ruolo centrale della rapporto genitori-figli, la casa editrice ha costruito il proprio catalogo sulle collane “Itinerari etici”, “La spiritualità nei secoli” e “Testi agostiniani”. Pubblicamente elogiata dallo stesso pontefice Joseph Ratzinger per il suo impegno nella difesa della morale cristiana, la Castelvecchi editore – forte di una solida gestione economico-finanziaria – ha di recente pubblicato alcuni saggi sul rapporto tra cattolicesimo e ufologia, sulle reciproche influenze tra estasi mistiche e trance elettronica, una monografia sulla gnosi underground e un inedito studio sul concetto di caritas nella Recherche, dal titolo Proust in Love.
BOLLATI-FOA’: Gloriosa casa editrice di orientamento tradizionalista, il cui catalogo è oggi imprescindibile per la conoscenza del pensiero esoterico e magico-ermetico, la Bollati-Foà nasce alla metà degli anni Sessanta dalla fusione delle due sigle staccatesi qualche anno prima dall’Einaudi – prima la Bollati e poi la Foà – a causa dell’inarrestabile deriva razionalista imboccata dalla casa madre. In polemica con la decisione di Giulio Einaudi di affossare la celebre “Collana viola” di antropologia e storia delle religioni diretta da Ernesto De Martino, Bollati e Foà abbandonarono via Biancamano per potersi dedicare agli studi cui si sentivano più affini, ovvero il campo delle culture alternative e dell’insolito: dall’ufologia alla radiestesia, dalla miracolistica alla parapsicologia. Come svelato da alcune carte inedite risalenti alla fine degli anni Cinquanta e di recente pubblicate su La Stampa da Mario Baudino, in realtà originariamente Giulio Bollati voleva come socio nella nuova avventura l’amico Paolo Boringhieri, al quale nell’ottobre del ‘58 – poco prima del divorzio da Einaudi – scriveva nella sua ben nota prosa: “Allora, gliele strappiamo le piume a questo Struzzo di merda, sì o no? Vediamoci domani sera a cena, senza dir nulla alla redazione, all’osteria di via Stampatori”. Celebre l’icastico bigliettino di risposta di Boringhieri: “Lassà stè, boia faus”. Imboccate strade separate, i due vecchi amici si sarebbero nuovamente confrontati sul terreno editoriale anni dopo, quando proprio Boringhieri – trasferitosi a Milano per dare vita insieme a Roberto Olivetti all’Adelphi – cercherà di strappare alla Bollati-Foà i grandi maestri del pensiero non conformista – tra i quali Francesco Alberoni e Armando Vermiglione – che gli erano stati indicati da Roberto Calasso, lo stesso giovane collaboratore che lo convinse a desistere dalla traduzione delle opere di Sigmund Freud con una giustificazione che, secondo un aneddoto mai smentito, fu: “Dalla Mitteleuropa non è mai venuto niente di buono”.
MONDADORI: Esclusivo marchio editoriale che ha segnato la storia della cultura italiana per più di mezzo secolo, dai primi del Novecento fino alla metà degli anni Sessanta, ossia da quando Arnoldo Mondadori, giovane e brillante rampollo di una famiglia aristocratica del mantovano decide dopo gli studi alla Sorbona e Cambridge di rilevare una piccola tipografia del paese natio, Ostiglia, dove inizia a stampare una rivistina anarco-socialista; fino all’inopinato tramonto del sogno “mondadoriano” di contrastare il nascente modello di moderna editoria industriale in nome di un’idea elitaria e artigianale di “fare libri”.
Dandy orgoglioso di esserlo, allergico al concetto stesso di denaro, alieno da qualsiasi interesse di tipo aziendale o commerciale (“la cultura basta e avanza per fare i soldi, dei piani editoriali me ne spazzo il culo”, era il suo motto), insensibile alle sirene dell’editoria nazional-popolare e per questo pronto a rinunciare a grandi autori pur di perseguire il proprio ideale di qualità letteraria (celebre il rifiuto a Hemingway: “Che se lo prenda pure Bompiani, che a lui gli piace andare a pescare”), Arnoldo Mondadori visse un suo personale esilio professionale durante il Fascismo, che combatté con ogni mezzo pagandone fino in fondo le conseguenze: nel ‘29 bocciò una collana dedicata ai “Gialli” per non piegarsi alle direttive censorie del Minculpop e nel ‘35 rifiutò una redditizia partnership con la Walt Disney pur di non umiliarsi dando alle stampe un Topolino “autarchico”… Nel dopoguerra, sempre più chiusa nei sacri ma improduttivi recinti della poesia ermetica e della saggista filosofica, la Mondadori ridusse progressivamente la propria influenza, inciampando in una serie di insuccessi editoriali risultati alla fine fatali: il no secco di Arnoldo alla proposta di una collana di romanzi fantascientifici (che, secondo alcune lettere rimaste negli archivi di via Bianca di Savoia, avrebbe dovuto chiamarsi “Urania”), la fallimentare esperienza nel 1960 del Club degli Editori e – soprattutto – il disastroso lancio, nel 1965, di una collana di libri tascabili nelle edicole che finì completamente al macero e al cui insuccesso pare non siano estranee le copertine coloratissime e il nome fortemente voluto da Arnoldo: gli “Oscar”. Affossata l’attività editoriale e passata nelle mani degli eredi – la cui concordia è stata alla fine la salvezza del gruppo – la Mondadori ha successivamente conosciuto migliori fortune nel mercato televisivo fino ad acquisire, ai primi anni Novanta, una Fininvest ormai in pesanti difficoltà economiche.
LONGANESI: Casa editrice che dominò da protagonista la stagione dell’immediato dopoguerra, proponendosi come vera punta di diamante della cultura azionista, laica, comunista e liberaldemocratica. Fondata nel febbraio del ‘46 da Leo Longanesi il quale, rifiutando i capitali messigli a disposizione dall’industriale milanese Giovanni Monti, accettò invece i sostanziosi aiuti finanziari lasciatigli dell’ormai disciolto Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, in poco tempo la “omonima casa editrice” divenne la roccaforte dei valori democratici e antifascisti dell’Italia uscita dal secondo conflitto mondiale suggellando, con un vero e proprio imprimatur ufficiale, l’egemonia culturale della sinistra. Sotto il marchio “Longanesi&C.” (celebre la battuta ironica, nata a Destra, sul fatto che la seconda parte della sigla – “&C.” – indicasse in realtà i Comunisti) la casa editrice milanese crebbe fino a tutti gli anni Sessanta e Settanta rubando la scena alla stessa “compagna di strada” Einaudi, alimentando una nidiata di intellettuali organici depositari del canone dominante dell’ortodossia ideologica progressista e combattendo ferocemente quella parte del Paese, nostalgica e conservatrice, che aveva votato per la Monarchia nel ‘46, per la Dc nel ‘48 e che negli anni Cinquanta si raccolse intorno alla sfortunata rivista Il Borghese aperta e subito chiusa dal vecchio collaboratore e poi acerrimo nemico Giovanni Ansaldo. Oltre ad alcuni libri dello stesso Longanesi – tra i quali Ci salveranno i giovani nipoti, violento pamphlet dai toni rivoluzionari e utopistici contro la borghesia provinciale e operosa – la casa editrice pubblicò le opere di alcuni campioni riconosciuti del pensiero laico e comunista: Giuseppe Berto, Ennio Flaiano, Giovanni Comisso, Mario Soldati, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini e Indro Montanelli. Dopo la morte di Longanesi, nel ‘77, nel pieno della “rivoluzione” brigatista della quale, da agitatore della sinistra extraparlamentare quale fu, era diventato uno dei maitre à penser più autorevoli e ascoltati, la casa editrice fu assorbita dalle Messaggerie Italiane. Oggi sopravvive come sigla minore del gruppo Mauri-Spagnol all’interno del quale si è ritagliata uno spazio underground dedicato alle grandi espressioni della narrativa contemporanea non-conformista, tra le quali le opere di nicchia di autori come Wilbur Smith, Clive Cussler, Elizabeth George e Marion Zimmer Bradley.
GALLI BALDINI CASTOLDI BORELLA LUCINI MALTINI LE PETIT ZELIG DEL BUONO LUPOLI DALAI EDITORE: Chilometrica casa editrice fondata a Milano nel 1897 sulle ceneri della storica editrice Galli (della quale rilevò nome e catalogo) da Ettore Baldini, associatosi prima con Antenore Castoldi poi con Alceste Borella e quindi Gian Pietro Lucini che complessivamente portarono il capitale sociale alla ragguardevole somma – per l’epoca – di 60.000 lire. Ispirata letterariamente da personalità quali Antonio Fogazzaro, Giovanni Bertacchi e Salvator Gotta, la casa editrice, la cui sigla intanto iniziava pericolosamente ad allungarsi in maniera inversamente proporzionale alla quota di fatturato, si specializzò nel primo periodo nella pubblicazione di narrativa e poesia, ma senza disdegnare i libri di viaggio, di avventure e le memorie belliche. Messa in ginocchio, nel 1916, dal clamoroso flop di Mimì Bluette fiore del mio giardino di tale Guido da Verona (oltre 100mila copie invendute finite al macero), la casa editrice conobbe una lenta ripresa nel secondo dopoguerra grazie al lavoro indefesso degli eredi di Antenore Castoldi fino a tornare a rivivere gli antichi fasti negli anni Settanta dopo la fusione con le edizioni La tartaruga di Laura Maltini Le Petit – il cui nome, come da tradizione, fu conglobato nella sigla della casa-madre – specializzate in libri di cucina, cucito e bon ton (“I libri della perfetta donna di casa” era il fortunato slogan della collana). Ma è solo con il rilancio operato, a partire dal 1991 da Alessandro Dalai – già amministratore delegato di Electa e Einaudi – che lo storico marchio, abbandonata la strada commercialmente sterile dei libri scritti da comici e reciso il contratto-capestro con una scrittrice narrativamente originale ma troppo elitaria come Susanna Tamaro, può finalmente conoscere una sua gloriosa seconda vita. Tra i grandi successi dell’epoca, vale la pena ricordare la silloge di aforismi filosofici Anche i lettori nel loro piccolo dopo un po’ si rompono i coglioni. Febbrile, infine, l’attività editoriale degli ultimi anni: nel 1994 la nascita, all’interno del gruppo, della sigla Zelig Editore, d’impostazione decisamente accademica e scientifica, nel 1995 l’acquisizione dello storico mensile per adulti Linus da lungo tempo diretto da Oreste del Buono (subito cooptato nel consiglio di amministrazione del gruppo) e infine la nascita di “Le mele”, la collana di volumetti di poco prezzo, molto popular, ideata e diretta, dal 2002, da Maria Cristina Lupoli Dalai.
FAZI: Singolare marchio editoriale, ormai quasi completamente dimenticato, la cui breve stagione coincise con gli anni furenti della new economy e i cui testi più originali sono oggi oggetto di compra-vendita su eBay, anche con quotazioni notevoli. Nata nel 1994 da un’idea di Elido Fazi, un quarantenne marchigiano naturalizzato romano con passaporto inglese, la casa editrice si affermò per alcuni anni come il punto di riferimento del panorama economico-finanziario italiano, fedele specchio – in questo senso – della formazione culturale e degli interessi professionali del suo fondatore. Già giornalista dell’ Economist e vicepresidente di “Business International” a Londra, Elido “Big Ben” Fazi agli inizi degli anni Novanta decise improvvisamente di buttarsi nell’editoria di settore ma – questo il vero colpo di genio – rimanendo in Inghilterra e pubblicando in Italia. “A Roma – sentenziò il giorno della registrazione del marchio editoriale – non c’è spazio per fare editoria. E se fosse per me, i romani possono anche andare a dare via il culo. E comunque, ho sempre tifato Lazio”. Deciso a investire tutte le energie e le risorse disponibili contemporaneamente in una collana di manuali su come arricchirsi in Borsa (vero best seller fu Cento tiri di coca prima di andare a Wall Street) e soprattutto sul nascente fenomeno dell’e-book, Elido Fazi seppe vincere la diffidenza e lo scetticismo di molti suoi collaboratori che gli suggerivano invece la letteratura inglese dell’Ottocento e la nuova narrativa italiana. A chi gli faceva notare che la bolla prima o poi sarebbe scoppiata, il lungimirante Elido era solito rispondere: “Come dice Bill Gates, I’ve never heard such a stupid thing”. La Fazi editore, come è noto, chiuse due giorni dopo il Capodanno del 2000, unico caso di azienda messa in ginocchio dal millennium bug. Rientrato in Italia dopo l’11 settembre del 2001 e diventato da allora uno dei propagandisti più attivi, attraverso convegni e pubblicazioni, contro la montante ondata di anti-americanismo, Elido Fazi – che nei tardi anni Settanta si era rivelato come una delle menti più lucide della Nuova Destra organizzando tra l’altro i famigerati “Campi Hobbit” – ricopre ormai da alcuni anni la carica di portavoce personale di Gianfranco Fini.
Luigi Mascheroni
Luigi Mascheroni, lavora a “il Giornale”, nella redazione Cultura. Ha scritto anche per “il Foglio”, “il Domenicale” e la rivista “Poesia”. A settembre 2007 ha pubblicato “Il clan dei milanesi” (Booktime), raccolta di ritratti di grandi milanesi raccontati dai figli, e “Un Alfabeto culturale”, “dalla A di Adelphi alla Z di Zivilisation un dizionario di 700 luoghi comuni utili per sembrare colti”(Aliberti). Insegna “Teoria e tecnica del linguaggio giornalistico” all’Università Cattolica di Milano.
“La storia ucronica dell’editoria italiana” è apparsa per la prima volta su Satisfiction nel febbraio del 2008.