Parliamo un po’ di aggettivi e sostantivi…
Che l’attributo “poetico” abbia sempre avuto una sua certa ‘allure’ prostituzionale è indubbio. Da tanto tempo ormai moltissime cose, che non hanno niente a che vedere con la ‘poesia’, sono ‘poetiche’.
Sono poetici film, pièce teatrali e quadri, balletti e – ovviamente – romanzi e canzoni, ma sono poetici anche gol (quelli di Maradona e di Pelè, ad esempio) e ciclistiche fughe dal gruppo, nell’inerpicarsi su alti Resegoni, abiti d’alta moda, automobili, architetture, sin monologhi televisivi e foto di famiglia, meglio se su riviste patinate e di dinastie di happy few.
Da più tempo ancora sono poetici anche paesaggi, sfondi naturalistici, tramonti, albe, rugiade, amori, scorci, foreste, lune, golfi, calette, voli di farfalle e albatros e gabbianelle, eccetera.
Lo notava già Franco Fortini, almeno 30 anni fa, in un suo Aforisma televisivo per la Rai, intitolato per l’appunto Poesia, che potete rivedere ( Franco Fortini ).
Il poeta milanese poi, ovviamente, faceva i distinguo del caso, e si concentrava nell’analisi del sostantivo, parlando di ‘poesia’.
Il fenomeno, da allora, sta davvero dilagando ed è, ormai, a un passo dalla tracimazione.
A pensarci un po’ su, a voler fare un po’ di separazione tra grano e crusca, quel che ne viene fuori è che poi, ciò che si intende attribuire quando si utilizza l’aggettivo ‘poetico’, sia una serie di qualità che hanno molto a che fare con il sentimentale, l’emotivo, il commovente, o anche il particolarmente intenso, a prescindere dalla qualità di tale intensità, una sostanza della consistenza della melassa, nel suo mascherare, con ambiguità, l’incapacità di dar nome proprio alle cose e, per l’appunto, alle sensazioni.
Sospetto che la maggior parte delle matrici di tutto quest’aggettivare compulsivo stia in quella parte della poesia vera e propria che Sanguineti ebbe a definire ‘poetese’.
E’ il poetese la fonte d’ogni ‘poetico’ contemporaneo e poiché il poetese, non c’è che fare, uccide la poesia (tanto quanto l’estetizzazione di massa elimina l’estetica, al punto che l’esteta si tramuta in estetista), ne consegue che i poeti farebbero bene ad essere sospettosi nei confronti di tutto questo ‘poetico’ che sentono in giro. E a protestare, invitando, chi lo fa, a smettere e a cercare la parola giusta per dire ciò che vuole (e non sa) dire.
Insomma, a parere di chi scrive, tutta questa pletorizzazione di ‘poetici’, questa ‘aggettivizzazione’ massiva della poesia, è l’altra faccia della medaglia del tentativo di far sparire, di eliminare la poesia: la poesia come arte (e come sostantivo).
Essa è la prova provata di quanto la poesia stessa abbia bisogno oggi di un poetico scatto d’orgoglio. A nome proprio, ovviamente: perché la poesia è un nome, non un aggettivo…