“Adesso la coppia è davvero finita, perché con la morte di Carlo Fruttero scompare anche quel modo di scrivere, quella sottile perfidia dello sguardo, quel disincanto acuto del racconto che apparteneva a tutti e due”, scrive Ezio Mauro in prima pagina.
Sembrava che cogliessero i cambiamenti, che per loro erano quasi sempre cedimenti e regressioni, dal nostro modo di parlare. Stavano in agguato in qualche angolo, ad ascoltare, e sembra di vederli mentre scuotono la testa, e si divertono. Errori, vanterie, cedimenti al pensiero immobile dei luoghi comuni, al vocabolario infinito delle frasi fatte, insomma al rifiuto della parola e del concetto, o anche solo dell´autenticità. Sapevano cogliere le stratificazioni sociali dietro i linguaggi, così come dalle parole decifravano i segni geografici, le inclinazioni politiche, le debolezze intellettuali. Si lasciavano circondare da una grande chiacchiera infinita, come quella finale dell´assassino nella pineta toscana che frequentavano in vacanza, e loro procedevano staccando – come quadri preziosi – le grandi imbecillità e le piccole astuzie attraverso le quali inganniamo noi stessi mentre dialoghiamo col mondo.
(Ezio Mauro, la Repubblica, 16-1-12)