Trasformare la memoria collettiva in un gigantesco business, rendere alcuni luoghi simbolo dei crimini perpetrati dai regimi totalitari del Novecento tra le più appetibili mete del turismo di massa, ridurre la testimonianza dei sopravvissuti a puro artificio museale e la verità storica a kitsch commemorativo: un’ipotesi futuristica o un disegno già in atto in Europa orientale? E’ uno dei più inquietanti interrogativi che pone l’ultimo romanzo di Ja’chym Topol, maestro del grottesco, “L’officina del diavolo” (ed. Zandonai, pp. 168, euro 14,50).
Il protagonista, un anonimo io-narrante ingenuo e romantico, è tra i fondatori di una comunità hippy che si propone di custodire, sfruttandola a fini commerciali, la memoria del campo di concentramento di Terezi’n, e accogliere turisti occidentali, perlopiù giovani globetrotter sulle tracce dei propri nonni passati per il camino.
In seguito allo smantellamento del centro autogestito, il protagonista si trasferisce poi in Bielorussia, dove in gran segreto un gruppo di oppositori al governo sta realizzando un progetto simile.
(Adnkronos.com, 18-1-2012)